Via i paraocchi I Mondiali di calcio in Qatar sono incompatibili con il nostro periodo storico

Operai che lavorano al di sotto degli standard minimi di dignità, problemi sociali, logistici e ambientali. La World Cup si avvicina, e intanto il mondo reale continua a fare i conti con le conseguenze - mai così spaventose - delle crisi attuali

LaPresse

Gli imminenti mondiali di calcio in Qatar continuano ad accendere fiammate di  disapprovazione ovunque, dopo aver generato a suo tempo nei nostri connazionali un sentimento di amarezza per la mancata qualificazione. L’ultimo significativo gesto proviene da Parigi e da altre grandi città francesi, le quali hanno da poco dichiarato di non avere alcuna intenzione di allestire le tradizionali fan zones con gli schermi giganti nelle strade e negli spazi pubblici. 

Questo come segno di protesta contro le violazioni dei diritti umani e delle regole ambientali perpetrate da anni nell’organizzazione della competizione. La squadra campione del mondo in carica, pur se favorita, dunque dovrà rassegnarsi a rinunciare al tifo e al sostegno di piazza, perché «di creare zone di trasmissione delle partite non se ne parla e per diversi motivi – ha dichiarato l’assessore allo Sport della capitale, Pierre Rabadan. Il primo, spiega, riguarda «le condizioni in cui è stata organizzata questa Coppa del mondo, sia sotto l’aspetto ambientale che sociale; il secondo è la tempistica, il fatto che si svolga nel mese di dicembre».

Da un’inchiesta realizzata nei mesi scorsi dal Guardian, si è appreso che dal 2010 in poi, cioè dall’anno in cui il Qatar ha ottenuto l’assegnazione del mondiale, nei cantieri collegati alla competizione calcistica sarebbero morti più di 6.500 lavoratori prevalentemente stranieri. Amnesty international, inoltre, ha esortato la Fifa a mettere a disposizione almeno 440 milioni di dollari (circa 450 milioni di euro) per risarcire le centinaia di migliaia di lavoratori migranti vittime dello sfruttamento. E, infatti, si stima che per costruire i sette stadi, una città, gli aeroporti e le infrastrutture adeguate all’evento sportivo, il Qatar abbia reclutato 2 milioni di persone da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh, Sri Lanka e Filippine. Anche un dettagliato rapporto dell’Onu del 2020 ha dimostrato che le condizioni di migliaia di operai immigrati sono al di sotto degli standard minimi di dignità. 

Al grave tema sociale si affianca anche quello non di minore importanza relativo all’impatto ambientale. Desta preoccupazione il fatto che per gestire la logistica dei tifosi in arrivo, Qatar Airways – la compagnia aerea statale – abbia predisposto un servizio navetta dentro e fuori Doha nei giorni delle partite. Per non parlare dei 60 voli giornalieri da e per Dubai. L’emirato non è dotato di capacità ricettive sufficienti ad accogliere tutti i visitatori previsti, quindi deve risolvere il problema dirottando una parte di pubblico negli Emirati Arabi Uniti o in Arabia Saudita, garantendo però i trasporti per assistere live alle partite. Oltre a essere una soluzione altamente inquinante, si tratta di un ulteriore dettaglio che finisce con lo smentire le promesse di evento «carbon neutral» fatte dagli organizzatori.

Il tema è ovviamente sensibile soprattutto in una fase storica che si trova a dover fare i conti con i danni sociali ed economici di una stagione particolarmente funestata dalla crisi climatica, ancora memori di un’estate rivelatasi la più calda di sempre in Europa: lo confermano i dati del Copernicus climate change service, che riporta regolarmente i cambiamenti osservati nella temperatura dell’aria superficiale globale, nella copertura del ghiaccio marino e nelle variabili idrologiche (alle prese con le complesse problematiche dovute alla siccità, agli incendi, alle alluvioni e alle intense piogge). 

Un tema che non può essere ignorato soprattutto oggi, alla vigilia della ventisettesima Conferenza mondiale sul clima della Nazioni Unite, la Cop 27, che si terrà a Sharm el-Sheikh dal 6 al 18 novembre. In Egitto, sia il summit stesso sia i governi partecipanti si giocheranno la partita della loro credibilità. Soprattutto in considerazione del dato essenziale che emerge dalla seconda edizione della ricerca Climate reality barometer (il barometro sulla realtà climatica) di Epson – condotta in 28 Paesi -, che registra come in tutto il mondo le persone stiano intensificando gli sforzi personali per contrastare il cambiamento climatico, concepito come un fenomeno di cui preoccuparsi (e occuparsi). Nonostante la situazione dell’economia globale possa distogliere l’attenzione dalle sfide climatiche e ambientali, più che la politica e i mercati sono le singole persone che devono impegnarsi per adottare uno stile di vita più sostenibile. 

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