Per un soffio il doppio e scontato voto di fiducia parlamentare, con cui il gabinetto Meloni entrerà nel pieno dei suoi poteri, non coinciderà nel centesimo anniversario della Marcia su Roma. D’altronde, Giorgia, leader d’un partito post-fascista, guarda meno (forse per niente) a Mussolini che a figure di tempi più vicini. A partire da Giovanni Paolo II, nella cui memoria liturgica, ricorsa sabato, è venuta a cadere l’entrata in carica del nuovo esecutivo.
A metterlo in evidenza proprio lei, prima donna alla guida di Palazzo Chigi, che in un tweet ha definito Karol Wojtyła «un pontefice, uno statista, un Santo. Ho avuto l’onore e il privilegio di conoscerlo e sono onorata che sia il Santo di questo giorno così particolare per me». Ma quella di sabato è anche stata, e come tale sarà ricordata, la giornata particolare in cui è stato varato il governo più apertamente avverso alle persone Lgbt+.
Ai nomi della stessa presidente del Consiglio e di Matteo Salvini, Roberto Calderoli, Alessandra Locatelli c’è da aggiungere quello del guardasigilli Carlo Nordio, non solo da sempre contrario a matrimonio egualitario e adozioni da parte di coppie di persone dello stesso, ma sostenitore di un’implicita equiparazione tra omosessualità e pedofilia. Ne ha dato prova lo scorso anno, quando, audito in Commissione Giustizia del Senato sul ddl Zan, ne criticò il testo col dire: «Quando si parla di orientamento sessuale si dà una definizione spuria estremamente ambigua che però minaccia anche di ritorcersi contro le intenzioni del legislatore. Faccio un esempio. Facciamo un esempio pratico che uno venisse portato davanti a un procuratore della Repubblica, come lo sono stato io per 40 anni, e dicesse: “Io i pedofili li metterei tutti al muro”, sarebbe incriminabile in base a questa norma, perché la pedofilia è un orientamento sessuale. È sicuramente un orientamento perverso, è una perversione. Ma tutti noi sappiamo che non c’è nulla di più volatile e di più temporaneo della concezione del sesso che noi abbiamo». Ma la pedofilia è un disturbo parafilico, non già un orientamento sessuale al pari dell’omosessualità.
A colpire e mettere in subbuglio il mondo Lgbt+ è stata soprattutto l’assegnazione di due rinominati ministeri a Giuseppe Valditara e a Eugenia Maria Roccella: l’uno sovrintenderà all’Istruzione e al Merito, l’altra alla Famiglia, alla Natalità e alle Pari Opportunità. A chiudere il cerchio Alfredo Mantovano, magistrato, più volte deputato e senatore, nonché vicepresidente del Centro Studi “Rosario Livatino”, che ieri è stato nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri.
Non meraviglia pertanto che Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita & Famiglia ed ex vicepresidente del World Congress of Families di Verona, abbia subito espresso soddisfazione per «la presenza nel Governo Meloni di personalità di comprovata adesione e impegno a favore dei princìpi non negoziabili del Bene Comune» e menzionato specificamente Mantovano, Roccella, Valditara. È al ministro dell’Istruzione e del Merito, che viene riservata particolare attenzione con l’auspicio di un incontro per «potergli rappresentare le preoccupazioni delle famiglie italiane rispetto alle gravi lesioni della loro libertà educativa operata da quella che Papa Francesco ha più volte denunciato come la “colonizzazione ideologica” del gender».
Per Yuri Guaiana, segretario di Lgbti Liberals of Europe e senior campaign manager di All Out, la particolare esultanza dei «promotori del Congresso di Verona» per il titolare del dicastero di viale Trastevere «è particolarmente preoccupante considerato che subito dopo le elezioni, gli stessi gruppi hanno chiesto un ministro dell’Istruzione che potesse sostenere le loro politiche familiste e anti-lgbt». E con l’ex finiano e tre volte senatore Giuseppe Valditara potranno dirsi più che contenti.
L’ordinario di Diritto pubblico e privato romano presso l’Università di Torino, che col maestro Gianfranco Miglio ha scritto nel ‘93 la bozza della “Costituzione federale” su richiesta del partito bossiano ed è poi approdato in An per far quindi ritorno alla Lega, del cui segretario Salvini è fido consigliere politico dallo scorso settembre, era già balzato agli onori delle cronache per aver dato alle stampe il controverso libro L’impero romano distrutto dagli immigrati. Così i flussi migratori hanno fatto collassare lo stato più imponente dell’antichità. Ma l’ostilità all’introduzione di norme penali contro l’omotransfobia e, più accesamente, alla legalizzazione delle nozze tra persone dello stesso sesso gli era valso, ancor prima, tanto il plauso dei reazionari quanto gli strali dei movimenti per i diritti civili. È del luglio dello scorso anno l’appello «per fermare l’iter d’approvazione del ddl Zan» a nome dei circa 300 docenti universitari di Lettera150, ossia il think tank fondato nel primo lockdown dallo stesso Valditara, «per suggerire un approccio razionale e strategico all’emergenza» della pandemia da Covid-19 e «avviare il rilancio della nazione che amiamo». Mentre risalgono al 2013 le dichiarazioni sulla «libertà di coscienza e di dialogo» in Futuro e Libertà – cui l’allora senatore aveva aderito – non senza però una netta presa di distanza da «certe idee» che «non sono le nostre: non siamo libertari e nessuno mi farà mai votare sì all’eutanasia e ai matrimoni gay».
Non è un caso che in Polonia, considerata da Massimo Gandolfini un modello per le politiche a tutela della vita e della “famiglia tradizionale”, la stampa filogovernativa è andata ben al di là dal salutare con entusiasmo la nascita del Governo Meloni. Lo spiega a Linkiesta il prof. Jakub Urbanik, docente di Diritto romano presso l’Università di Varsavia, sottolineando come i media di destra si siano soprattutto profusi in elogi proprio verso Valditara e Roccella. A presentarli congiuntamente anche Gazeta Wyborcza, il più importante quotidiano polacco d’orientamento liberale, che ha ravvisato nelle loro nomine «l’intenzione di limitare i diritti civili» da parte di una Giorgia Meloni, «annuente al suo elettorato», ma attenta poi ad affidare «ministeri chiave» a «figure moderate» quali Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto.
Che su certe scelte abbia potuto anche pesare la volontà di dare un’immediata risposta alle aspettative venienti da determinate aree è quanto mai plausibile. Non lo esclude il senatore d’Italia Viva Ivan Scalfarotto, che venerdì ha per primo commentato, via Twitter, la notizia della nomina di Eugenia Maria Roccella a ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità quale segno di «manifesta volontà del nuovo governo di far regredire l’Italia sul fronte dei diritti e delle libertà delle persone. Saremo fermissimi perché si eviti qualsiasi tentazione di una deriva polacca o ungherese». Deriva, a suo parere, tutt’altro che chimerica per l’Italia.
«Volendo fare un esempio – così al nostro giornale – escludo che Meloni riesca a implementare il blocco navale. Di conseguenza, quando lei e il suo esecutivo non potranno adempiere a tutta una serie di promesse, dovranno ripiegare, per soddisfare la pancia del loro elettorato, su alcune questioni particolari. Ora, quelle sui diritti sono perfette, perché c’è al riguardo un minore controllo a livello internazionale. Sarà dunque più facile attaccare i diritti dei singoli e delle minoranze, per compensare il fatto che alcune cose, da sempre dette da Giorgia Meloni, non potranno essere oggettivamente fatte. Quindi il rischio c’è». D’altra parte, continua l’ex sottosegretario all’Interno, «è evidente che questo Governo, impossibilitato a prendere in materia economica o estera decisioni diverse da quelle cui ci costringe la nostra presenza nell’alleanza atlantica e nella Unione europea, sarà portato, con ogni probabilità, a identificarsi come fortemente di destra proprio in settori, dove Ue e Nato entrano meno. E tali sono quelli legati ai diritti. Ecco perché ritengo che la nomina di Eugenia Maria Roccella, ben nota per le dichiarazioni rilasciate negli anni su donne, famiglia, persone Lgbt+, risponda a una precisa strategia politica».
Sulla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, figlia di Franco Roccella, uno dei fondatori del Partito Radicale, e della pittrice Wanda Raheli, sono stati versati negli ultimi giorni i proverbiali fiumi d’inchiostro. Passate al setaccio soprattutto le dichiarazioni su maternità, calo demografico, aborto, al cui riguardo non si darebbe, a suo parere, diritto alcuno secondo l’insegnamento del femminismo della differenza. Affermazione che, artatamente piegata per i propri fini «dalla cattolica integralista arruolatasi in FdI», ha spinto la filosofa Ida Dominijanni, esponente della citata corrente femminista, a darle della persona in mala fede. Lontani i tempi, sì da essere stati forse dimenticati, in cui la radicale Eugenia Maria Roccella, componente della segreteria del Movimento di liberazione della donna, aveva non solo pubblicato con prefazione di Adele Faccio il libro Aborto. Facciamolo da noi ma parlato più volte di diritto all’aborto in quelle 126 pagine.
Per Luisa Rizzitelli, presidente di Assist – Associazione nazionale atlete nonché attivista di One Billion Rising e Rebel Network, «il pensiero politico della ministra è su molte cose lontano anni luce dal femminismo e dai diritti delle donne. Una cosa è certa: il grande mondo del terzo settore italiano è schierato per la difesa della Costituzione e dell’autodeterminazione delle donne. Perciò non permetteremo mai che “leggi mostro”, come quelle viste in Ungheria e in Polonia, vedano la luce in Italia». Lo stesso discorso, così ancora a Linkiesta, «va fatto per ciò che attiene ai diritti delle persone Lgbt+. Roccella si è sempre dichiarata contraria alla legge contro l’omolesbobitransfobia, al matrimonio egualitario, all’accesso alle adozioni da parte di coppie di persone dello stesso sesso. Necessario, dunque, vigilare perché i diritti umani e civili siano sostenuti e garantiti».
Ed è proprio in riferimento alle persone Lgbt+ e alle loro battaglie rivendicative che la ministra si è particolarmente distinta negli anni, dando prova di un’avversione al limite dell’ossessivo. Portavoce del primo Family Day nel 2007, si è opposta strenuamente con dichiarazioni e iniziative ai due successivi ddl di prevenzione e contrasto all’omotransfobia, di cui sono stati rispettivi relatori Ivan Scalfarotto e Alessandro Zan, arrivando, il 6 luglio 2021, a dirsi comunque contraria a un testo di legge, sia pur emendato delle parole identità di genere. Per lei, che ha parimenti sempre minimizzato, quando non negato, un’urgenza omofobia in Italia riducendola a mera ideologia, «la legge Zan anche in versione Scalfarotto» – cioè con l’introduzione delle parole omofobia e transfobia) – è «comunque illiberale e crea disparità di trattamento tra le persone che possono, per i più diversi motivi, essere esposte a bullismo e violenza».
Altra suo cavallo di battaglia la legge sulle unioni civili, la cui approvazione ha contrastato in ogni modo in Aula, per poi proporre nel 2018, ma senza successo, «la strada del referendum popolare», una volta ravvisata l’impossibilità di «abrogare o modificare radicalmente in Parlamento» la normativa. A essere oggetto delle sue ultime invettive è stata invece la Strategia nazionale Lgbt, messa a punto dalla predecessora Elena Bonetti ed entrata in vigore solo il 6 ottobre, tanto da farle parlare di «mossa scorretta» e «insensata» e ad aggiungere «Ricominceremo tutto daccapo con la nostra linea»
Non certamente dei migliori, dunque, il quadro che si prospetta per le persone Lgbt+, anche perché suonano come dolente monito le parole pronunciate da Roccella, il 6 gennaio 2018, durante il convegno Oltre l’inverno demografico di Alleanza cattolica e Comitato Difendiamo i nostri figli. «Il mio impegno nella prossima legislatura – ebbe a dire in quella sede – sarà quello di battermi, insieme agli amici della coalizione di centrodestra, per abolire o cambiare profondamente tutte le leggi approvate dalla sinistra che hanno ferito la famiglia. Penso al provvedimento sulle unioni civili che, va detto con chiarezza, di fatto apre alla stepchild adoption. Per la sinistra, leggi come questa portano verso il progresso; per noi, vanno verso la fine dell’umano».
Yuri Guiana ricorda a Linkiesta come «il costante riferimento della nuova ministra alla locuzione “inverno demografico”, rievoca, chissà quanto consciamente, un documentario del 2008 popolarissimo nei circoli russi e americani del Congresso mondiale delle famiglie e che ha dato la stura (e la giustificazione ideologica) alle politiche anti-lgbt e contro i diritti sessuali e riproduttivi delle donne promosse da evangelicali e russi». Mentre per il senatore Ivan Scalfarotto è impensabile «che si possa tornare indietro su aborto e unioni civili, mettendo mano alle relative leggi. Se ci fosse un solo minimo tentativo in tal senso, le reazioni, è ciò che mi aspetto, sarebbero fortissime non solo nelle aule parlamentari ma nelle piazze. Ogni persona è chiamata a dare il contributo per difendere i diritti acquisiti e deve darlo».