Una stanza scura, lugubre e inquinata da una grossa nube di fumo, da cui però possiamo fuggire raggiungendo una finestra. Dall’altra parte scorgiamo un altro universo: una pala eolica, fiori, farfalle, natura, acqua, vita. Il problema, però, è che questa finestra si sta rapidamente chiudendo. E la scala da usare per arrivarci è rotta, perde pezzi. Quella appena descritta è l’illustrazione che le Nazioni unite hanno scelto di usare come copertina della tredicesima edizione dell’Emissions gap report, da cui emergono pessime notizie. Nulla di particolarmente inaspettato e non in linea con gli studi precedenti, ma leggere certi numeri nero su bianco è sempre utile per avere il reale polso della situazione.
L’Onu ha certificato che siamo lontanissimi dal raggiungimento dell’obiettivo dell’accordo di Parigi di contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali (preferibilmente a 1,5°C). La colpa è principalmente delle attuali politiche sulla riduzione delle emissioni, giudicate inefficienti, deboli e scarsamente credibili: continuando così, entro la fine di questo secolo toccheremo quota 2,8°C di riscaldamento globale (oggi siamo a 1,2°C). Nella migliore delle ipotesi, dunque attuando le promesse e gli impegni presi dai governi in occasione della Cop26 del 2021, si arriverebbe a +2,4-2,6°C. Insomma, in ogni caso non stiamo facendo abbastanza per garantire al nostro Pianeta – e al genere umano – un futuro con la F maiuscola.
«La finestra si sta chiudendo!», recita il comunicato diffuso dalle Nazioni unite, secondo cui gli sforzi per combattere la crisi climatica sono insufficienti sotto ogni fronte. Solo una trasformazione sistemica, immediata e drastica può garantire un taglio netto delle emissioni di gas serra entro il 2030. Non siamo spacciati, ma ci vuole un cambiamento che finora non si è verificato. Secondo il report, per raggiungere l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi (1,5°C) è essenziale ridurre la produzione di gas a effetto serra del 45 per cento rispetto alle previsioni attuali. Per il target minimo (2°C) serve un taglio del 30 per cento. Proseguendo sulla strada di questi anni, però, nel 2030 le emissioni potrebbero essere inferiori solo dell’1 per cento rispetto a oggi.
Serve ripensare da cima a fondo l’approccio della nostra società all’energia, all’industria, ai trasporti, all’edilizia, all’alimentazione e alla finanza: ogni aspetto può risultare fondamentale, le azioni individuali sono importanti, ma l’impulso deve arrivare dalla politica. Senza azioni decise da parte di chi detiene il potere, è impossibile combattere una crisi così ampia e dagli effetti così pervasivi. L’appello è rivolto specialmente agli emettitori storici, come l’Europa, la Cina o gli Usa, che devono prendersi la responsabilità di aver prodotto oltre il novanta per cento dei gas serra che circolano nell’atmosfera.
«Per evitare una catastrofe globale, il mondo deve ridurre le emissioni del 45 per cento». L’Onu, che ha definito inadeguati gli impegni presi a margine della Cop26 del 2021, è stata molto chiara sotto questo aspetto. Al momento, però, «non esiste nessun percorso credibile» per tirare un sospiro di sollievo. «Abbiamo avuto la nostra opportunità di apportare modifiche incrementali, ma quel tempo è finito. Solo una trasformazione radicale delle nostre economie e della nostra società può salvarci dall’accelerazione del disastro climatico», ha detto Inger Andersen, direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep), durante la presentazione del report.
«Dobbiamo portare con noi il cambiamento climatico ovunque andiamo. Nelle aule, nelle sale del consiglio, nella cabina elettorale, sul tavolo da pranzo. Non possiamo perdere di vista il cambiamento climatico», ha aggiunto Andersen. «Le raccomandazioni del report di oggi sono chiare: poniamo fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili e investiamo massicciamente nelle rinnovabili. Gli impegni per il “net-zero” valgono zero senza piani, politiche e azioni di sostegno. Il nostro mondo non può più permettersi il greenwashing», ha invece dichiarato António Guterres, segretario generale delle Nazioni unite. L’ennesimo grido d’allarme della comunità scientifica, però, è destinato a rimanere nell’ombra. Altrimenti non ci troveremmo in questa situazione.
L’Emissions gap report è stato pubblicato a pochi giorni dall’inizio della Cop27 di Sharm el-Sheik (6-18 novembre): un appuntamento che, anche a causa della partnership con un brand come Coca-Cola (il più grande inquinatore di plastica al mondo), ha già perso una fetta di credibilità soprattutto tra i membri delle organizzazioni ambientaliste.