Per 49 milioni di bambine e bambini l’istruzione è a rischio collasso. Questo è il primo dato più significativo che emerge dal rapporto “Build forward better”, una classificazione di 182 Paesi realizzata da Save the Children in base alla vulnerabilità del loro sistema scolastico, ai rischi che minacciano il diritto all’apprendimento delle bambine e dei bambini e alla mancanza di preparazione ad affrontare questi rischi, presentato alcuni giorni addietro.
Tra i Paesi toccati dall’indagine c’è l’Afghanistan, contraddistinto dal livello più alto di rischio di crollo del sistema educativo: passare dal quarto posto occupato nel 2021 a essere oggi il primo della lista è uno degli effetti del controllo dei Talebani sul futuro dei bambini e, in particolare, delle bambine. A seguire troviamo Sudan, Somalia, Mali, Nigeria, Siria, Eritrea e Gibuti, ossia Paesi caratterizzati da popolazioni numerose e da alti livelli di insicurezza alimentare.
È infatti acclarato che bambine e bambini che non vanno a scuola tendono ad avere più difficoltà a recuperare gli anni persi, diventando così più vulnerabili alla fame, alla violenza, agli abusi, al lavoro minorile e al matrimonio infantile. Questo accade soprattutto – evidenzia il rapporto – alle bambine e ai bambini che vivono in Paesi a basso reddito, nei campi profughi e nelle zone di guerra.
Per quanto grande possa essere il numero di cui parla Save the Children, è veramente minimale se solo alziamo l’asticella e andiamo a misurare quanti nel mondo accedono a un’istruzione di qualità. Secondo i dati di Unicef, a fronte di un miliardo di bambini da istruire – stiamo parlando del numero più alto della storia – l’umanità non ha mai visto così tanti bambini e ragazzi non accedere all’educazione. Vuoi per via della mancanza di insegnanti qualificati, per i materiali di apprendimento inadeguati o per la scarsità di strutture igieniche, l’apprendimento per molti bambini è proibitivo. Cosicché almeno 617 milioni di essi non sono in grado di raggiungere livelli minimi di competenza in lettura e in matematica, anche se due terzi di loro frequenta la scuola.
In Italia, certifica Istat, nel 2021 abbiamo visto una battuta d’arresto sia nel numero di diplomati, sia di chi ha conseguito un titolo terziario. Inoltre, continuiamo ad avere il numero più basso d’Europa di persone che proseguono oltre la terza media, e la certezza che uno studente su due conclude il percorso scolastico senza acquisire le abilità di base!
Eppure, quello dell’istruzione (o dell’education, per adoperare il termine internazionale) è un settore particolarmente interessante anche per il mondo degli investimenti. Sappiamo infatti che il valore di questo mercato, pur se attualmente sottostimato, è di 6.000 miliardi di dollari ma si calcola che raggiungerà i 10.000 miliardi entro il 2030. Dunque, come mai si attesta tra i settori più penalizzati?
Secondo Robert Proctor, storico della scienza americano e professore di Storia della scienza alla Stanford University (oltre che autore di Agnotology: The Making and Unmaking of Ignorance), stiamo vivendo nella cosiddetta “età dell’oro dell’ignoranza”, che viene «deliberatamente prodotta da potenti forze per lasciarci nel buio». Tra i casi di ignoranza prefabbricata, l’esperto cita l’enorme influenza che hanno avuto i gruppi economici organizzati – come i grandi produttori di sigarette, l’industria del petrolio e le grandi imprese che vendono bibite con dannosi quantitativi di zucchero -, che diffondono informazioni fuorvianti nella società.
Ma oltre alle lobby industriali, ad esser capace di orientare l’opinione pubblica diffondendo dati falsificati c’è anche un certo tipo di propaganda politica, che mistifica la realtà e manipola i dati per ottenere consensi. «Per arginare il dilagare della cattiva informazione, bisogna prendere coscienza che l’ignoranza indotta è una realtà da cui metterci in salvo tempestivamente, affidandoci a fonti attendibili, facendo sempre riferimenti a dati certi e mai approssimativi e imparando a discernere la verità dalla menzogna. Per farlo è necessario investire energie, tempo e soprattutto maggiori risorse nell’istruzione e nello sviluppo del pensiero critico, perché crearsi un bagaglio di conoscenze è un requisito essenziale per destreggiarsi nella moltitudine di stimoli e informazioni che riceviamo ogni giorno», aggiunge Robert Proctor.
L’acuta sollecitazione che deriva dalle tesi del professor Proctor è la seguente: se storicamente i filosofi si sono occupati della conoscenza, oggi è più che mai urgente occuparci dell’ignoranza. L’agnotologia (dal greco agnosis) ha proprio lo scopo di designare la scienza dell’ignoranza, la storia dell’ignoranza, la politica dell’ignoranza e specialmente i sistemi di produzione dell’ignoranza.