A guardare lo scenario raffigurato dal Rapporto annuale dell’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, presentato nella giornata inaugurale del Festival dello sviluppo sostenibile, di granelli di sabbia nella clessidra che scandisce l’agenda per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dall’Onu ne sono rimasti ben pochi.
E, sebbene dal 2010 in poi l’Italia abbia compiuto importanti passi avanti in diversi obiettivi quali l’accesso a una corretta alimentazione a un’agricoltura più sostenibile, passando per salute, educazione, uguaglianza di genere, sostenibilità del sistema energetico, innovazione, consumo e produzione responsabili e lotta ai cambiamenti climatici, oggi, a causa soprattutto dell’insieme di fattori come la pandemia, il conflitto in Ucraina, la crisi climatica, questa crescita si è fermata.
Lo scorso anno, ci dice il Rapporto, l’Italia di fatto ha migliorato i propri standard solo nell’ambito di due obiettivi: il numero sette, che tratta di energia pulita e accessibile, e il numero otto, relativo al lavoro dignitoso e crescita economica. Obiettivi che tuttavia sono a rischio flessione se si considera da un lato la decisione del governo di portare a massimo regime le centrali a carbone in via provvisoria, e dall’altro la recessione pronosticata da molti economisti a causa dell’aumento dell’inflazione.
Inoltre, va detto, come ha fatto la presidente dell’ASviS Marcella Mallen, «che dal 2019 al 2021, abbiamo registrato un aumento delle disuguaglianze di reddito, una crescente difficoltà del sistema sanitario di rispondere alle esigenze dei cittadini, specialmente dei più deboli, e un arretramento degli indicatori ambientali, in particolare quelli sul consumo di suolo e sulla gestione delle risorse idriche».
Il documento dell’ASviS, non nasconde, anzi sottolinea, che «stiamo superando la soglia tra un periodo storico in cui la crescita di produzioni e consumi, seppur con molte contraddizioni, genera un’analoga diffusione del benessere, dei diritti e della giustizia sociale a un nuovo periodo in cui la generazione della ricchezza economica porta benefici a una fascia di popolazione progressivamente più ristretta».
È l’era delle disuguaglianze, insomma, quella che rischia di affermarsi e che ci chiama in causa, ancora più di prima, perché senza un cambiamento non c’è un futuro possibile. «Eppure, per le politiche di sostenibilità in Italia il 2022 era iniziato con una buona notizia. I principi fondamentali della Costituzione sono stati per la prima volta aggiornati, con la riforma dell’articolo 9, introducendo la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Analogamente, nella parte della Carta costituzionale che riguarda i rapporti economici, è stato aggiunto all’art. 41 il concetto di tutela dell’ambiente nello svolgimento delle attività pubbliche e private».
Pur tuttavia, nel documento introduttivo al Rapporto ASviS si legge che «lo scioglimento anticipato (e inaspettato) delle Camere ha portato il Paese, dopo una breve campagna elettorale, alle urne il 25 settembre, settimo anniversario dell’Agenda 2030. Ancora non conosciamo composizione e programma del futuro Governo, ma ci impegniamo, come abbiamo fatto dal 2016 quando è nata l’ASviS, in due legislature e con cinque governi di diverso colore politico, a far sì che lo sviluppo sostenibile continui a raccogliere sostegno trasversale, con misure concrete».
I prossimi cinque anni saranno fondamentali, chiosa dunque il rapporto, per raggiungere tre grandi obiettivi sui quali il Paese è già impegnato: la realizzazione del Pnrr, con riforme e investimenti fondamentali per la sostenibilità istituzionale, sociale, economica e ambientale del Paese, che devono essere completati entro il 2026; la realizzazione della giusta transizione ecologica, incluso l’abbattimento del 55 per cento delle emissioni climalteranti entro il 2030, come concordato in sede europea e il conseguimento degli Obiettivi e Target dell’Agenda 2030 che riguardano l’Italia.