Una volta qui...L’amico più amato dall’allevatore

Un viaggio tra Monferrato e Langa astigiana alla scoperta di uno dei suoi principali allevamenti, quello del Bue Grasso di razza Piemontese

Foto courtesy Fiera Nazionale del Bue Grasso di Carrù

L’appuntamento è nella piazza della chiesa di Bergamasco, un piccolo paese appoggiato sulle prime colline tra Alessandria e Nizza Monferrato, in Piemonte. Dalle macchine scende una dozzina di persone, in arrivo da Torino e Milano su invito di Alberto Mosca, a Biella titolare di Mosca1916, macelleria gastronomia di lunghissima tradizione e uno dei principali punti di riferimento, non solo regionale, per il Bue Grasso di razza Piemontese.

Negli anni la famiglia Mosca ha stretto rapporti con i migliori allevatori del Piemonte, tanto che i capi destinati alla bottega di Biella sono spesso vincitori di premi alle fiere di Carrù e di Moncalvo, i principali eventi dove si incontra la domanda e l’offerta di questi imponenti animali dalla carne pregiata.

Alcuni degli allevamenti da cui Mosca acquista buoi si trovano nel Monferrato e nella Langa astigiana: per questo Mosca ha organizzato quello che si potrebbe definire un viaggio di istruzione lungo la filiera del bue chiamando a conoscere il prodotto storici clienti nel mondo della ristorazione. In piazza a Bergamasco infatti si incontrano Igor Macchia, chef stellato del ristorante La Credenza di San Maurizio Canavese, in provincia di Torino, alla guida anche di CasaFormat e della pizzeria contemporanea SP143 , accompagnato da alcuni dei suoi collaboratori di sala e di cucina; da Milano arriva invece Demis De Luca, responsabile delle carni al ristorante Contraste, stella Michelin dello chef Matias Perdomo.

Per incontrare la prima scoperta della giornata non serve allontanarsi troppo dalla piazza di Bergamasco. Proprio qui, infatti, si affaccia la macelleria che la famiglia Guastavigna conduce dal 1938. Il negozio è un tempio per gli amanti della carne, non a caso punto di riferimento per consumatori e ristoratori, non solo della zona. La sorpresa maggiore però, è la contiguità degli spazi, testimone di un mondo quasi scomparso.

Il filo rosso che li lega è Gian Paolo Guastavigna, un uomo di 72 anni da cui traspare passione per il suo lavoro ancor prima di sentirlo parlare. «L’ultimo chiuda la porta, altrimenti escono i cani», ci ammonisce prima di farci entrare in casa sua, a fianco della bottega. Pochi passi e siamo nell’aia su cui affaccia una stalla molto diversa da quelle a cui siamo abituati. Ci sono le mangiatoie di legno, come una volta, e sul pavimento uno strato di paglia spesso anche 50 centimetri «Lo teniamo costantemente pulito – spiega Guastavigna – serve a rendere l’ambiente più confortevole così i buoi si sdraiano più volentieri e possono riposarsi».

Eccoli, i buoi. Animali imponenti e mansueti, bianchi come tipico della razza piemontese, che arrivano a pesare anche una tonnellata e mezza. Come Gino, un esemplare gigantesco di 1450 chili, già comprato da Alberto Mosca e che a dicembre parteciperà, con buone speranza di vittoria, alla Fiera del Bue Grasso di Moncalvo.

Un tempo i buoi erano “trattori viventi”, usati dai contadini per i lavori nei campi, infatti un paio degli esemplari di Guastavigna provengono da quella carriera. Oggi sono ancora impiegati in qualche parata o festa di paese, ma per lo più sono animali apprezzati per la loro carne gustosa e aromatica, tenerissima, ricca in ferro e povera di grasso intramuscolare.

Questo risultato dipende da caratteristiche genetiche, dalla vita che conduce l’animale e dalla sua alimentazione. I vitelli di razza Piemontese destinati a diventare buoi vengono castrati idealmente tra i tre e i cinque mesi di vita, poi vengono selezionati da allevatori come Guastavigna che li accompagnano in un percorso di crescita inusualmente lungo per un bovino da carne. I buoi infatti giungono alla piena maturazione dopo i quattro anni, ma spesso vengono macellati a cinque, quando sono all’apice del peso (in media tra 1200 e 1500 chili) e in buona salute.

L’alimentazione è a base di fieno, cereali e proteine, ma ogni allevatore ha la sua ricetta “magica”. Quella di Guastavigna prevede fieno di Nizza Monferrato (la sua stalla con una decina di esemplari ne consuma un quintale al giorno), loietto, e una miscela composta da pannello di maso, pannello di lino, orzo, mais, granturco fioccato, lino in semi, crusca e latte in polvere. Niente additivi, nessun semilavorato industriale. «In compenso ogni animale riceve tre uova di gallina al mattino e due la sera, oltre ad acqua mantenuta sempre tiepida per proteggere l’apparato digerente e somministrata a mano».

Allevare questo tipo di animali richiede fatica, tempo e risorse, perché l’animale deve crescere a lungo e gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo.  «Un allevamento così – spiega Alberto Mosca – è una specie di scuderia corse che sfugge alle regole economiche che governano la zootecnia. È qualcosa al confine tra attività economica e passione a cui dedicare le energie migliori, proprio per questo dà risultati straordinari».

Passione. Di collina in collina, di recinto in recinto, ecco ciò che lega questi allevatori. A Incisa Scapaccino, poco distante da Bergamasco, Giuseppe Porta, 70 anni, quasi si schermisce quando gli chiedo cosa lo spinge a fare questo lavoro: «Sai, lo faceva già mio padre, e mio nonno prima di lui». Il suo è un allevamento a ciclo completo, cioè si si basa quasi esclusivamente su animali il cui intero ciclo di vita si svolge all’interno della fattoria. Questo significa, tra le altre cose, che gli animali si vendono quando ci sono e le richieste del mercato passano in secondo piano.

«Quest’anno abbiamo pronto un esemplare di cinque anni, mentre per questo se ne riparla l’anno prossimo», dice Porta indicando un animale di quattro anni. E Mosca, dirimpetto, annuisce: «So che da un allevamento come questo ci possono arrivare al massimo una o due bestie all’anno, ma assieme a loro acquisto una cultura fatta di ricerca della qualità assoluta raggiunta attraverso la cura e il benessere dell’animale».

Da qui a San Desiderio, frazione di Monastero Bormida, ci sono una trentina ci chilometri di strada.
I cartelli indicano Savona e in effetti il confine con la Liguria è ben più vicino di quanto non sia il centro del Piemonte. La sagoma di legno d’un bovino indica dove deviare per raggiungere la cima della collina, dove la famiglia Merlo gestisce un allevamento di bovini e suini neri piemontesi, il macello, il punto vendita, l’agriturismo con ristorante e camere.

È l’ora di pranzo: prima di visitare l’allevamento ci accomodiamo in un’ampia sala tutta ricoperta di legno. È qui che, tra una portata e l’altra, prevedibilmente a base di carni e salumi prodotti dall’azienda (eccezionali i salami e il prosciutto crudo di suino nero piemontese), Igor Macchia spiega cosa significa per chi lavora nella ristorazione poter approfondire la conoscenza delle materie prime: «Ho voluto che oggi mi accompagnassero alcuni dei ragazzi delle mie cucine perché è importante che conoscano il valore del Bue Grasso, in termini gastronomici, economici e soprattutto di rispetto verso questo magnifico animale». La carne di qualità è un elemento importante per la cucina di Igor Macchia, soprattutto a Casa Format, il ristorante con annesso orto di Orbassano, alle porte di Torino.

«Proprio a Casa Format – racconta Macchia – da cinque anni dedichiamo al Bue Grasso un menu speciale, in carta da novembre alla primavera. La carne di bue è ottima, mai stopposa o asciutta e in cucina si presta a tantissime preparazioni. Di solito noi abbiamo in menu la lingua di bue, che è eccezionale, le costate, la trippa, la carne cruda, gli agnolotti. Anche un piatto tradizionale come l’arrosto della vena fatto con la carne di Bue Grasso ha una marcia in più».

E una marcia in più deve averla anche Francesco Merlo, se a 88 anni coordina ancora il lavoro di tutta la famiglia: in totale sedici elementi, di cui dodici impiegati a vario titolo in azienda.
Nell’ambiente, Merlo gode di una grande reputazione per la sua capacità di individuare tra i vitelli gli esemplari geneticamente più adatti a diventare buoi di pregio: «È una cosa che dipende dall’allenamento, dall’esperienza – spiega – Quando l’animale ha 40 giorni di vita noto già particolari che mi fanno capire come diventerà quando peserà 500 o 600 chili».

Saper prevedere le caratteristiche morfologiche è importante, perché non tutti gli animali crescono in modo simile. La caratteristica più importante, nel Bue Grasso, è la cosiddetta fassona, impropriamente scambiata per la razza, che invece è sempre Piemontese. Con fassona (o fassone) si indica un’ipertrofia muscolare che rende i posteriori degli animali molto evidenti. Nelle fiere, i Buoi Grassi vengono divisi in tre categorie a seconda del volume della muscolatura: nostrani, migliorati e fassoni (o “della coscia”), definizione che indica animali con una curvatura del posteriore particolarmente accentuata.

La bellezza dell’animale, la soddisfazione per averlo cresciuto e il piacere di averlo acquistato traspaiono mentre Alberto Mosca, Francesco Merlo e il nipote Danilo passano in rassegna ogni esemplare. Per ognuno c’è l’attenzione che si riserva a ciò che è prezioso e questi animali preziosi lo sono davvero. In termini economici, certo, ma anche e forse più in quanto esseri viventi e per la cultura che rappresentano.

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