Visualizzate un lago. Di che colore è? Molto probabilmente blu, perlomeno nell’immaginazione. In realtà, come ha notato recentemente uno studio che ha monitorato dal 2013 al 2020 oltre ottantacinquemila laghi in tutto il mondo, solo il trentuno per cento è di questo colore. Il restante sessantanove per cento è invece verde o marrone, ma si tratta di una percentuale che secondo Xiao Yang e Catherine M. O’Reilly, principali autori della ricerca, potrebbe crescere ulteriormente a causa del riscaldamento globale.
Il colore dei laghi, facilmente identificabile anche nelle zone più remote grazie ai satelliti, è considerato un indicatore importante dell’andamento del clima e dell’ecosistema lacustre, come riconosce anche il Global Climate Observing System. Ci sono numerosi fattori che influenzano questa caratteristica, tanto che persino due laghi che giacciono uno accanto all’altro potrebbero avere colori differenti: giocano un ruolo più o meno importante il contesto idrogeologico, la temperatura, la profondità, le precipitazioni, la vegetazione sulle sponde e sul fondale, la presenza di molecole in sospensione…
Nonostante le tante variabili, però, ci sono alcune tendenze generali che suggeriscono dove è più probabile trovare laghi blu o non blu. Gli specchi d’acqua meno profondi oppure nelle regioni costiere, interne o più aride sono tendenzialmente verdi o marroni, anche per via della maggiore presenza di alghe e residui di piante in decomposizione. I laghi blu, invece, sono in genere più profondi e concentrati nelle zone fredde e ad alta quota, spesso caratterizzate da temperature estive inferiori ai diciannove gradi centigradi. Proprio le estati non calde, come anche la più probabile presenza di una copertura di neve e ghiaccio in inverno, riducono la crescita di alghe e la presenza di molecole organiche e biomassa che porterebbero la colorazione delle acque verso il verdognolo.
A causa della crisi climatica e del riscaldamento globale, però, le estati fresche e gli inverni nevosi non sono più così scontati, nemmeno ad altitudini elevate. Il trimestre giugno-agosto 2022 è stato il più caldo degli ultimi vent’anni in Europa e tutte le “zone alte” del mondo stanno soffrendo in modo significativo l’aumento delle temperature: in Italia persino a tremila metri in estate si toccano ormai i venti/venticinque grandi centigradi. Secondo Yang, O’Reilly e altri ricercatori, se le temperature estive continueranno ad alzarsi e la perdita della copertura di ghiaccio invernale proseguirà inalterata, i laghi blu nelle regioni con elevate precipitazioni avranno meno probabilità di persistere.
A rischiare questo cambio di colorazione sarebbe il quattordici per cento degli specchi d’acqua attualmente blu-azzurri, localizzati in particolare nell’Europa settentrionale e nelle aree a nord-est di Stati Uniti e Canada. Questa tendenza è stata evidenziata anche da uno studio pubblicato nel 2021 che, dopo aver monitorato lo stato dei laghi artici-boreali dal 1984 al 2019, ha concluso che esiste una relazione tra il colore di questi specchi d’acqua e l’aumento delle precipitazioni e delle temperature.
Cosa succede quando un lago cambia colore
Il cambiamento di colore di un lago non è una mera questione estetica, ma tende a riflettere un’alterazione più profonda, e potenzialmente problematica, dell’ecosistema lacustre. «L’acqua azzurra generalmente è sintomo di limpidezza», spiega Pietro Volta, ricercatore all’Istituto di Ricerca sulle Acque del Cnr. «Quando un lago si riscalda, si modificano le dinamiche di mescolamento delle acque, diminuisce l’ossigeno, si forma più fitoplancton, e quindi microalghe in sospensione; si modificano dunque le biocenosi… La proprietà fisica del colore di fatto rispecchia una variazione delle caratteristiche biologiche del lago stesso. Che questo sia un problema o meno, dipende: ci sono dei gradienti. Se vogliamo trovare una sorta di schema generale, la tendenza è al peggioramento della qualità delle acque».
Certamente la situazione diventa critica nel momento in cui l’ecosistema lacustre non è in grado di adattarsi ai cambiamenti. Alcune forme di vita potrebbero reagire spostandosi più in profondità o modificando la stagionalità del proprio ciclo vitale, ma ciò avrebbe comunque delle conseguenze sull’equilibrio dell’intero ecosistema e potrebbe mettere in maggiore difficoltà le specie autoctone, facendo invece prosperare quelle non autoctone.
I possibili effetti negativi non riguardano però solo le specie animali e vegetali che abitano i laghi, ma anche le attività umane, perché talvolta viene compromessa la possibilità di usare le acque dolci per scopi idropotabili. Quando la trasparenza del lago peggiora e si altera l’ecosistema, uno degli effetti a cascata che si osserva soprattutto nei laghi poco profondi è infatti la crescita anomala «di componente algale microscopica e cianobatteri, che possono poi sviluppare tossine. Spesso l’acqua diventa inutilizzabile, sia per la balneazione che per l’utilizzo a scopo idropotabile, perché queste tossine algali non vengono abbattute dalla disinfezione classica», spiega Volta.
Il problema dell’eutrofizzazione
Il riscaldamento globale accelera il cosiddetto processo di eutrofizzazione dei laghi, che sostanzialmente consiste «in un arricchimento di nutrienti, in particolare fosforo e azoto, nella colonna d’acqua», prosegue l’esperto. Su larga scala è un evento naturale: tutti i laghi vanno incontro all’eutrofizzazione nell’arco di centinaia di anni, ma questo processo può essere accelerato dall’attività umana, ad esempio per colpa di sversamenti e scarichi fognari, o essere appunto amplificato dai cambiamenti climatici. «Il riscaldamento delle acque determina una serie di effetti: ad esempio, la colonna d’acqua non si mescola o lo fa con più difficoltà, e quindi l’ossigenazione delle acque profonde viene a mancare. Acque profonde senza ossigeno comportano la rimobilitazione dei nutrienti deposti nei sedimenti. Questo è un effetto abbastanza noto, ma ce ne sono anche di secondari. L’esempio più classico: i pesci sono più piccoli e numerosi, così da determinare una maggiore predazione sullo zooplancton di maggiori dimensioni. Questa importante componente dell’ecosistema lacustre sarà dunque caratterizzata a sua volta da organismi più piccoli, incapaci di tenere a bada il fitoplancton, che diventa particolarmente abbondante e degradandosi consuma ossigeno, innescando il meccanismo appena illustrato».
Un’analisi condotta su 393 laghi del mondo, tra cui il lago Maggiore, nota che la diffusa e accentuata diminuzione dell’ossigeno disciolto nelle acque dei laghi, causata dal riscaldamento globale, ha dinamiche diverse in superficie e nelle profondità ed è persino superiore a quella osservata negli oceani.
Il caso del lago di Varese
Nel momento in cui è causato o accelerato da attività umana e crisi climatica, il processo di eutrofizzazione di un lago è difficilmente reversibile. In alcuni casi si possono adottare soluzioni-tampone, spiega Volta, «dove i sistemi di depurazione e di collettamento delle fognature possono invertire o rallentare il fenomeno. Ciò però è meno probabile nei piccoli laghi, che mantengono una grossa quantità di nutrienti immagazzinata soprattutto nei sedimenti».
Un caso interessante, e un’indicazione della via da seguire in futuro, è il lago di Varese: di medie dimensioni e con una profondità di circa 40 metri, questo lago è andato incontro in passato a una profondissima eutrofizzazione e sono in atto interventi per migliorare la situazione e invertire il trend, in primis attraverso il prelievo delle acque profonde. «Durante il periodo di stratificazione, quando le acque profonde non si mescolano con quelle superficiali e quindi tendono a impoverirsi di ossigeno, le prime vengono prelevate con una grossa tubatura, pompate all’esterno e poi veicolate nel lago Maggiore. In questo modo i nutrienti che vengono mobilizzati dai sedimenti nel periodo di anossia (cioè nel periodo di riduzione dell’ossigeno, ndr) non tornano disponibili nel lago, ma vengono sostanzialmente asportati».
L’intervento è condotto da Regione Lombardia, che è l’ente di riferimento, con il supporto tecnico-scientifico di Arpa Lombardia e dell’Istituto di ricerca sulle acque. «Quest’anno sembra che l’operazione abbia dato i primi frutti: infatti si è tornati a fare il bagno nel lago di Varese, cosa che non era possibile fino a pochissimo tempo fa».
C’è poi un secondo intervento fondamentale in fase di realizzazione: il miglioramento della rete delle acque reflue. «In generale, ci si trova ad avere a che fare con sistemi di depurazione e collettamento delle acque che risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta, calibrati su una popolazione molto meno numerosa e che non sono pronti per reggere i grandi eventi piovosi. Semplificando, acque nere e acque bianche finiscono nella stessa tubazione e quando arriva troppa acqua, come accade negli eventi climatici estremi, quello che c’è dentro tracima e finisce nei laghi e nei fiumi. Si sta quindi cercando di migliorare la mappatura degli impianti di collettamento e l’infrastruttura. È un intervento che dovrebbe essere fatto intorno a tutti i laghi e i fiumi».