Fuori da un seggio elettorale in Florida, dov’è residente, i giornalisti chiedono all’ex presidente americano Donald Trump per chi ha votato. Ron DeSantis, risponde lui. È successo alle elezioni di Midterm, potrebbe risuccedere alle presidenziali del 2024. Fantapolitica, almeno per ora, ma i Repubblicani non hanno sfondato come speravano: l’unica «marea rossa» è stata quella del tifone “Nicole” al largo delle coste della penisola.
Così la riconferma plebiscitaria del governatore, che in tutte le contee ha incrementato il vantaggio del tycoon al voto del 2020, lo candida virtualmente alla corsa per la nomination tra due anni. «Two more years» cantano sotto il palco i suoi sostenitori, alludendo a un mandato da interrompere in anticipo per puntare alla Casa Bianca. Le posizioni della nuova stella dei conservatori, però, sono in continuità con l’ideologia estrema e cospirazionista intrisa nel Gop. È presto per sapere se potrà essere un’alternativa a Trump, ma l’universo è sempre quello dell’alt-right.
Più Trump, meno Trump
Il rischio di gonfiare i pronostici è deluderli. I presidenti in carica di solito perdono le Midterm perché vengono considerate dall’elettorato una specie di referendum sul loro operato. Trump le ha rese per la prima volta un referendum su un ex presidente. I Democratici hanno retto meglio delle aspettative. Dei molti duelli, uno dei più simbolici è quello dove John Fetterman ha sconfitto Mehmet Oz in Pennsylvania, battuta negli ultimi giorni di campagna da tre ex inquilini della Casa Bianca.
Il magnate aleggiava sulle primarie dei Repubblicani. L’ottantadue per cento dei candidati che hanno ricevuto il suo endorsement aveva buone chance di vittoria, per un’analisi del Washington Post. In alcuni casi si è accodato a chi era già considerato favorito, in altri ha orientato la scelta. Per restare in Pennsylvania, a questa fattispecie appartengono rispettivamente Doug Mastriano, appoggiato dalla base, e Oz, spinto da Trump. Il primo ha perso con distacco la sfida per diventare governatore, il secondo ha mancato di poco il seggio al Senato.
C’è un duplice paradosso in questa polarizzazione. I moderati sosterranno che la reputazione tossica dell’ex presidente è costata voti; i radicali il contrario, perché non c’era il suo nome sulla scheda. L’ala trumpiana insisterà per modellare di più il partito a immagine dell’ex presidente, ancora capo incontrastato del Grand Old Party. Quella centrista, sempre meno numerosa, sosterrà che è stata proprio la sua presenza ad alienare indecisi e indipendenti. Più Trump e meno Trump, al tempo stesso. Risolvere il dilemma in una direzione o nell’altra potrebbe essere una mera questione di calcolo politico.
Sorpasso a destra
Tra Tallahassee, la capitale della Florida, e Washington Dc ci sono 869 miglia. Per percorrerle, il governatore potrebbe impiegarci due anni. A metà tra progetto e sogno, è il film del Team DeSantis, il motore della campagna. Sotto il palco, nella notte di festa, gli hanno gridato «Two more years». La carica dura quattro anni, lasciarla prima vorrebbe dire scommettere su una sterzata della carriera. Lui non ha negato – sul tema si schernisce, è autodifesa – ma li ha ringraziati sorridendo.
La sua vittoria nel Sunshine State, per dimensioni, ha offuscato quelle attribuibili in vario modo alla leadership di Trump. «Un solo possibile candidato alla nomination presidenziale repubblicana del 2024 ha trionfato martedì: e non è stato Donald Trump» ha scritto il Washington Post. In un feudo del Gop, DeSantis ha superato le percentuali del tycoon nel 2020 in tutte le contee. Ha staccato il democratico Charlie Crist di quasi il venti per cento.
La vera prova di forza è stata strappare ai dem il collegio di Miami-Dade County. Non succedeva dal 2002, epoca di Jeb Bush. Nel 2018, lì aveva perso di venti punti, ieri è prevalso con un vantaggio a due cifre. Il risultato incoraggia le sue ambizioni, ma proiettarle su scala nazionale è un altro discorso. Il suo comitato politico ha raccolto ben duecento milioni di dollari, novanta dei quali non spesi, pronti a finanziare la prossima mossa. Volendo, lo slogan c’è già: «Getting things done».
Moderato a chi?
Il programma di DeSantis riflette la mutazione genetica del partito che fu di Lincoln. Basta ascoltare il discorso dal podio, il motto sulla «libertà qui per restare» dove il termine viene strumentalizzato, un po’ come «pacificazione» dai putiniani dormienti sull’Ucraina. Restiamo in America, la libertà in salsa alt-right è quella della crociata contro l’«ideologia woke», che il governatore promette di voler sradicare, in un crescendo, da scuole, aziende e istituzioni. Ma è pure imbevuta di negazionismo sanitario.
La Florida ha rivendicato l’allentamento delle restrizioni anti-coronavirus ad aprile 2020, quando ancora non c’era un vaccino. Ottantadue mila morti dopo, il bilancio delle vittime è il terzo peggiore degli Stati Uniti. «Abbiamo scelto i fatti contro la paura, l’educazione contro l’indottrinamento, l’ordine della legge contro le sommosse e il disordine – ha arringato –. La Florida è stata il rifugio del buonsenso mentre il mondo impazziva». Rivendica di «aver ridisegnato la mappa politica». Nei dati, è vero.
Hanno pagato scelte controverse, dall’aperturismo sulla pelle dei più fragili durante la pandemia al divieto di trattare tematiche Lgbtq+ nelle classi o il razzismo sistemico nelle lezioni di Storia. La legge è stata ribattezzata «Non dire gay» dagli attivisti, gli è valsa il prime time su Fox News. Quando la Corte suprema oscurantista ha eliminato il diritto costituzionale all’aborto, DeSantis ha esultato per le «preghiere di milioni di persone» a suo avviso esaudite e ha firmato una legge, contestata dalla giustizia locale, per impedire l’interruzione di gravidanza dopo la quindicesima settimana.
Il decoupling dall’ex presidente
Il governatore sa giocare con i media, da cui viene ritratto come un «Trump con il cervello». Una trovata a loro beneficio è stata far imbarcare su un aereo un gruppo di richiedenti asilo venezuelani per scaricarli a Martha’s Vineyard, una sorta di Capalbio del Massachusetts. A parte questo, a quarantaquattro anni ha un curriculum spendibile ai caucus. Studi a Yale, dove è stato capitano della squadra di baseball, e poi Legge ad Harvard. Ha sposato Casey, un’ex giornalista di una tv locale che nella bio di Twitter si definisce già «first lady».
Oggi della Florida, domani chissà. Una coppia, e una famiglia visto (hanno tre bambini), che secondo il New Yorker sembrano uscite da un volantino elettorale. DeSantis li ha fatti recitare in uno spot del 2018, tempo di alta fedeltà trumpiana: a uno suggerisce di costruire un muro con i mattoncini di plastica, racconta il «Sei licenziato» di The Apprentice come favola e insegna a leggere a partire dalla frase «Make America Great Again». Con il suo idolo di allora, oggi è in rotta di collisione.
Il tycoon, ufficialmente, non si è ancora ricandidato. Ha promesso «un annuncio molto speciale» per giovedì 15 novembre. I retroscenisti dicono che ha aspettato per le pressioni di spin doctor e candidati che temevano l’impatto sulle urne della notizia di una nuova discesa in campo. Intanto, lui ha già iniziato a sparare a zero contro il potenziale rivale. Ha coniato un nomignolo offensivo, «DeSanctimonious», e l’ha minacciato: «Se correrà, vi dirò cose non molto lusinghiere su di lui, lo conosco meglio di chiunque altro, forse persino più di sua moglie, che è la vera artefice della sua campagna».
Ron e i suoi fratelli
Ci sono altri nomi in lizza. Il senatore Tim Scott della South Carolina, il governatore della Virginia Glenn Youngkin e quello della Georgia, Brian Kemp. Le file di neoeletti, come ha documentato il New York Times, sono fitte di gente che crede alle palle golpiste di Trump sulla «frode elettorale» del 2020. «Il problema di Trump ha a che fare con lo stile, non con il contenuto – ha commentato Cas Mudde, uno dei massimi esperti di populismo –. Non riguarda l’ideologia di estrema destra, che è condivisa o almeno accettata dai più, ma il messaggio». Cioè la vulgata che ritiene DeSantis una versione ripulita del mandante dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.
DeSantis potrebbe farsi da parte un turno e aspettare, per una ribalta indisturbata nel 2028. Dovrà prendere una decisione, quando la nube di coriandoli si diraderà.