Midterm con vista Putin spera nei repubblicani per indebolire il sostegno americano all’Ucraina

L’esito alle urne, con la probabile avanzata dell’ala trumpiana, potrebbe influire sulla capacità del presidente Biden di continuare a inviare miliardi di aiuti militari a Kyjiv

L'ex presidente americano Donald Trump durante un comizio per le elezioni Midterm
AP Photo/Jacqueline Larma

Storicamente negli Stati Uniti le elezioni di Midterm, che hanno un impatto importante sul raggio d’azione del governo nei due anni successivi, non sono favorevoli al partito del presidente in carica. Nella ridefinizione degli equilibri all’interno del potere legislativo, spesso chi governa ne esce indebolito: è successo a Donald Trump, Barack Obama e a tanti altri presidenti. Succederà, molto probabilmente, anche a Joe Biden.

Gli americani tornano alle urne per il voto di metà mandato, che si svolge a due anni dall’elezione del presidente. Martedì 8 novembre i cittadini sono chiamati a rinnovare tutti i 435 membri della Camera oltre a trentacinque membri del Senato, circa un terzo del totale.

In trentasei Stati si vota anche per eleggere i governatori. Al momento, alla Camera il Partito Democratico può contare su 220 seggi contro i 212 dei Repubblicani. Il Senato è diviso a metà: cinquanta seggi ciascuno che diventano cinquantuno a favore dei Dem con il voto della vicepresidente Kamala Harris. Gli ultimi sondaggi danno in vantaggio i Repubblicani alla Camera, mentre sembra essere ancora contendibile il Senato. Fra le corse decisive, specie al Senato, ci sono quelle in New Hampshire, Georgia, Nevada e Arizona.

Il consenso nei confronti del Partito Democratico negli ultimi mesi mostra una situazione da montagne russe (o «montagne americane» come le chiamano a Mosca e dintorni). Il gradimento nei confronti del presidente Biden ha iniziato a calare qualche mese dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, sprofondando fino al trentotto per cento nel luglio 2022. Poi ad agosto è arrivata la controversa sentenza della Corte Suprema – composta da sei giudici su nove nominati dai Repubblicani, di cui tre da Trump – che ha eliminato il diritto all’aborto a livello federale e i consensi per i Democratici sono tornati a salire.

Nelle ultime settimane la spinta Dem sembra però essersi esaurita e il Partito non è apparso reattivo di fronte a uno scenario economico delicato. La campagna elettorale è stata incentrata soprattutto su questioni sociali, sulla difesa del diritto all’aborto e sulla deriva estremista di alcuni candidati Repubblicani.

Le elezioni arrivano però in un contesto di forte inflazione e nonostante l’attivismo in campo economico di Biden, le ricette del Partito Democratico non sembrano aver convinto del tutto l’elettorato. Vista l’importanza dell’appuntamento, oltre al Presidente e alla sua vice Kamala Harris, negli ultimi giorni i Dem hanno giocato anche la carta Obama: l’ex Presidente gode ancora di una grande popolarità soprattutto tra i giovani.

I Repubblicani hanno spostato la campagna elettorale su un terreno a loro congeniale, focalizzandosi su due temi molto attuali: sicurezza e inflazione. La criminalità è in aumento in tutto il Paese e le contromisure fino a questo momento non hanno funzionato granché. Ma quello che più preoccupa i cittadini è la forte crescita dell’inflazione alla quale si aggiunge l’aumento del costo del carburante, un tema molto sensibile negli USA e che i Repubblicani imputano in parte all’ambientalismo di Biden.

Una tornata elettorale che sembrerebbe quindi favorevole al partito dell’ex Presidente Trump. In realtà la sfida resta più che aperta soprattutto a causa della scarsa qualità dei candidati scelti. I Repubblicani hanno schierato diversi sostenitori della “Big Lie”, la teoria secondo la quale le elezioni 2020 non sarebbero state effettivamente vinte da Biden. Tra questi anche Kari Lake e Doug Mastriano, i candidati alla carica di Governatore in Arizona e Pennsylvania. Un segnale non di poco conto in un Paese dove potrebbero crearsi nuove tensioni dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

Si guarda con attenzione a questo appuntamento elettorale anche dalle parti di Kyjiv, Mosca e Pechino.

Il capitolo Cina è sicuramente quello meno divisivo: se esiste un aspetto che ha visto una continuità pressoché totale tra Trump e Biden è quello legato ai rapporti con Xi Jinping. L’inquilino della Casa Bianca ha infatti proseguito nel solco del suo predecessore sia sui dazi sia sull’embargo tecnologico.

Chi invece può sperare in un cambio di rotta è Vladimir Putin che non a caso, in uno dei suoi ultimi discorsi, si è rivolto ad «un Occidente dei valori tradizionali, principalmente cristiani, a cui i russi si sentono vicini» nel tentativo di costruire un ponte con i partiti conservatori di Europa e Stati Uniti.

In questo senso molto dipenderà dalla performance delle truppe di Donald Trump: se i candidati più vicini al tycoon dovessero ottenere un buon risultato, il fronte pro-Ucraina all’interno del partito repubblicano potrebbe indebolirsi a favore di quello più estremista con probabili ricadute sui finanziamenti che gli Stati Uniti inviano regolarmente a Zelensky.

Finora gli Stati Uniti hanno sostenuto l’Ucraina con cinquantaquattro miliardi di dollari ma con la recessione alle porte e un blocco repubblicano spostato a destra la strategia del Congresso potrebbe cambiare. Insomma, come al solito quando si parla di elezioni americane, la posta in gioco sembra essere alta non solo per Washington.

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