Il rave party della giustiziaIl delirio del sistema penale e le uguali responsabilità di destra e sinistra

La differenza tra le due sponde politiche non assorbe né spiega la differenza tra una concezione liberale e una illiberale del diritto

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In attesa degli psichedelici effetti conseguenti al combinato disposto della norma anti-rave votata dal Consiglio dei Ministri e dell’ispiratissima interpretazione che questa sicuramente troverà nelle procure di mezza Italia, si deve prendere atto che la sceneggiata law & order ha consentito a Giorgia Meloni di prendere due piccioni con una fava.

Da una parte l’esecutivo ha potuto farsi bello con il proprio elettorato facendo la faccia brutta ai giovinastri fuori di testa, dall’altra è riuscito a occultare dietro questo provvedimento due vergogne di dimensioni decisamente più ragguardevoli per gravità e conseguenze: in primo luogo la norma, letteralmente eversiva, di neutralizzazione della pronuncia della Consulta sull’ergastolo ostativo, in secondo luogo il rinvio dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, cioè la pre-rottamazione di un provvedimento che le procure associate non hanno mai digerito.

Che sul punto la volontà del Governo non sia quella, ufficialmente dichiarata, di prender tempo per provvedere ad alcuni adempimenti non ancora conclusi è dimostrato dal fatto, ben evidenziato dall’Unione delle Camere Penali, che è stata differita anche l’entrata in vigore delle parti della riforma «relative al sistema sanzionatorio e di esecuzione della pena, che non manifestano il benché minimo problema di natura organizzativa».

Un’altra conseguenza – dal mio punto di vista la peggiore – della norma anti-rave è di rinnovare l’equivoco circa la sostanziale o addirittura radicale diversità dell’uso della politica e della legislazione penale tra la destra e la sinistra, come se tra la prima e la seconda corresse davvero una vera e riconoscibile frontiera di civiltà.

Sono decenni che le opposte fazioni dell’Italia bipolare si rinfacciano, ora dalla maggioranza, ora dall’opposizione, manette troppo facili o leggi salva-ladri, ma nella sostanza millantano le stesse virtù condividendo i medesimi vizi, a partire dall’uso segnaletico del diritto penale come prosecuzione della politica con altri mezzi e dal ricorso alla proliferazione delle figure di reato e all’aggravamento delle pene e della modalità per la loro esecuzione come prova regina della serietà dei propositi contro fenomeni di grave allarme sociale.

Da questo punto di vista, fa meno impressione pure l’autoproclamata funzione di garanzia o guardianìa democratica che i pubblici accusatori hanno spesso rivendicato, chiedendo al legislatore di adeguare le caratteristiche del sistema penale alle sue necessità reali, di emergenza in emergenza, di eccezione in eccezione.

Più che una sovversione dell’ordine costituzionale, quella dei Pm assurti a veri e propri rappresentanti del popolo e delle sue inderogabili domande di giustizia è stata una forma di consona partecipazione a quel rave (delirio) della giustizia, che in Italia è in corso da tempo immemorabile e che ha portato a considerare le esigenze del sistema penale prevalenti su quelle, ovviamente sacre, ma recessive, dello Stato di diritto.

Destra e sinistra pensano e fanno le stesse cose, semplicemente (a volte) nei confronti di bersagli differenti, avendo le rispettive constituency nemici ideologici diversi. Fermo restando che al momento del dunque, come hanno fatto Meloni, Letta e Conte nell’ultimo referendum sui limiti alla custodia cautelare, tutti concordano che il rischio di abuso della galera da parte dello Stato sia sempre preferibile al rischio di abuso della libertà da parte del cittadino, a distinguere destra e sinistra è semplicemente l’identità e a volte pure il colore delle vittime designate dalla loro fermezza.

A destra drogati, clandestini, topi d’appartamento, borseggiatori e tutta quell’umanità persa e miserabile che guasta la normalità estetica del conformismo benpensante. A sinistra corruttori, evasori, inquinatori e tutta quell’umanità volgare e traffichina, che viola i canoni etici del conformismo benecomunista.

Insieme destra e sinistra sono ovviamente d’accordo a buttare la chiave o a fare veri e propri sacrifici umani per (fossero pure presunti) mafiosi, terroristi e criminaloni da Guinness e semmai si rimproverano l’un l’altra sospetti cedimenti rispetto all’esigenza di sovrumano rigore. Che è esattamente quel che è successo sull’ergastolo ostativo, in un’oscena rincorsa tra destra e sinistra a chi si allontanava di più dalle prescrizioni della Consulta, cioè dal dettato della Costituzione.

Perché destra e sinistra sono uguali su questo punto dove tengono invece ad apparire tanto diversi? Perché, molto banalmente, la differenza tra destra e sinistra non assorbe, né spiega la differenza tra una concezione liberale del diritto penale e una illiberale. Perché, insomma, destra e sinistra rimangono, non solo su questo tema, profondamente illiberali, ritenendo che i diritti fondamentali non siano limiti all’azione dello Stato, compresa quella penale, ma siano fascisticamente o comunisticamente una sorta di corrispettivo riconosciuto dallo Stato a chi ne venga riconosciuto meritevole. Agli altri niente, se non la galera.

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