La nomina di Alfredo Mantovano a sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha sorpreso molti che a quel posto attendevano che Giorgia Meloni nominasse il fidatissimo Giovanbattista Fazzolari, non un ex parlamentare da molti anni lontano dalla politica.
Mantovano è un cattolico tradizionalista, attivissimo esponente dei giuristi cattolici, magistrato estraneo alle correnti, un conservatore senza integralismi che costituisce una delle più significative chiavi interpretative del nuovo esecutivo.
È uno dei due magistrati – ingrediente irrinunciabile – presenti nel governo, l’altro è Carlo Nordio, neo Guardasigilli, assai più noto ai riflettori, cui non si sottrae al contrario del sottosegretario, molto più riservato.
La novità è che nessuno dei due ha militato nelle correnti di sinistra della magistratura e entrambi provengono da una cultura garantista senza cedimenti al giustizialismo (semmai a una certa visione autoritaria).
Nordio ha illustrato urbi et orbi il suo prossimo programma per la giustizia, che comprende novità rivoluzionarie come la separazione delle carriere – anche se dopo la nomina ha assunto un tratto più prudente limitandosi a parlare più tradizionalmente di «efficienza» e «velocizzazione» – finalità che i suoi ex colleghi almeno condivideranno.
Ma è Mantovano di gran lunga il personaggio più interessante. Innanzitutto l’uomo rompe una consolidata tradizione che vuole al suo posto abitualmente un consigliere di Stato o un politico puro con l’unica eccezione di un grande “ibrido” come Gianni Letta.
Lui stesso si può considerare una figura di mezzo, essendo oggi un civil servant ma essendo stato in passato per due volte sottosegretario all’Interno con delega alla sicurezza e dunque buon conoscitore dei delicati apparati statali, dove è stato molto apprezzato e ha lasciato un buon ricordo.
Da dieci anni, dopo l’ultimo governo Berlusconii, era ritornato al primo lavoro, ricominciando, senza molti fronzoli, dalla Corte di appello di Roma e poi in Cassazione, sempre nel settore penale, occupandosi di misure di prevenzione e, particolare significativo, di diritto europeo, materia molto delicata.
Di lui è nota la profonda fede religiosa e le sue radicate convinzioni in tema di difesa della vita umana e di una più rigorosa regolamentazione dell’aborto con l’applicazione effettiva delle misure di assistenza verso le donne che affrontano una scelta così difficile.
In ragione di ciò, può definirsi come uno dei rari casi italiani di conservatorismo compassionevole, il movimento della destra americana più sensibile e attento ai bisogni degli strati sociali sofferenti, propugnatore di forme private e religiose di interventi contro il disagio, in funzione di barriera anche contro il ricorso a pratiche abortive.
Mantovano ha duramente criticato la decisione dei tribunali inglesi nella vicenda del piccolo Charlie Gard, il neonato affetto da una malattia incurabile che ha imposto la cessazione delle cure contro il parere dei genitori, una scelta tremenda in cui il nuovo sottosegretario di Meloni ha condannato l’invasiva crudeltà dello Stato contro i malati incurabili considerati «materiali di scarto».
Sbaglierebbe tuttavia chi lo considerasse un ottuso integralista: Mantovano è un acuto e attrezzato giurista, preciso e attento nelle motivazioni.
Chi lo ha conosciuto come magistrato lo iscrive nella categoria dei garantisti “seri”, cosa ben diversa da quella maggioritaria che ha sputtanato la categoria dai tempi di Berlusconi in poi (gazzarra cui Mantovano non ha mai partecipato).
E sotto questo profilo va colto uno spunto di estremo interesse che investe il suo delicato ruolo politico accanto al premier.
Il neo sottosegretario è un profondo conoscitore del diritto europeo e come magistrato lo ha convintamente applicato secondo i principi costituzionali che lo indicano come una delle fonti del diritto interno.
Come è noto, Meloni e i sodali Crosetto e Lollobrigida sono propugnatori di un primato sovranista del diritto interno, come ha spiegato questo giornale, che hanno messo al centro di un disegno di legge di riforma costituzionale promosso nella cessata legislatura.
Come lo stesso premier ha più volte ribadito, il modello di riferimento è la Polonia, paese che visiterà nel suo primo viaggio istituzionale nonostante Varsavia sia attualmente sottoposta a procedura d’infrazione per reiterate violazioni dei principi dello Stato di diritto, con particolare riferimento all’indipendenza della magistratura, messa sotto il controllo politico della maggioranza.
Ebbene, con alcune sentenze da lui redatte, Mantovano ha più volte ribadito l’assoluta preminenza dei principi internazionali propugnati dalle Corti europee di Strasburgo e del Lussemburgo.
In una delle più recenti, ha motivato il rigetto di un mandato di arresto europeo emesso proprio dalla Polonia, sottolineando che «in tema di riconoscimento delle sentenze penali straniere l’ambito del controllo sul requisito della non contrarietà ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato (italiano) non riguarda solo il dispositivo, ma deve investire anche la motivazione della sentenza straniera, attraverso la quale è possibile vagliare la sua conformità ai canoni del giusto processo» (Cassazione sezione II penale numero 33558 Anno 2021).
Mantovano ha cioè ribadito che la semplice esistenza di una sentenza di condanna “interna” di un Paese europeo non è da sola sufficiente e che lo Stato italiano deve controllare la motivazione del provvedimento straniero per verificare che sia conforme ai principi internazionali del giusto processo.
Dunque, è difficile pensare che Mantovano non faccia sentire la sua voce nel delicato frangente di un eventuale tentativo di scostamento dell’Italia dai trattati europei in tema di diritto e diritti – e sarà interessante vedere cosa accadrà.
Per certi versi, e nonostante i proclami di Nordio, è prevedibile che per la politica, sulla giustizia, alla fine conti più il sottosegretario che il ministro delegato.