Nel mercato della ristorazione post pandemia, mancano 300mila addetti. Tra carenza di competenze, dimissioni e transizioni occupazionali, il settore da mesi è finito al centro del dibattito sui cambiamenti nel mondo del lavoro. Da un lato emerge la richiesta di maggiore bilanciamento tra lavoro e vita privata che arriva soprattutto dalle nuove generazioni, dall’altro la necessità di nuovi modelli organizzativi per le aziende.
Per capire quali strategie possono attuare ora le imprese per garantirsi business sostenibili nel lungo periodo, il terzo appuntamento del ciclo “Il lavoro che verrà” di The Adecco Group si è concentrato sul mondo del food service, con un confronto tra i manager della ristorazione commerciale e collettiva che hanno condiviso le loro esperienze maturate sul campo.
All’evento moderato da Andrea Zirilli, VP Sales Italy di The Adecco Group, hanno preso parte Nadia Piscioneri, National Industry Leader di The Adecco Group, Chiara Rivella, People & Culture Manager di Autogrill Italia, Diego Montrone, Founder e Presidente di Galdus Formazione, Vincenzo Di Marco, Direttore Risorse Umane Qualità e Sicurezza di Pellegrini spa, Davide Canavesio, President & Ceo di Blooming Group e Corrado Luca Bianca, Coordinatore Nazionale Fiepet Confesercenti.
La prima domanda posta è: come rendere attrattivo il settore per i giovani?
Corrado Luca Bianca ha spiegato che tanti hanno abbandonato cucine e ristoranti durante la pandemia anche «per l’incertezza che il comparto ha vissuto nel periodo di chiusure e aperture a singhiozzo. I nostri dipendenti si sono reinventati altrove, c’è chi si è spostato sulla grande distribuzione, chi sull’edilizia. E questo è un fenomeno che non riguarda solo la ristorazione classica, ma anche il settore ricettivo. Attualmente si trovano persone disponibili a ricoprire posizioni di ricevimento e front office, ma è difficilissimo reperire personale disposto a entrare in cucina. Arrivano pochissime candidature».
Da dove partire? «Bisogna dire anzitutto che non si tratta di lavori precari», ha spiegato Chiara Rivella di Autogrill Italia. «Sono mestieri che offrono possibilità di crescita professionale e stabilità». E per assumere lavoratori stagionali nei mesi estivi, Autogrill ha iniziato a sperimentare nuove modalità di recruiting. «Abbiamo investito molto nel digitale», ha raccontato Rivella, «ma abbiamo anche girato l’Italia con un camper per promuovere la nostra campagna di assunzioni». Inoltre, il team di recruiting interno è stato rafforzato, anche nell’ottica di assumere i candidati con maggiore velocità. «Garantiamo ai nostri candidati la ricezione di un feedback entro poche ore», ha assicurato Rivella.
Ma non basta solo attirare nuovi talenti. Un nodo centrale è anche la cosiddetta retention, ovvero la capacità delle aziende di trattenere e fidelizzare il personale al proprio interno per evitare le dimissioni. E in questo processo conta soprattutto la cultura aziendale. Come ha raccontato Vincenzo Di Marco. «Pellegrini ha deciso di mettersi in ascolto delle persone, abbiamo garantito la flessibilità tanto nello staff quanto nella prima linea», ha spiegato. «Abbiamo registrato una grande fidelizzazione in azienda, riconducibile al fatto che riconoscono un sistema valoriale creato da una lunga storia e da un workplace capace di coniugare le esigenze del personale con il business».
Molto passa anche dalle condizioni contrattuali. «Come associazione di categoria, puntiamo a garantire maggiore attenzione ai dipendenti, con contratti nazionali stipulati dalle associazioni maggiormente rappresentative così da tutelare i lavoratori», ha spiegato Bianca. «Ma il tema di natura contrattuale non è il solo. Noto spesso una mancanza d’amore nei confronti della nostra professione. Non è vero che i ragazzi non hanno voglia di lavorare, bisogna trovare un sistema che li faccia innamorare della nostra professione».
Il punto è che «dobbiamo invertire la narrazione di questo settore, che ha spazi incredibili da esplorare e genera imprenditorialità più di altri comparti», ha commentato Davide Canavesio. «Serve uno sforzo collettivo per cambiare lo storytelling. Ci sono tanti esempi di chi inizia dal basso, diventa store manager e poi apre la propria impresa. Dobbiamo raccontare queste storie».
Il paradigma per cui è l’impresa che sceglie il candidato si è ormai ribaltato. Ora «è il lavoratore che sceglie il luogo ideale in cui realizzare la propria soddisfazione professionale», ha spiegato Diego Montrone. «Non basta più pubblicare un annuncio, analizzare un cv e scegliere», ha confermato Nadia Piscioneri. «Le aziende ora usano l’employer branding come asset strategico e nello stesso tempo investono sull’engagement, sviluppando competenze e lavorando per mantenere passioni e motivazioni durature nel tempo».
È quindi l’impresa «che deve riuscire ad appassionare alla professione, offrire prospettive stabili, non una copertura emergenziale. E, da questo punto di vista, puntare sulla formazione costante e investire sulle professionalità può essere la soluzione», ha ribadito Montrone. Il punto di partenza di questo percorso non possono che essere le scuole, lavorando con le strutture educative e rivolgendosi agli studenti con «un sistema di orientamento e accompagnamento».
Oggi il 75% degli iscritti agli istituti alberghieri abbandona la scuola prima di terminare gli studi. Partire dal dialogo con il sistema educativo è fondamentale per offrire ai giovani una visione diversa del mercato del lavoro che li aspetta. «Con Adecco lavoriamo con le scuole, comunicando agli studenti quanto la professione nella ristorazione sia gratificante, trasmettendo i valori delle aziende e le possibilità di sviluppo delle carriere», ha spiegato Piscioneri.
Alcune aziende hanno creato anche Academy interne che garantiscono formazione e percorsi di crescita. Anche perché nella ristorazione, come in tutti gli altri comparti, la digitalizzazione dei processi ormai non è più una scelta ma una necessità. Dalle piattaforme di delivery alle innovazioni nella produzione dei cibi, la tecnologia interessa tutti gli aspetti aziendali e richiede lo sviluppo di nuove competenze.
«L’innovazione è necessaria tanto nella ristorazione commerciale quanto nelle mense», ha spiegato Canavesio. «Non solo: gli esercenti, in questo modo, hanno anche un bacino di dati incredibile a cui attingere per poter migliorare il servizio rivolto ai clienti».