La trappola mortale che il Partito democratico deve evitare è quella di lasciare nelle mani di Giorgia Meloni istanze e parole d’ordine giuste, seppure da lei declinate in modo sbagliato. Non è facile ma qui si parrà la nobilitate del partito di Letta, se cioè sarà capace di fare un’opposizione dura ma sensata, senza essere preso in mezzo tra il messaggio d’ordine del governo e la risposta estremista e fintamente di sinistra.
Facciamo qualche esempio. Sulla guerra, che è di gran lunga una questione molto più importante delle prime sguaiate mosse di Matteo Piantedosi, si assiste a un paradosso inquietante: l’impegno assunto a suo tempo da Mario Draghi e Lorenzo Guerini, cioè il sostegno concreto alla Resistenza ucraina mediante l’invio di armi, è diventata la linea di Meloni (e Antonio Tajani, nonostante il putinismo senescente di Berlusconi), mentre Enrico Letta se ne va allegramente a una manifestazione che proprio su questo punto dirimente è ambigua, quella cattolico-contiana del 5 novembre.
E meno male che ci sono alcuni dirigenti Pd, come la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno, l’assessore milanese Pierfrancesco Maran, Carlo Cottarelli, e il senatore Alessandro Alfieri che invece quel giorno saranno a Milano con Carlo Calenda per un’iniziativa con una piattaforma inequivoca: sostegno concreto a Kyjiv per ottenere il ritiro dei russi dal Paese occupato.
Una linea coerente con quella dell’Occidente democratico e perfettamente in linea con le scelte del governo Draghi, una linea fatta propria da Meloni e abbandonata dal Pd. È normale?
Altro esempio di cui si discute dopo le grottesche decisioni del Consiglio dei ministri di lunedì sulla eroica lotta al rave: se è sacrosanto polemizzare con una norma inutile e anzi ambigua come quella escogitata da Meloni e Piantedosi sulla “invasione” di edifici e suolo pubblico da parte di cinquanta persone, bisogna però stare attenti a non fare la parte di novelli fricchettoni a cui tutto è permesso (vale anche per certi atteggiamenti di gruppi studenteschi).
La questione è scivolosa. Si tratta cioè di combattere le mostruosità giuridiche e politiche del governo di destra, ma senza smarrire la distinzione tra ciò che è lecito e ciò che non lo è: e dunque in questo senso sarebbe da stupidi lasciare la bandiera della legalità a chi come Meloni ne fa un uso abnorme a fini di propaganda: legalità e sicurezza, lo si diceva ai tempi dell’Ulivo, sono temi di sinistra perché quando si fa strame di legalità a rimetterci sono sempre i più deboli che, in attesa di smentite, restano i riferimenti sociali del progressismo.
Sarà bene prenderne nota fin da subito perché è tutt’altro che improbabile che nei prossimi mesi assisteremo a una serie di episodi di protesta e contestazione che non saranno sempre difendibili.
Tra l’altro, un atteggiamento fermo e responsabile è quello che dà più fastidio al/alla presidente del Consiglio che non vede l’ora di menare le mani, ovviamente in senso figurato, contro un estremismo cieco e senza sbocchi.
Se poi Letta, Andrea Orlando e Peppe Provenzano pensano di rifarsi una verginità a sinistra, mostrando muscoli (che non hanno) per non lasciare il campo a Giuseppe Conte, facciano pure ma poi non si lamentino se i sondaggi li danno più verso il 15 per cento che il 20 per cento. Chissà se di queste cose si discuterà al Congresso tra quattro mesi. Il tempo certo non manca.