La diplomazia del pallone Politica (mai) fuori dal calcio e ambizioni globali, Infantino scambia la Fifa per l’Onu

Il presidente della Federazione mondiale invita a non portare le «battaglie ideologiche nel pallone», così può rimanere l’unico a farlo. Esercita la diplomazia a colpi di virgolettati inusuali, accentra poteri e dosa il suo, che è soprattutto soft power

Gianni Infantino al G20
Associated Press/LaPresse

«La mia richiesta a tutti voi è di pensare a un cessate il fuoco temporaneo, per un mese o almeno per il tempo necessario alla realizzazione di corridori umanitari». Una frase così non stona di certo nel contesto del G20 che si è tenuto nei giorni scorsi a Bali, in cui ancora i potenti della Terra si sono trovati a discutere del grande tema che tiene banco da nove mesi, ovvero la guerra in Ucraina. Ciò che invece potrebbe apparire strano, è che a pronunciarla non è stato nessun politico propriamente detto, ma bensì Gianni Infantino, il presidente della Fifa.

Vale a dire la stessa persona che da anni va in giro dicendo che calcio e politica sono due cose separate, e che in una lettera inviata a tutte le trentadue nazionali partecipanti al Mondiale, resa pubblica da Sky News a inizio novembre, invitava calciatori e staff tecnici a «concentrarsi sul calcio», senza lasciare che lo sport venga «trascinato in ogni battaglia ideologica o politica esistente». Una contraddizione che però non stupisce chi conosce l’attuale capo del calcio globale, il cui interesse è sempre stato accentrare ogni discorso politico del calcio nelle proprie mani, chiedendo a tutti gli altri attori sportivi di tenersi da parte e pensare unicamente al campo.

Infantino parla di calcio, e lo fa da sempre in sedi che col calcio hanno poco a che fare. Lo scorso gennaio, per esempio, si è trovato ad annunciare un piano per avere il Mondiale ogni due anni nella sede del Consiglio d’Europa. I leader politici del Vecchio Continente lo avevano invitato anche per sentire da lui la verità sulle accuse di violazioni dei diritti umani in Qatar, sede di quei Mondiali che il dirigente italo-svizzero si è ritrovato tra le mani dopo la sua elezione nel febbraio 2016. Chiamato a fare la parte di una sorta di ambasciatore, o di mediatore, tra l’Europa e il controverso emirato arabo, lui che oggi è uno dei politici occidentali maggiormente influenti a Doha, dove vive dall’ottobre 2021.

Ma che il suo modo di intendere il ruolo che ricopre sia effettivamente diverso da quello dei suoi predecessori è stato chiaro fin da subito. Già nel dicembre 2018 era divenuto il primo presidente della Fifa a prendere parte al G20, dove aveva parlato del potenziale del calcio nel creare un mondo «più prospero, istruito, eguale e pacifico».

Tre anni dopo, come se non bastasse, teneva un importate discorso davanti all’Onu. Definirlo come il capo del calcio globale è, per la verità, piuttosto riduttivo, e lui stesso se n’è probabilmente reso conto per primo: la Fifa è in realtà la più grade organizzazione sovranazionale esistente sulla faccia della Terra. Se l’Onu, che si fregia fin dal nome di rappresentare le «nazioni unite», vanta ben 193 membri, la FIFA fa capo ad addirittura 211 affiliati.

Tutti temi che in Italia hanno sempre suscitato un magro dibattito, ma che all’estero sono da tempo noti. Nel 2018 Forbes indicava Gianni Infantino con il settantacinquesimo uomo più potente al mondo, una cosa non da poco per una persona che si dovrebbe occupare unicamente di sport. Invece, la sua figura è divenuta sempre più quella di un politico di caratura internazionale, con una rete globale di alleanze diplomatiche ed economiche che pochi altri hanno, e che può vantare un’aura super partes unica, merito anche delle origini svizzere.

È il mediatore perfetto, uno dei pochi uomini capaci di intrattenere ottimi rapporti con Vladimir Putin e i Paesi occidentali, tra la monarchia del Qatar e quella dell’Arabia Saudita, tra gli Stati Uniti e la Cina. E la Fifa è il luogo ideale per portare avanti i suoi progetti: talvolta qualcuno, dalle vedute troppo ristrette, ha immaginato per lui un futuro politico in senso stretto, una volta lasciata Zurigo; ma la realtà che la Fifa è la sede ideale da cui esercitare il proprio potere indiretto, il soft power per eccellenza. Non c’è un gradino più alto nella scala del potere.

Chiedere una «tregua mondiale» davanti al G20, a pochi giorni dal calcio d’inizio della Coppa del Mondo in Qatar, ha molteplici significati. Innanzitutto scavalcare il Comitato Olimpico Internazionale (Cio) e quel concetto di tregua olimpica divenuto ormai mera ritualità, svuotata di ogni significato.

Ma soprattutto provare un ulteriore passo nel percorso di affermazione della sua organizzazione come vero potere equilibrante a livello globale. Se davvero una tregua dovesse realizzarsi ora, Infantino sarebbe riuscito là dove i più illustri politici e diplomatici del mondo stanno fallendo da mesi. Un obiettivo improbabile, visto che né Russia né Ucraina prenderanno parte al torneo in Qatar, ma che comunque denota bene le sue ambizioni.

Quando dice che calcio e politica necessitano di essere tenuti separati, Infantino lo intende in una maniera alquanto sottile. Nella sua famosa lettera alle nazionali, il presidente della Fifa ha utilizzato l’aggettivo «ideologico», specificando che il tipo di politica che va esclusa è quella che divide, che crea «battaglie».

Vede evidentemente il proprio ruolo come quello di un super-diplomatico neutrale, la cui azione è finalizzata alla pacificazione dei conflitti, a sua volta necessaria per l’instaurazione di rapporti economici. Perché poi la Fifa è essenzialmente questo: tante volte denigrata chiamandola «comitato d’affari», solo ora sta iniziando a prendere coscienza del proprio ruolo, sempre più simile a quello della World Trade Organization. La quale, però, conta appena 164 affiliati.

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