LE BIG TECH LICENZIANO, LE STARTUP FESTEGGIANO
«La scorsa settimana, in meno di 24 ore, mio marito e io siamo stati licenziati da Twitter e Lyft. È stato un giorno duro», ha scritto il 7 novembre Andie Hundal Birring. Il suo è solo uno dei tweet in cui migliaia di lavoratori e lavoratrici delle Big tech in tutto il mondo annunciano di aver perso il posto di lavoro.
Scatoloni Secondo il sito Layoffs, che tiene il conto delle uscite nel settore tecnologico, sono oltre 136mila i licenziati nel 2022 in circa 850 aziende. Ma i dati in realtà sarebbero parziali: 1.574 società in ogni angolo del mondo finora hanno dovuto fare tagli al proprio personale. L’ultimo annuncio noto è arrivato da Amazon. Prima ci sono stati Twitter, Meta, Salesforce tra i più noti. E altri tagli si preannunciano all’orizzonte.
Ma cosa sta accadendo?
I motivi sono essenzialmente due: la fine della ubriacatura tech dovuta alla pandemia e l’inflazione galoppante.
Prima assumo Mentre nel corso della pandemia le nostre vite si spostavano online, i ristoranti e i negozi chiudevano, le attività dei giganti della tecnologia sono esplose. Così, per esempio, Meta ha assunto più di 15.000 persone nei primi nove mesi di quest’anno. Solo in Italia, Amazon nel 2021 ha assunto 3mila persone a tempo indeterminato. Insomma, si pensava che i bei tempi sarebbero durati per sempre.
Poi licenzio Ora i manager che annunciano i tagli dicono di aver sbagliato i calcoli. «Ho preso la decisione di aumentare in modo significativo i nostri investimenti», ha detto Mark Zuckerberg ai dipendenti di Meta. «Purtroppo non è andata come mi aspettavo». Quindi ha comunicato il licenziamento del 13% della forza lavoro, circa 11mila persone.
Basta banner Gli annunci online sono la principale fonte di reddito per molte aziende tecnologiche. Ma per il settore pubblicitario si stanno accumulando nuvole all’orizzonte. Le aziende hanno affrontato una crescente opposizione alle pratiche pubblicitarie intrusive. Apple, ad esempio, ha reso più difficile tracciare l’attività online delle persone e vendere i dati agli inserzionisti. E con l’inflazione galoppante, molte aziende hanno tagliato i loro budget pubblicitari online. Senza dimenticare che nel settore della tecnologia finanziaria pesa anche l’aumento dei tassi di interesse delle banche centrali.
Risultato È stato un trimestre di utili davvero deludente per molte delle grandi aziende tecnologiche. Persino il gigante dell’e-commerce cinese Alibaba, tra restrizioni Covid e inflazione, ha avuto dati al di sotto delle aspettative. Anche perché l’abitudine agli acquisti online è sì rimasta anche dopo l’emergenza pandemica, ma non agli stessi livelli.
La festa è finita Poi ci sono le pressioni degli investitori sulle società. In una lettera aperta ad Alphabet, Christopher Hohn ha esortato l’azienda a tagliare posti di lavoro, chiedendo più disciplina sui costi e la riduzione delle perdite derivanti da progetti futuristici come le auto a guida autonoma. Insomma, in un momento di crisi globale, sembra esserci meno tolleranza per le grandi spese in scommesse high-tech come la realtà virtuale o le auto senza conducente che potrebbero non ripagare a breve termine. Non solo. Gli investitori vedono anche gli alti salari e i comodi vantaggi di cui alcuni godono nel settore come insostenibili.
Revival A tutto questo si è aggiunto anche il caso Twitter. Elon Musk ha pagato tanto – 44 miliardi di dollari – per acquisire il social network, e la pressione è alta per rendere utile il suo investimento. Così ha licenziato metà dei dipendenti dell’azienda, poi è tornato sui suoi passi dicendo ad alcuni di aver sbagliato e a coloro che rimangono ha chiesto di scegliere tra ritmi di lavoro “hardcore” con “lunghe ore ad alta intensità” o andarsene con una buonuscita di tre mesi di stipendio. Meno della metà dei restanti 4mila dipendenti dell’azienda ha accettato l’offerta di rimanere. In tanti, anche nelle posizioni apicali, hanno preferito andarsene. Tanto che Twitter è stata costretta a chiudere tutti i suoi uffici. Alcuni dipendenti hanno addirittura fatto il conto alla rovescia dei secondi che li separavano dalle dimissioni previste per giovedì pomeriggio, secondo l’ultimatum inviato da Musk. Che, ricordiamolo, nella sua prima email da ceo di Twitter aveva anche stabilito che il lavoro da remoto non sarebbe stato più consentito.
Sembra di fare molti passi indietro rispetto ai posti di lavoro all’avanguardia di cui si era parlato solo fino a pochi mesi fa.
Poveri illusi Per anni, scrive il Washington Post, ci hanno raccontato che i grandi della tecnologia come Musk, Bezos e Zuckerberg fossero i visionari del 21esimo secolo. E invece, lungi dall’essere all’avanguardia, questi licenziamenti di massa segnano un ritorno alle vecchie strategie industriali. Come accadeva nel 19esimo secolo, le grandi aziende affrontano le fluttuazioni economiche tagliando i lavoratori e riassumendone altri quando torneranno i bei tempi.
Great Redistribution Ma c’è un fenomeno già in atto, ovvero la più grande redistribuzione di talenti della storia dell’industria tecnologica. Perché la crisi dei colossi tecnologici non sembra scalfire però la trasformazione digitale. Dalle banche ai negozi, dai pagamenti all’organizzazione del lavoro ci sono decine di migliaia di posizioni aperte immediatamente appetibili per chi ha dovuto preparare gli scatoloni dalle sedi delle Big Tech. Al netto dei licenziamenti, il numero di persone impiegate nel settore tecnologico è aumentato di 194mila unità nel 2022 solo negli Stati Uniti. Da diverse settimane le startup della Baia di San Francisco cercano di accaparrarsi i talenti fuoriusciti dai colossi del settore. Una quantità di competenze fino a pochi mesi fa inaccessibili per loro, ma che adesso sono improvvisamente disponibili sul mercato del lavoro. E diversi report raccontano che sarebbero pronte ad approfittare del momento anche le grandi aziende tecnologiche cinesi. Una vera e propria redistribuzione dei talenti.
ECCO LA MANOVRA
Tra punti fermi e misure che saranno limate fino all’ultimo momento, la legge di bilancio 2023 del governo Meloni prende forma e si prepara al varo atteso nelle prossime ore in consiglio dei ministri. Una manovra che va verso i 32 miliardi, di cui i due terzi (21 miliardi in deficit) destinati tutti all’emergenza energia. La premier ha detto agli alleati: «Ogni passo va ragionato e accompagnato dalla sostenibilità dei conti». Quindi addio a molte promesse elettorali.
Cosa c’è:
- Taglio del cuneo fiscale: riduzione di due punti per i redditi fino a 35mila euro, tre punti per quelli con redditi fino a 20mila euro (costo: 5 miliardi): dopo l’ipotesi di dare un terzo del taglio alle imprese, sembra che tutto il taglio vada tutto in favore dei lavoratori;
- Soluzione ponte sulle pensioni che vincola quota 41 al paletto dei 62 anni di età;
- Stretta sul reddito di cittadinanza;
- Allargamento della flat tax al 15% per le partite Iva da 65mila a 85mila euro;
- Cestinate tutte le cartelle esattoriali fino a mille euro notificate entro il 2015. Sopra i 3mila euro, sconto al 5% per interessi e sanzioni, e pagamento a rate dell’imposta.
In bilico:
- Flat tax sul reddito incrementale (secondo la Ragioneria dello Stato costa troppo);
- Da valutare il taglio dell’Iva per un anno su pane, latte e pasta, mentre entra la riduzione dell’aliquota, al 5%, per i pannolini e gli assorbenti.
Reddito della discordia
«Il reddito di cittadinanza sta cambiando la cultura lavorativa delle persone: molti credono che l’“offerta congrua” sia semplicemente il lavoro dei sogni. Al contrario, chi percepisce un sussidio pubblico non può sottrarsi alle offerte».
A dirlo, in un’intervista a La Verità, è il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che nella stessa carica attuale aveva approvato il reddito di cittadinanza, quando era alleato dei Cinque stelle nel governo gialloverde. Ora vuole cambiarlo: «Chi può andare a lavorare deve farlo, anche se l’offerta è per pochi giorni. E pochi giorni di lavoro non compromettono la percezione del reddito in quota parte. Nello stesso tempo, sarà fornita formazione adeguata per rientrare nel mondo del lavoro».
- Lo scontro Per i cosiddetti «occupabili», che però sono ancora tutti da definire, Fratelli d’Italia vorrebbe uno stop dell’assegno dopo sei mesi. La ministra del Lavoro Marina Calderone, contraria a operazioni radicali in una situazione di difficoltà economica, ha chiesto una moratoria fino al 30 settembre. La proposta che potrebbe prevalere è la fine dell’assegno dopo 18 mesi e dopo il rifiuto di un’offerta di lavoro (contro i due finora consentiti), allungando a sei mesi la pausa oggi limitata a 30 giorni.
- Risorse cercasi Il succo del discorso è che quanto più forte sarà il taglio del reddito, tante più saranno le risorse che la maggioranza destinerà ad altro. Il che dipende pure dalla definizione della quantità della platea degli occupabili: si va dalla stima di 900mila della maggioranza ai 372mila stimati dall’Inps. Se i fondi non basteranno, Giorgetti si è detto disponibile anche a ridurre la rivalutazione delle pensioni all’inflazione per gli assegni superiori ai 2.500 euro lordi mensili.
- Pronti alla piazza Giuseppe Conte interviene in difesa del reddito di cittadinanza e dice che è pronto a scendere in piazza. Lo stesso fa l’ex ministro Stefano Patuanelli. Grillini, ala sinistra del Pd e Cgil ritroverebbero una certa sintonia. E c’è già chi scommette sullo sciopero generale. Dalle Clap arriva invece la proposta di istituire dei comitati territoriali a difesa del reddito, portando avanti le proposte emerse dalla cosiddetta “Commissione Saraceno”.
I conti di Cottarelli L’economista e neosenatore del Pd scrive che al di là di quello che ci sarà scritto nella manovra, in presenza di una forte inflazione, per capire quello che accade davvero occorrerà guardare anche a quello che non cambia. Solo così si potrà veder chi davvero ci guadagna e ci perde in termini di potere d’acquisto. «E temo che a perderci saranno settori importanti come sanità, pubblica istruzione e investimenti, di cui poco si parla».
EMERGENZE INDUSTRIALI
Acciaio bollente Oggi scioperano per 24 ore i lavoratori dell’ex Ilva. Acciaierie d’Italia non ha partecipato all’incontro con il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, dopo la decisione di bloccare 145 aziende dell’indotto. E ora i sindacati chiedono un intervento del governo.
Sos gas In sciopero anche i lavoratori di Ansaldo. L’azienda, controllata dal ministero dell’Economia attraverso Cdp, dallo scoppio della guerra in Ucraina ha cumulato un passivo di 442 milioni di euro ed è arrivata all’autunno senza avere neppure i soldi per pagare gli stipendi. L’amministratore delegato Marino ha garantito che la ricapitalizzazione sarà fatta entro il 31 dicembre.
The Terminal Per la privatizzazione di Ita Airways, Draghi aveva scelto Air France. Giorgetti invece non ha mai nascosto la sua preferenza per la cordata composta da Lufthansa e Msc. Il governo avrebbe aperto però la data room solo a Lufthansa, ma non a Msc. Restano in campo, intanto, oltre mille cause di lavoro. Firmatari sono i dipendenti in cassa integrazione dell’ormai estinta Alitalia che chiedono di essere assunti da Ita.
Rebus rete unica Per arrivare al progetto di rete unica a controllo pubblico, ovvero quella che dovrebbe nascere dall’intreccio tra l’infrastruttura di Telecom e la rivale Open Fiber, si attendono il passaggio delle deleghe al ministro Urso e il cda di Cdp previsto per il 24 novembre.
Fumata nera Il tavolo al Mise sulla raffineria Isab Lukoil di Priolo, mentre a Siracusa sfilavano 2mila operai, si è concluso con un nulla di fatto. Le banche hanno chiuso i rubinetti per fornire una linea di credito che consentirebbe l’acquisto di petrolio da altri Paesi e non da Mosca, verso il quale dal 5 dicembre scatterà l’embargo europeo. Non è servita né la “comfort letter” del Mef, né la garanzia offerta da Sace. Il ministro Urso ha assicurato una soluzione entro metà dicembre. Ma il rischio di uno stop dello stabilimento resta.
Fronte del porto Per Wartsila, invece, si parla anche della possibilità del subentro di Fincantieri. La produzione intanto andrà avanti per sei mesi.
Ancora Gkn Oggi il consiglio comunale a Firenze è dedicato alla vertenza sullo stabilimento di Campi Bisenzio. Il ministro Urso non ci sarà. E stasera è in programma l’assemblea degli operai nello stabilimento, oggi rimasti in 330, che temono il mancato rilancio da parte della subentrata Qf e il fallimento definitivo. A un anno dall’acquisizione, in effetti, si è mosso poco o nulla.
COSE DI LAVORO
Metalmeccanici tedeschi Dopo settimane di scioperi, il sindacato dei metalmeccanici tedesco Ig Metall ha ottenuto un aumento graduale degli stipendi fino all’8,5% e in più un bonus esentasse in busta paga di 3mila euro.
Stagionali inglesi I braccianti nepalesi assunti per raccogliere la frutta nelle fattorie britanniche, grazie alle norme varate da Londra per attirare gli stagionali, sono stati rimandati a casa dopo poche settimane e con debiti per migliaia di sterline. Ora devono restituire i soldi presi in prestito per pagare il viaggio e gli intermediari che gli hanno trovato il lavoro.
Edili americane Negli Stati Uniti aumentano le donne impiegate nei cantieri edili, soprattutto ispaniche. Il Washington Post ha spiegato che questo è anche il frutto delle politiche di formazione per inserire le donne in settori tradizionalmente riservati agli uomini.
Social italiani Si è tenuta la prima assemblea nazionale dei social media manager italiani. Tra le richieste, ci sono la creazione di un codice Ateco dedicato per i liberi professionisti e l’introduzione di un contratto nazionale per i dipendenti.
Senza lavoratori Tra il Black Friday e il Natale alle porte, si moltiplicano le offerte di lavoro e torna la questione della carenza di lavoratori stagionali. Oltre a cuochi e camerieri, mancano magazzinieri, autisti, cassieri e commessi. Amazon, intanto, ha mostrato al mondo il braccio robotico Sparrow, in grado di gestire milioni di prodotti diversi e che per questo potrebbe sostituire molti lavoratori umani, scrive Fortune.
Italia alla guida Luca Visentini è il nuovo segretario della Ituc, la confederazione sindacale mondiale. Le elezioni si sono tenute domenica a Melbourne, e il sindacalista italiano, ex Uil, che dal 2015 è il segretario generale della Ces (la confederazione sindacale europea), ha vinto con il 72% dei voti.
CONSIGLI DI LETTURA Il Financial Times ha pubblicato la sua consueta classifica dei migliori libri dell’anno che sta per concludersi. Tra i titoli della sezione business, ci sono “The Nowhere Office: Reinventing Work and the Workplace of the Future” di Julia Hobsbawm e “Redesigning Work: How to Transform Your Organization & Make Hybrid Work for Everyone” di Lynda Gratton.
APPUNTAMENTI
– Questa settimana, tra il 23 e il 24 novembre, si attendono i verbali delle riunioni di Fed e Bce, importanti per capire l’atteggiamento dei membri delle due banche centrali sulle future mosse.
– Giovedì 24 novembre si tiene la riunione straordinaria dei ministri dell’energia Ue, nella quale si discuteranno le proposte della Commissione sui meccanismi per stabilizzare il mercato dell’energia col possibile “price cap” sul gas.
– Martedì 22 novembre l’Ocse pubblica il suo “Economic outlook”, mercoledì Nomisma presenta il suo Osservatorio sul mercato immobiliare 2022 dedicato alle grandi città, venerdì da Bankitalia arriva il rapporto sulla stabilità finanziaria 2022.
Per oggi è tutto.
Buona settimana,
Lidia Baratta
Per segnalazioni, integrazioni, critiche e commenti, puoi scrivere a [email protected].
Per iscriverti a Forzalavoro e alle altre newsletter de Linkiesta, basta andare qui.