Il governo Meloni proverà a salvare la norma che elimina le multe per chi non accetta pagamenti con la carta elettronica sotto la soglia dei 60 euro. Ma non intende andare allo scontro con Bruxelles, assicurano i ministri, compromettendo l’interlocuzione sul monitoraggio e la riformulazione necessaria del Pnrr. Se non si potrà fare, il provvedimento inserito in manovra verrà accantonato. Un altro dietro front, scaturito questa volta dalla interlocuzione con la Commissione europea.
Secondo gli esperti della “Task Force Recovery”, la norma è in contrasto con gli impegni presi dall’Italia nell’ambito dell’accordo sul Pnrr. «Va nella direzione opposta rispetto a quella indicata dalle raccomandazioni Ue», spiega una fonte europea alla Stampa. La misura, secondo Bruxelles, sconfessa la lotta all’evasione fiscale che era stata intrapresa da Mario Draghi, per la quale era già arrivata tra l’altro una tranche di fondi europei.
Nel documento contenente le Raccomandazioni della Commissione per il 2019, Bruxelles aveva chiesto all’Italia di «contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, potenziando i pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti». Le raccomandazioni per il 2019 fanno parte degli impegni sottoscritti per ottenere i fondi del Pnrr e il loro rispetto è fondamentale per non avere problemi in occasione delle richieste di pagamento.
La Commissione europea ritiene che permettere ai commercianti di non accettare pagamenti con il Pos per importi inferiori a 60 euro vada contro l’invito a «potenziare i pagamenti elettronici» e favorisca l’evasione fiscale. Secondo il governo, invece, non c’è alcun riferimento diretto all’utilizzo del Pos nelle raccomandazioni.
E non è tutto: anche l’innalzamento del tetto per l’uso del contante a 5mila euro sembra sconfessare l’invito di Bruxelles e segna un passo indietro nel percorso intrapreso negli ultimi anni con il piano “Italia Cashless”, spinto dal governo di Giuseppe Conte e implementato da Mario Draghi. Nel “Country Report” pubblicato a maggio, la Commissione prendeva atto dei «progressi significativi» fatti in questo ambito: per esempio si segnalava che «nel 2020 il maggiore utilizzo dei pagamenti elettronici ha probabilmente sostenuto ulteriormente l’adempimento degli obblighi fiscali».
Ora Bruxelles chiede il dietrofront. E quello che può fare il governo è attendere il responso dell’Europa. Se il governo Meloni decidesse di andare avanti sulla sua strada, rischierebbe di scontrarsi con la Commissione non tanto sull’approvazione della manovra, ma sulle verifiche periodiche del Pnrr. Proprio nei prossimi giorni una delegazione della task force Recovery sarà a Roma per fare il punto della situazione. La premier ha incaricato il ministro degli Affari europei e del Pnrr Raffaele Fitto di verificare se ci siano margini realistici di negoziato. Senza muro contro muro. «Nessuno qui vuole rischiare di compromettere il Pnrr per una norma sul Pos», dicono da Palazzo Chigi.
Ma c’è anche un’altra interlocuzione con Bruxelles che il governo non può mancare: quella sugli aggiustamenti al Pnrr. Il ministro Fitto a Repubblica spiega che nelle prossime settimane ci sarà «una rimodulazione al ribasso» e che «i progetti vanno riformulati». Le questioni sono due: «La prima si riferisce a un dato oggettivo. Ci sono 120 miliardi di opere pubbliche, sui 230 totali, e c’è un aumento delle materie prime del 35 per cento, quindi è facile la risposta al quesito». Poi, «c’è l’altra questione: la Commissione europea che adotta il Piano del Repower Eu per l’infrastrutturazione energetica ci dà delle indicazioni. Ma il nostro Paese non può, ad oggi, utilizzare ulteriori risorse a debito. Quindi l’Italia deve formulare e approvare la sua proposta, e anche questo è elemento che entra nel Pnrr». Un quadro, insiste, «che deve essere condiviso nel suo divenire con la Commissione». E Nello Musumeci, titolare della Protezione civile e della Politiche del mare, dice: «Io sono dell’avviso che il Pnrr andrebbe prorogato almeno di un paio d’anni. Con i ritardi che si sono determinati anche a causa della guerra, è davvero difficile poter rispettare i termine del fine dicembre 2026».
Anche per l’estensione della flat tax ai redditi fino a 85mila euro è necessario il via libera di Bruxelles. Il governo vuole estendere questo beneficio ai titolari di partita Iva che aderiscono al regime forfettario e nel 2020 aveva ottenuto una deroga dall’Ue per far rientrare in questa categoria i redditi fino a 65mila euro. Nel frattempo è stata approvata una direttiva che consente agli Stati di applicare il regime forfettario Iva ai redditi fino a 85mila euro, ma il provvedimento sarà in vigore soltanto dal 2025. Per questo il governo ha chiesto una nuova deroga, indispensabile per alzare la soglia: ma oltre al via libera della Commissione serve anche quello del Consiglio, cioè dei governi.