Parlare a nuora, perché suocera intendaIl caso Soumahoro è un miscuglio tossico di razzismo, classismo e giustizialismo

Sul deputato di Sinistra italiana si sono scagliati due tipi di giustizialismo: quello accattone della destra, che fruga nei cassonetti di qualunque inchiesta per infangare un sedicente “buono” e quello mistico della sinistra, che transustanzia la persona dell’accusato

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Se non ci fosse niente da ridere e molto da piangere, verrebbe da dire ad Aboubakar Soumahoro: «Benvenuto in Italia». Non c’è infatti nulla di più tipicamente nazionale – di più «italo-italiano», avrebbe detto Marco Pannella – del vizioso virtuismo da apericena della sinistra e del garantismo a geometrie razzialmente variabili della destra che, appena partita l’indagine su presunte malversazioni nella cooperativa sociale Karibu e nel consorzio Aid, hanno appiccato l’incendio in cui il parlamentare nero si è già bello che bruciato, al di là degli esiti di una vicenda giudiziaria, che peraltro non coinvolge neppure lui, ma la compagna e la di lei madre.

È da giorni in corso una sfilata di “io sono garantista, ma…” che ha unito praticamente tutti, da Angelo Bonelli a Maurizio Gasparri, nell’unità nazionale della cattiva coscienza, a dare lezioni di accoglienza, di correttezza sindacale, di giuslavorismo cooperativistico al genero nero dell’indagata nera, cinica sfruttatrice di diseredati.

A rendere tutto ancora più grottesco è che le lezioni riguardano un tema su cui nessuno degli onorevoli inquisitori dell’onorevole indagato per interposta suocera ha le carte in regola, avendo tutti loro imposto o accettato che la gestione dell’accoglienza, dai rimpatriabili nei Cie, ai richiedenti asilo nei Cara, avesse caratteristiche sostanzialmente detentive (e dunque inevitabilmente criminogene) e bilanci risicati (e quindi condizioni di vitto e alloggio miserabili), per non irritare la brava gente scandalizzata che lo Stato per i disperati ripescati in mare spendesse ben 35 euro al giorno cadauno.

Nella vicenda di Soumahoro, cioè non nell’indagine sui suoi congiunti, per cui neppure sappiamo se ci sarà mai un processo, ma nel processo già celebrato e concluso contro di lui, si sono sommate nell’azione e moltiplicate negli effetti il giustizialismo accattone della destra, che fruga nei cassonetti di qualunque inchiesta per pescare le carte buone a infangare un sedicente “buono” e il giustizialismo mistico della sinistra, che transustanzia la persona dell’accusato, anche se “compagno”, nel fantasma della sua colpa presunta, ipotizzata o, come in questo caso, addirittura trasferita per via familiare, perché ovviamente Soumahoro non poteva non sapere.

Poi a fare il vuoto attorno a Soumahoro ancora più perfetto e più rotondo e il discredito più condiviso e unanime, c’è il particolare che quello, che uno dei tanti articoli-esecuzione di questi giorni definisce il «talentuoso ivoriano», è un nero, anzi diciamola tutta, un “negro”. Poi non è neppure un nero che fa il povero nero e a cui si possa dare paternalisticamente del tu – come è scappato anche a Meloni – ma è uno consapevole e orgoglioso di sé, che venendo da una storia abbastanza emblematica, ampiamente sfruttata dai suoi ex amici e sempre screditata dai suoi nemici, si è messo a fare il sindacalista dei braccianti schiavi dei caporali: mestiere più complicato del negoziato sui buoni pasto in un ufficio parastatale.

Ora, dicono i suoi ex amici e i suoi nemici, si è montato la testa, ha altre ambizioni e quindi questa inchiesta è arrivata proprio a fagiuolo. Il suo gruppo parlamentare ha vergato un comunicato oscenamente curiale invitandolo a un incontro per «avere da lui elementi di valutazione su questa vicenda che contribuiscano a fare chiarezza»: cioè, non deve essere la procura a dimostrare che le sue congiunte sono colpevoli di qualcosa, bisogna che lui in un processo preventivo e parallelo dimostri ai sopracciò politico-parlamentari (che fino a due mesi fa si aggrappavano ai suoi stivali infangati e alla sua storia per scavallare il 3% alle elezioni) la personale estraneità a una vicenda che potrebbe pure essere fatta di nulla.

Rimango in attesa che Bonelli, Nicola Fratoianni e compagnia rivolgano analogo sollecito all’amato Giuseppe Conte, a proposito dei vecchi impicci del suocero, beneficiato da un provvido emendamento del genero. E sapendo che questa attesa sarà vana, rimango persuaso che il caso Soumahoro sia solo una storiaccia di classismo, razzismo e giustizialismo assortiti e combinati in modo tossico.