C’è un aneddoto che mia nonna mi raccontava sempre, come risposta a domande che non posso, né voglio, ricordare di avere fatto: «Quando chiesero a Marilyn Monroe perché avesse fatto il calendario nuda, lei rispose: perché avevo fame». Nessuno risponde più «perché avevo fame»: adesso la risposta è «per combattere gli stereotipi di genere».
L’altro ieri Chiara Ferragni ha fatto finta di scoprire che l’internet fa l’internet, che ci sono i commentatori cafoni, che le donne sono le peggiori nemiche delle donne, che una mamma è prima di tutto una donna, ma cos’è poi una donna chi lo sa.
Ferragni posta delle foto pubblicitarie in intimo, alcuni le rispondono che le mamme certe cose non le fanno – tipo guadagnare un mucchio di soldi per dei video dentro la propria cabina armadio? – che è troppo magra, che non ha culo, che ci deve dire la verità sul pandoro. Niente di nuovo, le rispondono sempre così.
Una per darle conforto ha scritto che Chiara Ferragni è come le donne iraniane, combatte per la libertà delle donne: pare che il grande libro dell’“anche meno” si sia dato fuoco, Luca Guadagnino e Carlo Antonelli ne stanno scrivendo il necrologio.
Comunque sia, Ferragni risponde agli insulti dicendo che non bisogna confondere la libertà di pensiero con la maleducazione, che i commenti sono misogini – ma forse è più misogino dire che dalle donne non ci si aspetta che siano villane –, che nella vita reale non andiamo dalla gente a dirle che fa schifo: non so da quando lei non frequenti il mondo reale, però insomma. Tutti dicono che è una strategia per sviare dall’affaire pandoro benefico, e se la prendono con quelli che non ne parlano: sotto Natale c’è sempre tanta voglia di tirare le monetine ai pandori rosa fuori da un Raphaël immaginario.
Quindi: una mamma può fare le foto birichine? La questione è che in questo caso non è la domanda da fare, perché le foto di Ferragni sono lavoro: viene pagata, mica lo fa per emancipare le mamme, le donne, le bionde. Le mamme pubblicano foto in intimo gratuitamente? Non credo di aver mai visto una mamma non influencer pubblicare foto in mutande in nome della libertà: al massimo fanno foto innocue per “normalizzare” le smagliature, il grasso, il pianto, anche perché noi al grasso cosa dobbiamo dirgli se non «stai, che sei grasso d’amore»: qua nessuno ha più voglia di avere fame, per questo ci siamo inventati che la dieta è grassofobica.
Se la mamma di un compagno di classe di mio figlio pubblicasse un calendario sexy per dimostrare che le mamme sono anche donne io onestamente chiamerei la guardia medica, mica le farei un applauso.
È un po’ ipocrita far finta che le nostre azioni non abbiano conseguenze: se pubblico una foto mezza nuda la possibilità che mio figlio venga preso per il culo a scuola è piuttosto alta, poi cosa dico, che è bullismo? O che è colpa mia? Abbiamo una visione corta, non riusciamo più a immaginare le conseguenze, e anche se lo facciamo arriviamo alla conclusione che la colpa non sia mai nostra, ma della società, del paternalismo, dei maschi, del capitalismo, della psicoterapia troppo cara.
Abbiamo creduto di poter avere tutto: non è così, bisogna a un certo punto farci i conti. Se diamo un valore economico alle cause, le cause diventano un lavoro: ma come si fa se non sembra un lavoro? Ce la beviamo? Vediamo le luci brutte e lo stendibiancheria sullo sfondo e così ci sembra tutto gratuito e miserabile e veritiero: non è così.
Ogni lavoro è dignitoso, pure quello dell’influencer: se non glielo riconosciamo, come possiamo pensare che abbiamo il potere di licenziarli? O decidiamo che è un lavoro, e quindi va rispettato esattamente come gli altri, o decidiamo che non lo è, e allora vale tutto. Il problema delle Chiara Ferragni è che non possono rispondere «perché avevo fame». Lo fanno le attiviste social quando pubblicano le adv, dicono che pure loro devono campare visto che fanno divulgazione gratis: chi gliel’ha chiesto rimane il più grande mistero italiano dopo il rapimento di Emanuela Orlandi.
«Perché avevo fame» è la miglior risposta a tutto: parla di povertà, di riscatto, di emancipazione attraverso il proprio corpo, di libertà: i nati ricchi questo non possono saperlo, ma, si sa, nessuno è perfetto.