Giorgia Meloni debutta nel Consiglio europeo nel decimo anniversario di Fratelli d’Italia. Una coincidenza astrale. Nel 2012 nessuno poteva immaginare la cavalcata elettorale di un partitino nato da una micro scissione dal partitone della libertà voluto da Silvio Berlusconi. In questi dieci anni di opposizione ai governi tecnici, gialloverdi, giallorossi e di unità nazionale, l’alchimia della politica italiana ha portato questa forza di destra ad essere la prima in Parlamento, schiantando la sinistra nelle sue cento sfumature.
Dopo aver bombardato per anni il quartier generale europeo, Meloni oggi si presenta a Bruxelles come la prima donna premier in Italia, ma il vestito istituzionale le sta stretto. Incassa il giudizio positivo della Commissione europea sulla prima e frettolosa manovra economica. Sembra non scomporsi di fronte ai rilievi di Bruxelles che considera lassiste le misure sul tetto all’uso dei contanti e del Pos. La lotta all’evasione non è mai stata il pezzo forte del centrodestra.
Ed è proprio su questo nervo scoperto che scatta il riflesso condizionato che rende quell’abito istituzionale stretto. Lei si sforza di mantenere l’aplomb. Lascia fare però in maniera caustica a Francesco Lollobrigida, il ministro della sovranità alimentare, il suo vero braccio destro: «In effetti, dopo quello che è successo nel Parlamento europeo, che qualcuno evadesse si è notato, e non erano i cittadini».
È una bordata micidiale ai socialisti e al Partito democratico, in particolare nella prospettiva delle elezioni europee del 2024. I Conservatori, guidati da Meloni, sperano di diventare il secondo gruppo a Strasburgo e da quella posizione allearsi con il Partito Popolare per soppiantare la storica alleanza tra Popolari e Partito socialista europeo che ha sempre governato il Vecchio Continente.
Gli amici di Meloni dovranno pedalare molto, ma tutto può succedere, come si è visto in Italia, con la complicità della sinistra e la distrazione del Partito Democratico sui comportamenti di suoi ex europarlamentari che si sono inventati paladini dei diritti per far girare soldi nelle loro tasche. Ora i candidati alla segretaria del Partito democratico si affannano, giustamente, a condannare e a esorcizzare il male, ma il danno di immagine è enorme: ci vuole un supplemento di chiarezza. Non basta fare Alice nel Paese delle meraviglie.
A Meloni questa situazione è congeniale. E si presenta oggi a Bruxelles con il piglio della vincente, riproducendo il nazionalismo di cui è figlia. Conia la tesi che «ci vuole più Italia in Europa e non più Europa in Italia». Ingaggia la battaglia sui migranti, rivendica «pari dignità» perché l’Italia non accetta quello che gli altri non vogliono fare, cioè la redistribuzione. La soluzione sarebbe fermare le partenze e difendere i confini esterni dell’Unione europea. Poi arriva al dunque del passato che ritorna sempre: la Polonia non può essere emarginata, perché è in prima fila nella guerra Ucraina e nell’accoglienza dei profughi. «Non c’è un club esclusivo con Paesi di serie A e Paesi serie B. Che messaggio diamo alla Russia quando diciamo che la Polonia non è nostra amica?».
È congeniale alla premier poter affermare che l’Europa è «miope» sulle grandi scelte strategiche sull’energia. Ma per fortuna che ora c’è una nuova Italia al governo che punta alla triangolazione con la Francia e la Germania. «Prima il tavolo barcollava perché aveva solo due gambe, ora la situazione è cambiata e consente a noi di giocare un ruolo diverso».
Matteo Renzi ieri in aula le ha suggerito di darsi una calmata, ricordando che prima di lei non c’era uno scappato di casa, ma Draghi che ha salvato l’euro, da cui lei voleva uscire, e ha portato molta Italia in Europa. Ha ragione il leader di Italia Viva nel segnalare una Meloni 1 o una Meloni 2, ma prima o poi dovrà decidere se stare con i padri fondatori o con i sovranisti. Così come dovrà scegliere se utilizzare i soldi del Mes per la sanità: dopo la decisione della Germania, siamo l’unico Paese che ancora non si è pronunciato.
Vedremo come se la caverà, ma sarebbe meglio che Meloni distinguesse tra Varsavia, Budapest, Parigi e Berlino.
Gli interessi nazionali si difendono avendo chiaro in quale prospettiva collocarli. E per il momento le due Meloni non vanno sempre d’accordo.