È questa la nostra Ucraina, una “terra di mezzo” che per secoli ha visto insinuarsi nel proprio territorio ondate migratorie volontarie o forzate, che hanno lasciato una scia di isole fatte di comunità culturali diverse, e dove poi, ormai nel Ventesimo secolo, si è insinuato anche qualcos’altro, un rullo compressore che mirava a un’uniformazione pianificata: linguistica, culturale, religiosa (o piuttosto antireligiosa), economica e cos’altro? Ideologica.
Ecco come appare adesso la nostra Ucraina, è questo il suo archetipo: un insieme di tipici edifici sovietici, tra i quali solo l’occhio più vigile noterà un qualcosa di altro, rimasto intatto nel nuovo panorama “ordinato” a causa della negligenza o della caparbia ostinazione di qualcuno. Una piccola chiesa dove si canta in un’altra lingua; una pietanza che si prepara da diversi secoli in decine di case nei dintorni, un piatto che, forse, è l’unico ricordo di quel lungo viaggio dalle montagne innevate che un tempo avevano intrapreso gli antenati; un mestiere arrivato da una patria lontana; delle parole in un’altra lingua ascoltate durante l’infanzia, che i vicini non capiscono.
Certo, queste isolette sono piccole, a volte così minuscole da essere visibili solo con la lente d’ingrandimento di un orafo: come un intarsio su una superficie più o meno omogenea, già di per sé interessante, ma pur sempre resa incommensurabilmente più ricca grazie alle sue sfaccettature diverse. Questo libro è proprio come una lente d’ingrandimento, una lente precisa e piena d’amore, che muovendosi rivela luoghi in cui l’ucrainità si espande improvvisamente, si apre a tutti gli angoli del mondo, supera le paradossali mura del nazionalismo etnico con la stessa naturalezza con cui un pesce attraversa le acque territoriali.
È indiscutibilmente un segno di saggezza e maturità saper dire: i nostri armeni ed ebrei, i nostri polacchi, cechi e slovacchi, i nostri rom, i nostri tedeschi, i nostri gagauzi, i nostri valacchi e albanesi. Solo allora – e non prima – cesseranno tutti di essere dei senzatetto. Sì, senzatetto, ed è colpa nostra, colpa della cosiddetta maggioranza sociale. Perché finché rimarranno stranieri, verrà negato loro un posto: straniero è colui che viene privato di un posto nello spazio, colui che dovrebbe sempre essere “altrove”. Coloro che hanno patito le deportazioni di Stalin, e che talvolta sono stati pure vittime dei nazionalismi post-sovietici, sono ben consapevoli di cosa significhi tutto ciò. Ecco perché non sono sorpresi. Spesso non si aspettano nulla da noi. La maggior parte tace e scompare. Se ne va, infine assimilata. Muore.
«Ho paura».
«Di chi?».
«Di tutti».
«Perché?».
«Non lo so».
«Me ne vuole parlare?».
«No».
Questo dialogo è tratto dall’intervista all’ultima donna armena di Kuty, nei Carpazi, rimasta l’unica memoria vivente di una comunità armena un tempo grande e vivace. Spesso tacevano, è vero: le loro biografie, le origini e i nomi, la loro lingua, diventavano molte volte un “corpo del reato” sufficiente. Ma perché continuano a tacere ancora adesso?
È questa la domanda che non dobbiamo smettere di porci. Poche cose al mondo sono più pericolose del desiderio di uniformazione linguistica e culturale. E ci sono poche cose più tristi della riluttanza a interrompere questo processo, a esaminare cosa è rimasto dopo il passaggio del rullo compressore della storia: queste sfaccettature sparse, questi ricordi, questi “piccoli segreti”. Sono in primo luogo persone, sono i nostri connazionali, della cui esistenza spesso siamo inconsapevoli. Ammettiamolo: cosa sappiamo realmente, per dire, dei nostri turchi mescheti? O dei nostri svedesi? E senza tale conoscenza, qualsiasi nobile sforzo per creare una “nazione politica ucraina” sarà un gesto sterile, un discorso vano. È impossibile invitare l’Altro al dialogo senza conoscerne il nome. Perciò, leggete questo libro, leggetelo attentamente.
E un’altra cosa, per finire. È impossibile prevedere in quale momento e con quali criteri sarai (sarò, sarà) bollato come un estraneo o un’estranea, come qualcuno che minaccia il sistema, la “purezza” del panorama, il concetto di certi “designer”. Ecco perché siamo tutti Altri, tenuti insieme solo dalla comprensione, dall’empatia e dall’amore. Questo libro parla anche di questo. Anzi no, parla innanzitutto di questo.
© Edizione italiana Bottega Errante Edizioni s.r.l. 2022
Mosaico Ucraina, Olesja Jaremčuk, Bottega Errante edizioni, 191 pagine, 16 euro