A forza di parlare di Qatargate e di Italian Connection, a proposito dell’indagine in Belgio per i casi di corruzione di cui sono accusati Antonio Panzeri e altri presunti appartenenti al suo network politico-affaristico, si convinceranno tutti – come avvenne con Tangentopoli – che i casi, più o meno diffusi, di malversazione non rappresentino una malattia, ma la vera natura del sistema. A seguire, si convinceranno anche che non occorra tutelare l’attività delle istituzioni europee e delle organizzazioni non governative da possibili infiltrazioni illegali, ma serva proprio riconoscerne la sostanza criminale, nascosta da una parvenza solo formalmente democratica o umanitaria.
Se l’Europa tutta iniziasse a (dis)funzionare come l’Italia – ancora ce ne vuole, ma mai mettere limiti alla sventura – potremmo attenderci tra un decennio un Beppe Grillo formato continentale arrivare a Strasburgo o a Bruxelles intimando ai parlamentari europei di uscire tutti con le mani alzate
Peraltro l’Italia, che, vista la nazionalità dei protagonisti, è al centro di questo affare dalle dimensioni ancora incerte e presumibilmente assai più piccole di quelle presunte, è il Paese più vulnerabile e indifeso davanti alla canea del pregiudizio e del sospetto, perché il trasformismo moralistico rappresenta da alcuni decenni la costituzione materiale della nostra democrazia sgarruppata, che in un’orgia di anatemi e auto-fustigazioni si ostina a leggere nel percolato mediatico di ogni inchiesta i segni delle sciagure future, come fanno le fattucchiere nei fondi di caffè.
La conseguenza di questo atteggiamento tanto inane quanto ruffiano non è solo di degradare il popolo a massa informe di tricoteuses, che assistono con libidine ed ebrezza alle decapitazioni di piazza, ma di lasciare dolosamente sovvertire la dimensione e l’ordine dei fenomeni e dei pericoli che davvero corrono oggi le democrazie europee nelle loro relazioni pericolose e obbligate con veri o verosimili stati canaglia.
Un risultato – di cui abbiamo già scritto – è che si finisce per ritenere più pericolosa e riprovevole la corruzione privata dell’infiltrazione pubblica, la marchetta pietosa di un parlamentare venduto all’intemerata orgogliosa e gratuita di interi partiti posizionati lungo l’asse Mosca-Pechino.
Un secondo risultato è che si lasciano trattare, aspettando che passi una nottata che invece si fa sempre più nera, il Parlamento europeo, il gruppo socialista e le ONG che si occupano di diritti umani come cumuli di letame, abbandonandole indifese in balia dei sacrestani dell’informazione giudiziaria ufficiale e dei picchiatori dello scorrettismo anti-buonista, gli uni e gli altri persuasi – come ai vecchi tempi – che non esistono innocenti ma solo colpevoli che non sono stati scoperti.
Facciamo un esempio concreto, che peraltro per ragioni storiche e personali mi sta particolarmente a cuore. Una delle organizzazioni finite nel mirino dell’inchiesta è “Non c’è Pace senza Giustizia – No peace Without Justice (NPWJ)”, una storica ONG radicale voluta da Marco Pannella e ispirata da sempre da Emma Bonino, che avviò le proprie iniziative promuovendo l’istituzione di un tribunale internazionale ad hoc per i crimini commessi nella guerra della ex Jugoslavia.
Il segretario generale Niccolò Figà Talamanca è tra gli arrestati e accusati di complicità con la rete di Panzeri. NPWJ in sé non è coinvolta, ma è finita nel mirino per ragioni di contiguità materiale con Fight Impunity, con cui condivide la stessa sede a Bruxelles. Non sono stati pochi gli attestati pubblici di stima, fiducia e amicizia che Figà-Talamanca ha raccolto dal momento del suo arresto, sia da parte di chi ha lavorato con lui, sia da parte di chi ha seguito da lontano la sua attività.
Comunque la si pensi, è uno spettacolo assai meno desolante di quello offerto da chi, di fronte a un’indagine, a prescindere dagli indizi di colpevolezza, mette retroattivamente “in attesa di giudizio” anche la fiducia maturata e dichiarata per parecchi decenni nei confronti di amici, compagni e collaboratori.
Se non c’è pace senza giustizia, non c’è neppure giustizia senza verità o con una verità addomesticata alla proclamata esigenza di onestà e di pulizia. Per giorni non solo la figura di Figà-Talamanca, ma la stessa immagine della NPWJ è stata letteralmente sfigurata ed equiparata a quella di una improvvisata organizzazione di spalloni, impegnati a trasportare contanti da un capo all’alto del globo per conto di sordidi committenti.
Non una parola, praticamente, su una storia trentennale (rintracciabile in sintesi su Wikipedia) di impegno su attività di assistenza giuridica e politica, di transizione democratica e di promozione dei diritti individuali e su istanze di giurisdizione internazionale. Vale la pena di raccontare una delle meno conosciute iniziative di “Non c’è Pace senza Giustizia” per dare il senso concreto delle sue attività.
Quando nel 2011 le primavere arabe hanno scosso gli equilibri politici del Nord Africa e del Medio Oriente, NPWJ ha messo a disposizione degli attivisti dei diritti umani e delle vittime dei conflitti armati scoppiati dalla Libia alla Siria la sua trentennale esperienza in termini di documentazione dei crimini di guerra. Nel momento in cui emerse chiaramente, per il veto russo, l’impossibilità di un mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite alla Corte Penale Internazionale perché investigasse su crimini commessi dal regime di Assad in Siria, NPWJ si è immediatamente attivata per assicurare la creazione di nuovi strumenti internazionali atti a garantire raccolta, archiviazione e utilizzo di testimonianze e prove sui crimini commessi in territorio siriano da tutte le forze combattenti.
Grazie alle sue attività di advocacy e moral suasion Liechtenstein e Svizzera si sono fatti promotori all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una Risoluzione che nel 2016 ha istituito il cosiddetto IIIM, un Meccanismo Internazionale Imparziale e Indipendente volto a preservare e organizzare le prove raccolte dalle ONG siriane sul campo e a metterle a disposizione delle autorità giudiziarie degli stati membri delle Nazioni Unite. Grazie a questo lavoro tribunali tedeschi hanno potuto indagare e condannare criminali di guerra siriani colpevoli di torture, stupri e assassini degli oppositori politici del regime di Assad.
Valeva la pena di raccontare più nel dettaglio questo episodio poco conosciuto, per chiarire – se qualcuno avesse voglia di chiarezza – quanto sia infame questa caccia alle organizzazioni che difendono i diritti umani, in un mondo che traballa proprio perché il tema dei diritti umani ha iniziato a essere rovinosamente considerato, pure nell’Occidente democratico, un lusso rinunciabile o una truffa retorica.