Professione indignatiIl Qatargate e l’eterno ritorno dello scoop populista e giudiziario

Ad alcuni bastano le foto delle banconote sequestrate per gridare alla corruzione. Ma a un tribunale serve molto di più: capire chi ha dato i soldi a quale funzionario e soprattutto per fare che cosa. Senza queste risposte può essere una normale attività di lobbying o al massimo un traffico di influenze

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Ogni volta che esplode un qualsiasi straccio di scandalo, fioriscono articoli densi di sdegno, reprimende e autodafé. Lo stesso vale anche per l’ultimo arrivato: il Qatargate. Pensate: un paese semidesertico di poco più di due milioni di abitanti che vuole papparsi il Parlamento europeo, 705 membri, senza contare assistenti e personale amministrativo, in rappresentanza di oltre quattrocento milioni di cittadini.

L’indignato speciale che dorme in ogni animo di benpensante “de sinistra” non va mai in vacanza, al massimo si appisola in attesa di potersi risvegliare al primo refolo. E che sollievo, vuoi mettere, liberarsi di certo estenuante garantismo per far sfogare il forcaiolo dentro di noi, per gridare vergogna (sempre agli altri) e per minacciare di costituirsi parte civile in un processo che ancora deve iniziare?

E poi diciamo la verità: cosa vuoi difendere di fronte alle foto di mazzette, debitamente impilate, alle intercettazioni dove il sapiente dispensatore di verbali si è preso la briga pure di tradurre il termine combine in intrallazzo, che suona meglio? Ma anche di fronte alle prime notizie di confessioni come si può reagire? In fondo sono tutte “voci di dentro”, beninteso, ma sono anche le uniche che abbiamo finora, e ci si arrangia con quelle.

Vogliamo mettere l’antropologia criminale che i volti, il tenore di vita, il sito Instagram degli inquisiti  suggeriscono come assolutamente sovrapponibile a quello di un qualsiasi elettore di destra? E invece è gente “de sinistra”. E addirittura, come nel caso di Antonio Panzeri, a sinistra della sinistra.

Il can can è sempre lo stesso, lo abbiamo visto già in altre inchieste, alcune coronate da successo, altre no, ma tutte accomunate dagli stessi iniziali toni trionfalistici. Il che dovrebbe far pensare che il garantismo, ancorché vigorosamente sputtanato (è il caso di dirlo) dal berlusconismo e dalla parentela di una prosperosa ragazza marocchina (guarda un po’ la coincidenza) col rais Mubarak, altro non è che un sano smagato scetticismo verso l’eterno ritorno del sempre uguale scoop giudiziario, uno dei pochi pilastri su cui si regge l’esangue stampa di casa nostra (sui giornali stranieri come il Financial Times e il Guardian di Qatar e Marocco non se ne trova traccia se non nelle pagine dedicate al mondiale).

Non si tratta di negare la realtà quanto di porsi allo stato delle cose qualche domanda e almeno un preoccupante interrogativo.

Innanzitutto, ferme restando le vivide immagini delle mazzette impilate, non è dato sapere a che cosa concretamente servissero i soldi in questione oltre ad arricchire gli indagati che li percepivano come mediatori di ulteriori illeciti favori che sarebbero dovuti essere concessi da parlamentari europei. al comprensibile e nobile moto d’indignazione, le foto dei pacchi di soldi servono a ben poco se non si individua il pubblico ufficiale quale utilizzatore finale e soprattutto la specifica attività legata alla sua funzione e oggetto della corruzione.

In Italia si tratterebbe si è no di “traffico di influenze illecite” (articolo 346 bis del codice penale) punito con pene assai modeste (fino a quattro anni e sei mesi). 

Un reato che non consentirebbe neanche le intercettazioni e che punisce l’intermediazione tra un privato che chiede e un pubblico ufficiale che dispone. Inoltre si tratta di un reato di difficile applicazione perché a mezza strada tra quello più grave di corruzione (i soldi dati al pubblico ufficiale) e una normale e lecita attività di lobbying

Qui subentra il secondo quesito: a chi erano destinati quei soldi e cosa si doveva ottenere dalle istituzioni europee? Ebbene, un altro mistero allo stato delle cose. Il Parlamento europeo è un’assemblea che non ha iniziativa legislativa (che è della assai più potente Commissione), ma è responsabile dell’adozione della legislazione dell’Unione insieme al Consiglio, l’organo che riunisce i ministri dei governi dei 27 Stati membro. Cioè può agire in concerto con il Consiglio e modificare norme europee, ma non può presentarle da sola.

Se, come leggiamo, con quei soldi così ben impilati, si doveva “modificare una percezione” verso un qualche illiberale paese arabo, piaccia o meno siamo nell’ambito di un’attività di lobby, opaca ed eticamente censurabile, ma nulla più di questo. Roba da indignati in servizio attivo, appunto.

Meriterebbe invece una più attenta riflessione la singolare modalità dell’indagine originata, a quanto leggiamo, da un’iniziativa dei servizi segreti belgi, che hanno agito senza dare notizia all’autorità giudiziaria, intercettando e perquisendo le abitazioni degli indagati senza alcuna preventiva autorizzazione prima di investire la magistratura ordinaria.

Il Belgio ha un’efficiente e dedicata agenzia specificamente destinata alla lotta contro la corruzione, l’OCRC (l’Ufficio centrale per la repressione della corruzione, una branca della polizia giudiziaria federale) sicché non è ozioso chiedersi come mai siano intervenuti i servizi e cosa cercassero per potere giustificare delle eccezioni così eclatanti allo Stato di diritto (capirei atti di terrorismo ma avrei difficoltà ad accettarlo, confesso, per una storia di lobbying prezzolato).

Appartengo a una generazione abituata a diffidare dei servizi segreti (per capirne i motivi suggerisco di rivedere su RaiPlay le puntate straordinarie de La Notte della repubblica di un giornalista vero, Sergio Zavoli). Il segreto non va bene con la trasparenza della democrazia. Soprattutto rilevo che un’indagine come questa, condotta da un giudice che è una via di mezzo tra Di Pietro e Carofiglio (e già questo…) ancor prima di individuare possibili colpevoli singoli, ha già buttato discredito sulle istituzioni europee, le stesse che hanno mantenuto salda l’Unione europea negli anni terribili della pandemia e oggi della guerra.

Si cerchino, ci mancherebbe, le responsabilità singole, si eviti cortesemente, per amore di scoop, vieto moralismo e rancore politico di fare l’ennesimo favore ai sovranismi nemici della democrazia. Non ce n’è bisogno, se non per i nemici dell’Europa libera. Si cessi di alimentare, una buona volta, il populismo demolitorio che poi ipocritamente si condanna quando ormai è troppo tardi.

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