A svelare la Tangentopoli del Parlamento europeo è stata un’operazione di spionaggio internazionale durata un anno, con il coinvolgimento di almeno sei Paesi per sventare la pesante infiltrazione del Qatar nelle istituzioni di Bruxelles. Gli apparati di intelligence hanno raccolto e condiviso informazioni sulla base di una sospetta minaccia alla sicurezza degli Stati con «interferenze nei processi decisionali» garantite dalla corruzione di deputati e funzionari del Parlamento europeo. Solo successivamente il Servizio informazioni e sicurezza belga le ha declassificate, mettendole a disposizione della Procura federale per l’avvio di una «indagine su larga scala». Un’indagine che, secondo alcuni media greci – tra cui Mega Tv – coinvolgerebbe una sessantina di europarlamentari, per la maggior parte appartenenti alle famiglie politiche dei Socialisti & Democratici, del Partito popolare europeo e di altri partiti di sinistra.
Il “Qatargate”, insomma, sta diventando una Spy Story – scrive Repubblica. Con un protagonista principale: il Dged, il servizio segreto marocchino. E una serie di coprotagonisti: l’Intelligence del Belgio, con la collaborazione di Paesi alleati dell’Unione europea, e il governo del Qatar. Marocco e Doha nelle parti dei grandi corruttori dentro le istituzioni dell’Ue, in particolare il Parlamento.
Tutto nasce cinque mesi fa. Gli 007 belgi, assistiti da altri servizi europei, vengono a conoscenza che c’è una rete che lavora «per conto» del Marocco e del Qatar. Lo sfondo è il ruolo di Rabat nel Sahara Occidentale e i flussi migratori. Il Marocco vuole che l’Ue non si metta di traverso sull’occupazione di quel pezzo d’Africa e punta ad avere meno problemi possibili dal punto di vista dei flussi dei migranti.
Il gruppo socialista di S&D sarebbe quello maggiormente coinvolto. Attraverso una sorta di cricca composta da tre italiani: Panzeri, Cozzolino (europarlamentare) e Giorgi (compagno di Kaili). Anche se alcuni media della Grecia, addirittura ipotizzano che dentro il Parlamento europeo potrebbero essere una sessantina i nomi coinvolti.
Il più attivo nel cercare l’influenza è comunque lo Stato del Marocco. Incontri, colloqui, cene con i più alti dirigenti dei servizi segreti di Rabat sono una costante di questo sistema. Il gruppo è stato agganciato prima da un ufficiale del Dged di stanza a Rabat. Si tratta di Belharace Mohammed, il quale ha potuto contare sulla intermediazione anche di un diplomatico di base a Varsavia: Abderrahim Atmoun. Tutte informazioni in un primo momento raccolte dai servizi segreti del Belgio.
Il ruolo del diplomatico di Rabat che si muove lungo l’asse Varsavia-Bruxelles è centrale. Ma c’è un anello che è ancora più importante in questa catena: Mansour Yassine, direttore generale del Dged. I tre lo hanno incontrato. Cozzolino lo ha fatto ad esempio diverse volte e almeno in una sarebbe andato in Marocco, nel 2019. Secondo la ricostruzione dei pm belgi, infatti, un ufficiale dell’intelligence marocchina ha prenotato due biglietti aerei sul volo Alitalia Casablanca-Roma del 2 novembre 2019 e sulla successiva tratta Roma-Napoli. Gli 007 del Belgio non sanno con certezza se Cozzolino sia effettivamente salito sull’aereo. Anche Panzeri è volato verso lo Stato magrebino per incontrare ancora lo stesso Mansour nel luglio del 2021.
La motivazione che viene assegnata a questo colloquio è discutere la «strategia» del Parlamento europeo. Anche in questo caso gli 007 si prendono una prudenza: non confermano che il colloquio sia effettivamente avvenuto. Ma che sia stato organizzato sì. Della rete avrebbe fatto parte anche Figà Talamanca, il vertice della Ong “No Peace without justice”.
L’ufficio di Atmoun a Varsavia, dunque, era una specie di crocevia. Lì si sono alternati in visita Panzeri, Cozzolino e anche Giuseppe Meroni, un tempo assistente dell’ex eurodeputato e ora a disposizione della neo eletta di Forza Italia, Lara Comi. All’interno di questo quadro, Francesco Giorgi veniva identificato come una sorta di «agente» di Panzeri. Almeno i Servizi marocchini lo utilizzavano in quel modo. Ma sarebbero stati Cozzolino e Panzeri a gestire l’accordo per consentire «l’ingerenza del Marocco».
Il sistema del Qatar non cambiava molto. Le regole, alla fine, erano le stesse. E gli obiettivi analoghi. In questo caso gli obiettivi sono quelli di rendere accettabili le procedure adottate da Doha sui lavoratori. In particolare quelli impegnati nella costruzione delle strutture dei mondiali di calcio. Le autorità qatarine sarebbero state persino più dirette di quelle marocchine. Non avrebbero usato direttamente le spie, ricorrendo direttamente al governo. Gli incontri, infatti, sono fatti con il ministro del lavoro, Bin Samikh al Marri. E il tutto sarebbe avvenuto – secondo il mandato di cattura – con l’aiuto di un personaggio misterioso chiamato Bettahar e soprannominato «l’Algerino».
Gli inquirenti non hanno dubbi: Panzeri e Giorgi dividevano tutto al 50 per cento. E il resto era per Figà Talamanca. Il gruppo riceveva pagamenti per le sue attività in due modi quando venivano Doha: attraverso i conti della Ong “Fight Impunity”, in contanti o con qualche regalo. Quando il finanziatore era Rabat, allora non si andava per il sottile: la moneta in contanti veniva trasferita in alcune buste o borsoni attraverso la intermediazione del diplomatico di stanza in Polonia Atmoun.
Secondo la magistratura belga, quegli importi venivano impiegati per pagare tutte le spese che denotavano «un tenore di vita che eccedeva le sue possibilità». E poi per pagare i «membri della rete» che dentro le istituzioni europee venivano manipolati come delle vere e proprie teste di legno.
Nella villetta dei genitori di Francesco Giorgi ad Abbiategrasso i finanzieri hanno trovato la chiave di una cassetta di sicurezza. In banca hanno trovato altri 20mila euro in contanti. Sarà difficile rintracciarne la provenienza. Ma per i contanti sequestrati a Bruxelles la polizia ha trovato una traccia: la fascetta che li avvolgeva consente di risalire ai conti correnti da cui sono stati prelevati. E questo potrebbe costituire la svolta dell’inchiesta.
Eva Kaili intanto continua a dirsi innocente, affermando di non sapere nulla di soldi e accordi di corruzione e addossando la responsabilità al compagno. Il quale, scrive Repubblica, avrebbe confermato agli inquirenti di aver lasciato all’oscuro la donna dell’operazione. «Farò il possibile affinché la mia compagna sia libera e possa occuparsi di nostra figlia di 22 mesi», avrebbe detto agli inquirenti.