Retroscena di un delittoLa notte in cui l’Italia fascista diventò razzista per legge

La ricostruzione storiografica del dibattito del 6 ottobre 1938, quando Mussolini presenta al Gran Consiglio la prima versione della «Dichiarazione sulla razza» su cui si mostra disposto a mediare e ricevere emendamenti

Mussolini con un gruppo di gerarchi
LaPresse Torino/Archivio Storico

Quel dibattito lo si può ricostruire in base a diversi appunti mussoliniani e ai quotidiani del tempo, ma adesso soprattutto leggendo e studiando con attenzione un testo che finora si conosceva solo in maniera indiretta e molto parziale: la prima versione «ufficiale» della Dichiarazione sulla razza, il ciclostilato elaborato dal duce e distribuito ai membri del Gran Consiglio la sera del 6 ottobre 1938.

Esso è venuto alla luce in maniera definitiva grazie a un nuovo fondo dell’Archivio Centrale dello Stato che contiene la copia pervenuta a Italo Balbo e che costui corresse, modificò e commentò in vari modi durante la discussione. Emerge quindi un testo dal quale si apprendono, per quanto possibile, precedenti e conseguenze, modifiche, opposizioni e conflitti rilevanti per la storia italiana che lo rendono ben più comprensibile di quanto fosse finora, perché se ne distinguono storia e sviluppi.

Il dibattito riguardò il razzismo di Mussolini, del suo partito e del paese. Per la precisione, diversi segmenti importanti e autorevoli di quel partito. La discussione durò circa cinque ore a Palazzo Venezia la notte tra il 6 e il 7 ottobre 1938 e si concentrò sul documento elaborato nel corso di diverse settimane dallo stesso duce e che allora venne dibattuto in modo piuttosto radicale; per giungere, alla fine, a una stesura che in molti punti era ben diversa da quella «mussoliniana» iniziale.

Il testo finale, intitolato fin dall’origine Dichiarazione sulla razza, fu poi passato il 7 ottobre agli organi di stampa, ma attraverso versioni piuttosto differenti tra loro: su vari giornali, infatti, apparve con alcune significative differenze. E questa è un’altra novità, tenuto conto soprattutto che tre dei giornali erano di proprietà di gerarchi presenti alla discussione: «Il Popolo d’Italia» dello stesso Mussolini, «Il Regime fascista» di Farinacci, il «Corriere Padano» di Balbo.

I primi due uscirono la mattina del 7, e i testi furono quindi consegnati subito, la notte, al termine della riunione: uno evidentemente dal duce, l’altro da Farinacci. Quanto al giornale di Balbo, che da quando fu fondato usciva la mattina, non pubblicò la Dichiarazione nella prima edizione dello stesso giorno ma in una successiva (non sappiamo esattamente in quale, di sicuro era presente nella quarta). E sono testi rilevanti.

Così come sono rilevanti gli editoriali che uscirono il giorno dopo, l’8, e tutti anonimi: uno su «Il Popolo d’Italia» e gli altri due sul «Corriere Padano»; Farinacci, cauto, non pubblicò invece alcun editoriale sulla Dichiarazione. L’editoriale de «Il Popolo d’Italia» non è mai stato attribuito a Mussolini e non compare negli elenchi noti dei suoi articoli. Ma, in base alle conoscenze ora ottenute, appare pressoché certo che sia suo, ed è un’altra novità perché è un testo importante.

Qui si è voluto ricostruire, in base a diversi documenti, molti dei quali nuovi, e per quanto possibile, il modo in cui avvenne quella discussione: in parecchi casi, il duce accettò semplicemente le modifiche che gli furono proposte; in altri le respinse e si direbbe anche con durezza; in altri ancora, diversi, operò con una mediazione, talvolta sottile.

Di certo, tra il 6 e il 7 ottobre i presenti videro un Mussolini non proprio (o non solo) autoritario, ma che cercò in tutti i modi di ottenere il consenso sul suo documento finale. Per certi versi, si tratta della testimonianza di una discussione politica davvero difficile da riscontrare, allo stesso modo, in tutta la storia del fascismo. Qui emerge un documento del duce che contiene un riflesso attendibile delle discussioni che suscitò e che non furono semplici.

Tutto ciò lascia però anche intuire come Mussolini e l’intero entourage fascista non fossero preparati a fondo a programmare e ad attuare quel «razzismo strutturale» e normativo che conseguiva all’ideazione e alla formulazione del razzismo di Stato, con tutte le conseguenze e applicazioni specifiche.

Si sa ormai molto bene che il duce aveva formulato, in sostanza da decenni, una propria concezione razzista, nella quale confluivano molti elementi: e a più riprese, lungo gli anni, aveva anche espresso il proprio netto antiebraismo. Lo aveva fatto in discorsi, dichiarazioni, articoli di giornale e anche con qualche eliminazione amministrativa.

Eppure non era arrivato a elaborare una legislazione né dei principi, che avrebbero riguardato tutti gli ebrei, italiani e stranieri: compresi i militari ebrei, aspetto quest’ultimo molto delicato, visto che il re era al vertice delle forze armate (e in particolare dell’esercito). La discussione però non riguardò certo solo i militari ebrei, ma anche diversi altri aspetti del nuovo razzismo istituzionale.

Ora è molto più chiaro come nell’ottobre 1938 – per realizzare il suo obiettivo – Mussolini partì con un proprio testo, che però mise a disposizione del più alto consesso del suo partito perché lo valutasse. Se ne può anche dedurre che all’inizio si aspettasse un assenso più o meno totale e che le risposte che ricevette furono una discreta sorpresa.

Si trattò di una discussione piuttosto lunga e articolata. Tuttavia, non è sempre possibile capire quali furono le posizioni e le dichiarazioni dei singoli partecipanti; anche per quanto riguarda le risposte di Mussolini, che in alcuni casi risultano chiare, in altri meno.

Fu un dibattito importante o addirittura fondamentale, perché doveva definire per intero la nuova politica e strategia generale del regime, in un contesto che già prefigurava la guerra, anche se non si capisce quanto Mussolini se ne rendesse conto; ma un particolare, si vedrà, confermerebbe che ne era consapevole.

E fu singolare che Mussolini definisse quella nuova strategia generale non attraverso un discorso politico, come aveva sempre fatto, ma questa volta attraverso una discussione con importanti esponenti istituzionali del partito, e ciò mentre il partito in quanto organizzazione c’entrava poco o veniva addirittura, per certi versi, annichilito. Inoltre, quella discussione diveniva un atto pubblico.

Nello stesso tempo, si trattava di definire i rapporti con quello che a quel punto era l’ormai ben noto razzismo nazista. Da questo punto di vista, Mussolini decise di andare per proprio conto, scegliendo una linea e una strategia molto diverse da quelle tedesche.

Copertina Fabre - Gran Consiglio contro gli ebrei
Da “6 ottobre 1938. Come il Gran Consiglio decise sugli ebrei” di Giorgio Fabre, il Mulino, trecento pagine, 26 euro

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