Due cuochi, due stili di cucina, si incontrano, creano un menu per quell’occasione e per la gioia dei commensali che hanno la sensazione di un 2×1 gastronomico: vai una volta al ristorante e ti porti a casa due esperienze di cucina differenti.
Fin qui sembra facile, di fatto non lo è.
Quasi sempre uno dei due cuochi è indigeno e ospita nel proprio ristorante ma più ancora nella propria cucina uno chef di un’altra città quando non di un’altra nazione.
L’ospitato cucina fuori sede, deve integrarsi in una brigata magari innestandola con qualche suo collaboratore, un vero stress test per entrambi. Senza contare i rispettivi ego da tenere a bada, solo i veri professionisti ci riescono.
Il confronto è scambio tra diversi ma in fondo segretamente è anche la volontà di trovare qualcosa di sé nell’altro, riconoscersi guardandosi da fuori, in una parola sola specchiarsi.
Cucine diverse trovano inaspettati punti di contatto: sinergie che portano a nuovi abbinamenti di sapore che le avvicinano oppure ancora nell’alternanza delle portate emerge tutta la ricca diversità tra due stili differenti.
Quelle a quattro mani sono serate che, quando concepite al di là della semplice “ospitata 2+2”, hanno una connotazione di sperimentazione in grado di creare qualcosa di nuovo e unico.
Non a caso Alessandra Straccamore e Matteo Mazza, ideatori di Motelombroso, hanno chiamato Mirror una serie di incontri a quattro mani tra il nuovo chef della struttura, Nicola Bonora di Oristano, e una serie di ospiti che lo affiancheranno ai fornelli.
Nicola è già da sei mesi alla guida della cucina di questa ex casa cantoniera, oggi luogo di design che si staglia con le sue luci colorate sull’atmosfera del Naviglio Pavese, in quello che, nella contemporanea toponomastica per distretti, ormai tutti chiamano NaPa. Un’oasi di Cibo, vino e otium creativo alla quale Nicola sta dando nuova linfa.
E che si tratti di un gioco di specchi lo si capisce fin dalla mise en place della serata con un tavolo social da 27 coperti completamente a specchio.
Dalla forma alla sostanza, sono i due cuochi, Nicola Bonora da una parte e Jorg Giubbani dall’altra (una stella Michelin nel suo Orto presso Villa Edera La Torretta a Moneglia) che si specchiano con i rispettivi stili di cucina.
Due ragazzi degli anni ’90 con il mare nello sguardo e il mondo come orizzonte.
Liguria e Sardegna che si guardano da vicino, ignorando i trecento kilometri che le separano; un confronto sulla piazza di Milano, zona neutra e fertile di energie dove da sempre tutti vengono accolti e alcuni riescono a creare vere novità.
Da una parte Jorg che mette a frutto l’attenzione al prodotto di una lingua di terra che spazia dal mare alla montagna. Lo fa con piatti dove le referenze sono il lessico di una cucina pulita e schietta senza rinunciare a eleganza e personalità: capperi di Giustenice, cipolla di Zerli, scampo di Santa Margherita, coniglio di Carmagnola. La Liguria è la dispensa a cielo aperto di Jorg.
Un po’ come la varietà della cucina sarda, dove piatti di terra la fanno da padrone senza poter prescindere dal fatto che ci si trova su un’isola in mezzo al Mediterraneo. Qui già quattordicenne Nicola accettò un posto come lavapiatti, pur di farsi dare da uno chef la ricetta di una pasta ripiena, e da lì scocca la scintilla della passione per i fornelli. Terra e mare che lo chef fa mirabilmente incontrare con calamari e brodo di pecora o con un intenso risotto mantecato con caglio di capretto e limone di mare.
Lo spirito creativo di una serata a quattro mani in questa ambientazione porta ad andare oltre cibo e servizio: il centro tavola diventa una macchia mediterranea aromatica a tema con la serata, curato da In Aéras che, oltre a creare prodotti per corpo e pelle a base di erbe sarde, ne propone un assaggio tra una portata e l’altra. Una goccia di siero sulle mani, sentori che richiamano le erbe usate nei piatti e nel centrotavola, esperienza immersiva assicurata.
Ma una cena a quattro mani può essere anche uno scambio oltre che un confronto, un vero brainstorming gastronomico. Un omaggio reciproco tra due chef dove il piatto di uno rimanda alla cucina dell’altro. Metti una sera a cena all’Armani Hotel di Milanol, lo chef resident Francesco Mascheroni, la cui generosa ospitalità non è nuova ad appuntamenti del genere, anche con scambi tra chef dei diversi Armani hotel nel mondo, apre alla grande il 2023 con il primo di una serie di appuntamenti a quattro mani. Per una sera Mascheroni fa spazio nella propria cucina a una star internazionale della ristorazione: Alex Atala, due stelle Michelin al Dom di San Paolo fin dalla prima edizione della Michelin Brasile del 2015. Colui che l’Amazzonia ce l’ha nel Dna e quindi nella testa, nel cuore e l’ha portata anche nei piatti attraverso gli ingredienti locali brasiliani.
Sulla copertina del Time, assieme a Chang e Redzepi, veniva definito God of food, qui a Milano torna con piacere, ancora di più se da Armani e ospite di Mascheroni che definisce un cuoco signorile, in un italiano perfetto.
Si dividono i quattro amuse bouche nello start della cena, due a testa. Mascheroni rivela salda tecnica con una michetta perfetta, Atala sfodera istrionismo col potere di un’idea: un piccolo peperone che racchiude ricci e sorbetto al peperoncino dolce, fare centro con maestria. «Il lusso, d’ora in poi, saranno gli ingredienti» ha recentemente affermato in un’intervista lo chef brasiliano, capirlo in un boccone è un attimo.
Proseguono con reciproci scambi: il riso al salto di Atala omaggia Milano, ma vi aggiunge frutti di mare e un sapiente utilizzo di coriandolo e bottarga. Mascheroni da parte sua omaggia Atala e il Brasile con un dessert con la banana arrosto e bruciata, ananas, cocco, zuppetta di tapioca e croccante alla noce brasiliana.
Ma è con la portata principale che le quattro mani creano una vera sinergia: costolette di agnello, polpette di spalla speziate e una sofficissima polenta. Un’idea condivisa e creata assieme dai due chef, al tavolo la condivisione continua tra commensali: cocotte al centro e ognuno si serve. Chi l’ha detto che il fine dining non può essere felice condivisione? E l’occasione di una quattro mani, anche in un contesto di lusso e con grandi chef, può comunque far crollare alcuni rituali da ristorazione gourmet e dare spazio a uno stile più rilassato ma non per questo meno elegante.
Gli chef al tavolo raccontano e servono assieme anche, come nel caso della versione di Atala dell’aligot con un formaggio brasiliano a pasta cruda, servito filante e avvolto su cucchiai da Atala e tartufo generosamente grattugiato da Mascheroni. Non è paese da grande tradizione casearia il Brasile ma negli ultimi venti anni ha fatto passi da gigante, racconta Atala, anche grazie ai suoi innesti di piatti europei a base di formaggio nella ristorazione brasiliana.
Una quattro mani può anche avere un sapore nostalgico, come quando un cuoco con decenni di risultati imprenditoriali alle spalle ospita un altro cuoco che non ha più un ristorante ma non per questo ha appeso al chiodo la toque da chef. È il caso di una memorabile quattro mani di qualche anno fa da Claudio Sadler, ospite Ezio Santin e subito si sente l’eco di quel mitico luogo lungo il Naviglio sul quale brillavano tre stelle Michelin, la Cassinetta. Due pilastri della ristorazione che in occasione di una quattro mani snocciolano ricordi di viaggi e di cucina, complice anche l’associazione Le Soste di cui fanno parte. Ritrovarsi ai fornelli per ricordare la conquista giapponese da parte dei cuochi e dei prodotti made in Italy, e per chi ascolta un’occasione più che unica, una pietra miliare. E poi quando ti ricapita di provare l’aragostella con pesche e un’opulenta salsa alla vaniglia di Santin? Solo qui e ora. Benedette quattro mani!