Mentre le peggiori menti di questo paese si mobilitano per respingere Zelensky sul fronte di Sanremo, bivaccano in quelle cloache chiamate talk show e si accapigliano per intercettare e poi sputtanare il numero più alto possibile di cittadini italiani, negli Stati Uniti – un altro paese martoriato da un dibattito pubblico da curva sud – è successa una cosa raccapricciante ma forse anche in grado di spiegare come e perché siamo giunti a questo punto di decadenza civile e morale del discorso pubblico occidentale.
Dunque, le autorità federali di New York e di Washington hanno arrestato all’aeroporto JFK di New York un signore di cinquantaquattro anni che si chiama Charles McGonigal, e a Washington un ex diplomatico russo, con la doppia accusa di aver ricevuto denaro da un potente oligarca russo, Oleg Deripaska, magnate dell’alluminio e sodale di Vladimir Putin, e di aver riciclato altro denaro ricevuto da un ex agente segreto albanese.
L’aspetto rilevante della notizia non è l’ipotesi di reato in sé, ma che il signor Charles McGonigal è stato il capo delle attività di controspionaggio dell’Fbi, prima a Washington e poi, dal 2016 fino al 2018, nella divisione più importante che ha sede a New York.
In questo posto strategico, che in quegli anni gli addetti ai lavori chiamavano “Trumpland”, Charles McGonigal ha coordinato le inchieste sugli oligarchi russi, compreso Deripaska, e ha guidato le attività di controspionaggio sulla Russia, senza accorgersi, nel 2016, delle palesi ingerenze degli agenti del Cremlino sul processo democratico che ha visto Trump contrapposto a Hillary Clinton, ingerenze invece accertate dalla stessa Fbi soltanto dopo le elezioni e a risultato acquisito.
Charles McGonigal è stato messo a dirigere il controspionaggio Fbi dall’allora direttore del Bureau James Comey nell’ottobre del 2016, tre settimane prima la famigerata lettera di Comey sulle email di Hillary Clinton che ha cambiato il corso delle elezioni presidenziali americane e di molto altro.
Nei giorni precedenti la lettera di Comey, l’ex sindaco Rudy Giuliani – il cui ex studio legale oggi difende McGonigal – aveva fatto riferimento in televisione a dirigenti dell’FBI di New York che da lì a poco avrebbero fatto esplodere una “October surprise” contro Hillary, cosa effettivamente accaduta, mentre il 31 ottobre 2016, otto giorni prima delle elezioni presidenziali e 27 giorni dopo la nomina di McGonigal a capo del controspionaggio, il New York Times ha pubblicato un articolo basato su fonti interne Fbi intitolato «L’Fbi non ha trovato nessun legame evidente tra Trump e la Russia».
Episodi decisivi per l’esito delle elezioni che adesso con l’arresto di McGonigal rendono più urgente risalire a chi dentro l’Fbi si è mostrato così solerte nell’inguaiare Hillary e nel sollevare Trump da ogni responsabilità.
Coincidenze oppure no, va aggiunto che l’oligarca Deripaska per il quale, secondo l’accusa, ha lavorato McGonigal è lo stesso oligarca che per conto di Putin ha manovrato fino al 2014 la politica pro Mosca dell’Ucraina, attraverso la figura dell’ex presidente-fantoccio Viktor Yanukovych, poi cacciato dalle rivolte democratiche e filo-europee di Maidan.
Gli intrecci russo-ucraini-trumpiani non finiscono qui: lo stratega elettorale di Yanukovych, sempre alle dipendenze dell’oligarca Deripaska, era Paul Manafort, diventato nel 2016 il capo della campagna elettorale di Trump e poi processato e condannato al carcere per le sue attività filo russe, e infine graziato da Trump pochi giorni prima di lasciare la Casa Bianca.
Scopriremo se anche in questo caso si tratta di altre coincidenze o di ulteriori elementi a conferma di una precisa strategia russa di manipolazione dei processi democratici in Occidente, addirittura con la presenza di agenti del caos nel cuore delle istituzioni investigative americane, come nella serie televisiva The Americans.
Il processo a McGonigal servirà a capire se l’ex capo dell’intelligence Fbi – messo dai trumpiani a capo del controspionaggio russo proprio quando l’Fbi ha cominciato a gettare fango su Hillary Clinton e a ignorare i legami evidenti tra la Russia e il team Trump – abbia davvero intrallazzato con un uomo del Cremlino sotto sanzioni e con ex agenti ed ex diplomatici russi. E magari servirà anche a capire se tutto ciò è un caso isolato oppure se è collegato con l’ingerenza russa sulle elezioni americane.
La decisione del nuovo presidente trumpiano della Camera, Kevin McCarthy, presa poco dopo la notizia dell’arresto di McGonigal, di escludere dalla Commissione parlamentare sull’intelligence Adam Schiff, il deputato più esperto di operazioni manipolatorie russe e al centro del procedimento di impeachment contro Trump, certo non aiuterà a capire come sono andate le cose. O forse sì.