Un giorno prima che la Russia invadesse l’Ucraina, quasi un anno fa, i contratti del gas naturale al Title Transfer Facility (Ttf), l’hub di riferimento per l’Europa, si scambiavano a un prezzo di circa 88 euro al megawattora: un valore comunque ben al di sopra della media – la crisi energetica c’era già, causata da un mercato squilibrato e da un’offerta ristretta -, ma niente rispetto a quelli che si sarebbero toccati nei mesi successivi. Il picco c’è stato ad agosto, quando si sono superati i 340 euro per effetto del calo delle forniture russe e per i timori di un azzeramento completo dei flussi, che avrebbero lasciato il continente senza combustibile nella stagione fredda.
Il freddo, però, finora non s’è visto. L’autunno è stato perlopiù mite e il 2023 è iniziato con temperature medie insolitamente alte, da record, soprattutto nell’Europa nord-orientale. Non c’è troppo da essere contenti, perché l’ondata di calore è legata ai cambiamenti climatici e il 2022 – secondo un’analisi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) – per l’Italia è stato l’anno più caldo dal 1800.
Le temperature elevate hanno però avuto un effetto benefico per l’Europa: hanno fatto crollare i prezzi del gas a livelli che non si vedevano da prima della guerra. I contratti front-month sul Ttf si scambiano oggi sui 64 euro al megawattora, il minimo dal novembre 2021.
Le ragioni principali sono due: la minore richiesta di energia per il riscaldamento e la convinzione dei mercati che l’Europa supererà l’inverno senza avere problemi di carenza di gas. Al 1° gennaio gli stoccaggi sul territorio comunitario risultavano riempiti all’83,5 per cento. Si tratta di un dato molto positivo che, pur non bastando a scongiurare del tutto lo spettro del razionamento, lo allontana al 2023. L’Unione europea, poi, ha lavorato per sostituire almeno parte delle forniture russe con quelle norvegesi o algerine e con i carichi di Gnl statunitense e qatariota.
C’è infine una terza ragione dietro al calo dei prezzi del gas, meno vistosa ma comunque influente: il contributo delle fonti rinnovabili. La ventosità elevata (specie in Germania) e il ritorno delle piogge (come in Spagna) hanno permesso agli impianti eolici e idroelettrici di generare più elettricità, che ha permesso di “coprire” alcuni consumi energetici, andando a ridurre la necessità di bruciare gas.
Mercoledì 4 gennaio i parchi eolici in Germania hanno prodotto una quantità di elettricità mai vista prima: 50.232 megawatt. Le centrali a gas possono così risparmiare combustibile, gli stoccaggi non vengono toccati, la nazione e l’intera Unione ne traggono beneficio, e il clima pure. Le previsioni meteo tedesche, tuttavia, mostrano valori di ventosità nella media per il resto di gennaio. Nel complesso, le fonti rinnovabili sono arrivate a rappresentare il 46 per cento del mix elettrico della Germania.
In Spagna nella penultima settimana di dicembre il prezzo dell’elettricità aveva raggiunto i 52,51 euro al megawattora, i minimi dal maggio 2021, contro i circa 200 euro di Francia e Germania e i 240 dell’Italia nello stesso periodo. “Merito”, in questo caso, della scarsa interconnessione della rete energetica iberica con il resto del continente, che la isola da alcune conseguenze della crisi europea e le permette di dare risposte non replicabili da altre singole Nazioni (il famoso tope al gas, per esempio).
Il merito, però, è stato soprattutto delle piogge che hanno riempito i bacini idroelettrici e del vento che ha fatto girare i generatori eolici. In quei giorni l’energia eolica ha rappresentato il 38 per cento della generazione elettrica spagnola, e l’idroelettrico il 26 per cento; il gas naturale è stato ridotto a meno dell’1 per cento.
In Italia, ricorda l’associazione Elettricità Futura, quasi il 60 per cento dell’energia elettrica viene prodotta da fonti fossili, in particolare dal gas naturale. Nel 2022, però, sono entrati in funzione nuovi impianti di energia rinnovabile per quattro-cinque gigawatt di capacità. Si tratta di un bel salto rispetto ai valori del 2021, ossia 1,4 GW, ma – come spiega il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa – sono «sufficienti a sostituire solo lo 0,6-0,9 per cento del gas che consumiamo». A questo ritmo, prosegue l’analista, «per rimpiazzare il gas russo con rinnovabili occorrerà mezzo secolo».