La risposta a NordioIl procuratore antimafia Melillo dice che le intercettazioni sono fondamentali anche per gli altri reati

C’è «la necessità di rigoroso governo di strumenti e tecniche di indagini che coinvolgono diritti fondamentali. Dunque, tocca al legislatore tracciarne i confini», spiega. Tuttavia «una parte non secondaria delle conoscenze che costruiamo quotidianamente nascono da indagini su più rilevanti fenomeni di corruzione e di frode fiscale. Anzi, va sottolineato che è più difficile penetrare la segretezza degli accordi corruttivi che penetrare i contenuti di una riunione di mafiosi»

(La Presse)

La cattura del boss di mafia Matteo Messina Denaro «dimostra ancora una volta la forza di un metodo di lavoro che del rigore, del coordinamento, della prudenza e della determinazione fa le sue leve fondamentali. E ci ricorda che la direzione delle indagini affidata al pm è un valore fondamentale». Lo dice a Repubblica Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, spiegando che «quanto accaduto dovrebbe far riflettere sulle solidità di certe opzioni, secondo cui il magistrato della pubblica accusa dovrebbe essere una sorta di avvocato delle forze di polizia: credo che invece anche queste ultime riconoscano una funzione di controllo e garanzia già durante le indagini preliminari, e di orientamento delle tecniche e degli obiettivi investigativi. A Palermo, c’è stata un’indagine lunga e difficile, con un’accelerazione importante: dovuta in particolare al ricorso sapiente allo strumento delle intercettazioni».

Al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che aveva annunciato la «profonda revisione» delle intercettazioni, risponde: «Si tratta di un campo delicato e complesso che interroga tutti i sistemi nazionali. Innanzitutto perché nell’era digitale nelle indagini e nei processi confluiscono masse informative incomparabilmente più grandi e delicate rispetto al passato. Ciò obiettivamente pone la necessità di rigoroso governo di strumenti e tecniche di indagini che coinvolgono diritti fondamentali. Dunque, tocca al legislatore tracciarne i confini. Da procuratore nazionale ho tuttavia la responsabilità di sottolineare che oggi le mafie parlano innanzitutto il linguaggio della corruzione e delle frodi fiscali, che è linguaggio praticato largamente dal mercato e nel mercato, fungendo da saldatura di interessi eterogenei».

Quindi, sottrarre alla corruzione lo strumento delle intercettazioni «sarebbe un danno serio», prosegue. «Perché una parte non secondaria delle conoscenze che costruiamo quotidianamente nascono da indagini su più rilevanti fenomeni di corruzione e di frode fiscale. Anzi, va sottolineato che è più difficile penetrare la segretezza degli accordi corruttivi che penetrare i contenuti di una riunione di mafiosi. Ce lo dice l’esperienza investigativa: capita di frequente che incontri illeciti tra pubblici ufficiali e imprenditori siano circondati da cautele e tecniche elusive da far invidia alla segretezza dei movimenti mafiosi».

Per Melillo, inoltre, vanno difese anche le captazioni più invasive, col trojan, per esempio: «Sul versante della corruzione, credo sia necessario anche quello strumento. Che va ancorato a parametri rigorosi. Ma ripeto: appartiene alla responsabilità politica definire queste scelte, così come valutare il tempo di queste scelte».

Certo dopo l’arresto di Messina Denaro, non si può dichiarare né sconfitta Cosa Nostra né chiusa l’azione di contrasto, spiega il procuratore nazionale antimafia. Ma per andare avanti c’è bisogno di «sostenere gli uffici che sono impegnati su questo fronte, assicurando il coordinamento delle piattaforme informative e delle iniziative, in un sistema il cui punto di forza è proprio la condivisione».

Melillo commenta anche le illazioni su presunte trattative, su una consegna di Messina Denaro: «Occorrerebbe riflettere sugli effetti perversi di certe ricostruzioni fantasiose». Anzi, aggiunge, «c’è in questo Paese un rischio di contaminazione irrecuperabile con l’irrealtà. Allora: se non si arrestava, c’è una trattativa per consentirgli la latitanza sine die. Lo arrestano: e allora c’è una trattativa che gli ha consentito questa consegna. Ecco: ai magistrati spetta di restare coi piedi per terra e procedere con rigore a distinguere tutto ciò che è razionalmente, controllabile da ciò che non lo è».

E non bastano gli applausi in strada dopo l’arresto per riconnettere il sentimento degli italiani con la giustizia: «Non servono gli applausi per questo. Ma la ricostruzione di quel clima di fiducia che spetta a tutti contribuire a ripristinare e a difendere».

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