Silenzio papaleA differenza di Ratzinger, Bergoglio non ha mai denunciato la follia del terrorismo islamico

Benedetto XVI ha indicato con lucida intelligenza il cammino per depotenziare il jihadismo insito nel dettato coranico, mentre Papa Francesco cerca una irenistica convivenza che evita accuratamente di cogliere l’aggressività in tanta parte dottrinale dell’Islam

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Incredibilmente nel 2015 Papa Francesco ha giustificato l’attentato terrorista islamico a Charlie Hebdo che aveva mietuto 12 morti e 11 feriti. Papa Benedetto XVI con la prolusione di Ratisbona ha denunciato il dramma dell’Islam contemporaneo: la sua pratica del jihad violento e il divorzio tra fede e ragione che lo caratterizza.

Stranamente, in morte del papa emerito pochi hanno rimarcato questa enorme dissonanza tra i due pontificati.

Giorni dopo l’attentato a Charlie Hebdo, nonostante fosse ben noto il pesante bilancio di morte, così Papa Bergoglio ha risposto a un giornalista di La Croix che gli aveva chiesto la sua posizione sulle conseguenze tragiche della pubblicazione delle vignette su Maometto: «Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente. Avere questa libertà, ma senza offendere. È vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasparri che è un amico dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere in giro la fede».

Altrettanto sconcertante, come hanno rilevato molti, è il prolungato silenzio degli ultimi tre mesi di Papa Francesco di fronte alle crudeli e inumane condanne a morte di giovani manifestanti in Iran e alla uccisione nelle piazze di almeno cinquecento di loro.

Di nuovo sconcertante il suo giudizio del 2019 sulla persecuzione in atto dei cristiani: «La persecuzione dei cristiani è sempre la stessa: le persone che non vogliono il cristianesimo si sentono minacciate e così portano alla morte i cristiani».

Ancora un travisamento totale e radicale della realtà. I musulmani uccidono i cristiani – 16 al giorno, ogni giorno! –  non perché si sentono minacciati da questa esigua minoranza pacifica che non ha alcun mezzo per far loro del male, ma in applicazione rigida della sharia. La sharia wahabita giudica infatti i cristiani idolatri, apostati, blasfemi, i più gravi peccati per l’Islam. Da qui le uccisioni.

Di fatto, tutto l’attuale pontificato si distingue per un atteggiamento di accettazione passiva della violenza che proviene dal mondo islamico perché accetta la falsa e non reale versione che vuole che questa violenza islamica sia reattiva alla violenza dell’Occidente, non insita nel dettato coranico e nella sharia.
Di conseguenza Papa Francesco si impegna nella ricerca di una irenistica convivenza che evita accuratamente di cogliere la aggressività insita in tanta parte dottrinale dell’Islam.

Opposta la posizione di Papa Ratzinger, che non si è limitato a denunciare il jihadismo insito nel dettato coranico, ma ha indicato con lucida intelligenza il cammino per depotenziarlo.

Il suo appello di Ratisbona a esaltare la convivenza tra fede e ragione ha indicato lo stesso, identico, nodo teologico individuato dai poco ascoltati e perseguitati riformatori islamici. Riformatori che non a caso sono tra i pochissimi nel mondo musulmano a rifarsi al razionalismo aristotelico di Averroè, tanto influente nella cristianità quanto rigettato dal mondo musulmano.

Tra questi, esemplare è stato il sudanese Mohammed Taha che appunto ha applicato la ragione per storicizzare il dettato coranico, per esercitare la esegesi, per interpretarlo, ritenendo contingenti, determinate dalla cronaca storica e quindi da superare le Sure che esaltano il Jihad contro gli ebrei, gli apostati, i cristiani e gli infedeli dettate da Maometto nel corso delle sue battaglie alla Medina.

Al contrario, Mohammed Taha ha invitato a fare tesoro delle Sure precedentemente dettate da Maometto alla Mecca – non a caso amichevoli e intrise di ecumenismo nei confronti di cristiani ed ebrei – che contengono i capisaldi della pura fede dell’Islam. Da questa esegesi derivava per Mohammed Taha il rifiuto del Jihad, della posizione subordinata della donna e quindi dell’obbligo del velo e anche una sorta di teologia della liberazione a favore degli oppressi.

Di fatto, come Mohammed Taha, i – pochi – riformatori dell’Islam intendono ripercorrere il cammino  del cristianesimo e dell’ebraismo che da secoli non seguono la lettera formale del Libro, del Verbo, ma la interpretano, la attualizzano, la spogliano dello specifico contesto storico.

Ma Mohammed Taha è stato impiccato a Khartoum nel 1980 come apostata sulla base – questo è fondamentale – di una fatwa di condanna emessa da al Azhar, stranamente considerata da molti in Vaticano come la più alta autorità morale sunnita (in realtà il suo prestigio si limita all’Egitto e al Sudan e i suoi Grandi Imam sono nominati e controllati ieri da Nasser e Mubarak e oggi da al Sisi). 

Dunque, la coesistenza, la compenetrazione tra fede e ragione, è una fase ancora chiusa in un Islam nel quale impera il dogma del Corano Increato, parola eterna e inscalfibile di Dio, precedente e successiva all’umanità, non interpretabile, da non sottoporre assolutamente a esegesi, da applicare alla lettera.

Con questo Islam il gesuita latinoamericano Papa Francesco intende solo convivere in pace, come dimostra il “Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune” firmato assieme al Grande Imam di Al Azhar Ahmad al Tayyeb nel 2019 ad Abu Dhabi.

L’europeo e agostiniano Papa Benedetto XVI, dopo decenni d’inconcludente dialogo inter religioso, ha voluto stimolare l’Islam ad affrontare finalmente la modernità con le armi di una teologia alta e coraggiosa.

Ma l’Islam gli ha risposto offeso e irato. E continua nella sua immobilità di pensiero e nella sua aggressività.

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