La novità politicaLe domande del futuro partito liberal democratico agli elettori di destra e sinistra

I riformisti si ritrovano in un Pd alleato del populismo trasformista di Conte? E i liberali si sentono a proprio agio in una finta coalizione dominata dal populismo nazionalista di Meloni?

(La Presse)

All’annuncio di un nuovo partito italiano ieri è stato dato dai giornali meno dello spazio dedicato al voto online concesso per le primarie del Pd agli anziani disabili, cioè una non notizia. Per forza, su quella norma si erano sbranati i candidati alla segreteria, mentre nell’annuncio di ieri si era tutti d’accordo, e dunque «non c’è titolo», come dicono i capiredattori.

Eppure la novità c’è eccome. Addirittura una novità di sistema. Se la scommessa del Terzo polo riuscirà, l’Italia avrà infatti un nuovo assetto politico fondato su tre forze: la sinistra, il centro, la destra. Se l’idea lanciata sabato a Milano da Carlo Calenda, Matteo Renzi, Sandro Gozi e tanti altri funzionerà, anche la sinistra e la destra infatti saranno costretti a ripensare sé stesse, in un certo senso a rigenerarsi. E potrebbe persino darsi che il nostro cominci a somigliare ai grandi sistemi politici europei.

Insomma, l’operazione che porterà alla Renew Italia – o come si chiamerà – vuole essere molto di più della mera unificazione, pur importante e semmai tardiva, di vari soggetti politici e culturali, a partire da Azione e Italia viva: un atto politicamente creativo determinante per la ripresa del riformismo italiano sconfitto il 25 settembre dalla destra populista e nazionalista, una ripresa certo elettorale ma soprattutto politica in senso pieno, in grado cioè, come ha detto Renzi, di «riportare i riformisti al governo» alle prossime elezioni politiche (che non è detto siano nel 2027). Esattamente il contrario della vulgata giornalistica sul Terzo Polo come “stampella” della destra.

La sfida di quello che attualmente si definisce Terzo Polo va persino oltre l’ambizione delle «due cifre», l’obiettivo delle Europee dell’anno prossimo – spartiacque storico per impedire che l’Europa venga egemonizzata dalle destre e dunque venga strangolata nella culla – essendo una sfida più generale lanciata alla sinistra e alla destra e ai rispettivi elettori liberali, democratici e riformisti, una sfida che si può riassumere in due domande: l’elettore riformista si ritrova in un Pd alleato se non addirittura subalterno al post-populismo trasformista di Giuseppe Conte? E l’elettore liberale si sente a suo agio in una finta coalizione dominata dal populismo nazionalista e di destra di Giorgia Meloni? Sta qui il carattere sfidante della proposta di Calenda e Renzi, e sta qui la premessa dell’obiettivo di costruire una forza centrale del sistema politico.

Molti non credono alla fattibilità di questo disegno. Va detta la verità. Pesano i fallimenti del passato e la tradizionale postura minoritaria dei liberali, centristi, riformisti e quant’altro oltre alla innata litigiosità delle personalità passate e presenti di quest’area culturalmente slegata dall’idea di una politica di massa, persino refrattaria alla pratica dell’organizzazione. «Non facciamo un circolo di sfigati che fanno training autogeno tra di loro», ha tenuto a sottolineare Calenda mostrandosi attento a gettare semi valoriali in grado di attrarre altri mondi. E in questo senso è ineludibile il nodo del rapporto con la sinistra, nel senso dei suoi valori. Valori con cui l’ultimo Pd ha pasticciato sull’altare di «alleanze strategiche» con i demagoghi dell’uno vale uno e della rendita clientelare.

Renew Italia rappresenta dunque una sfida al Pd che non banalizzeremmo con l’abusata formula dell’«Opa» come si trattasse di marketing e non di politica. Soprattutto è il Pd che non dovrebbe viverla in questo modo, magari alzando le spalle. Ed è una sfida alla destra repubblicana. Renzi ha chiarito che la luna di miele di Meloni potrebbe declinare presto, ma anche se così non fosse – diciamo noi – questo sarebbe un motivo in più per contrastare qui e ora il suo disegno provinciale e privo di visione.

Ecco dunque, come ha ironizzato Luigi Marattin, che obiettivamente si apre uno spazio tra la Cgil che intona l’inno sovietico e il ministro Sangiuliano che arruola Dante Alighieri accanto a La Russa e Lollobrigida. È solo una battuta, ma è per dire che anche il recupero della serietà (di stile draghiano, per capirci) non è un obiettivo di breve momento ma una necessità per la politica che ha bisogno di qualcuno che la sostenga. Però la novità che viene dall’appuntamento milanese non riguarda solo il quadro politico in senso stretto, ma sta invece nel mettere in chiaro la proposta di rompere le incrostazioni decennali, alcune addirittura secolari, del sistema produttivo, amministrativo e sociale che imprigionano il Paese che né le ricette statalista né tantomeno quelle assistenzialiste sono in grado di sciogliere.

È fondamentalmente per questo che il progetto non può che essere innovativo e riformista. E se si consente il termine anche «illuminista», nel senso della centralità della libertà e dei diritti dei cittadini: e per ciò stesso «popolare”» Ora che le tappe della costruzione di un vero partito sono state definite (tra marzo e aprile un manifesto valoriale, subito dopo, al massimo a settembre, un’assemblea costituente aperta a tutti coloro che si rivedono in questi) non resta che lavorare, lavorare, lavorare. Sapendo, come ha scritto Oscar Giannino, che «nessuno si illude che sia una cosa facile». Ma che qualcuno ci voglia provare è una buona notizia.

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