Tutti abbiamo visto le immagini dei militanti di “Ultima Generazione” impegnati a imbrattare con della vernice la facciata del Senato. Il gesto – realizzato con vernice lavabile – è stato definito dagli stessi autori una «azione di protesta non violenta dettata dalla disperazione che deriva dal susseguirsi di statistiche e dati sempre più allarmanti sul collasso eco-climatico, ormai già iniziato, e dal disinteresse del mondo politico di fronte a quello che si prospetta come il più grande genocidio della storia dell’umanità».
Il 3 gennaio l’arresto di tre degli attivisti coinvolti (Davide Nensi, Alessandro Sulis e Laura Paracini) è stato convalidato, sebbene nei loro confronti non sia stata disposta alcuna misura cautelare.
Ma in cosa consiste, esattamente, il reato di danneggiamento aggravato (attualmente contestato) e perché gli attivisti sono stati arrestati?
Il reato di “danneggiamento” è previsto dall’articolo 635 del codice penale, il quale punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chi «distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui» con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione di interruzioni di pubblico servizio. La stessa pena è prevista per chi «distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili», tra le altre cose, anche edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all’esercizio di un culto o immobili compresi nel perimetro dei centri storici.
È prevista, poi, un’ipotesi aggravata di danneggiamento per chi «distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico». In quest’ultima ipotesi – introdotta dal d.l. 14 giugno 2019, n. 53 (il cosiddetto. “decreto sicurezza-bis”) dell’ex Ministro Matteo Salvini – la pena è quella della reclusione da uno a cinque anni (ossia, una cornice edittale tale da consentire l’arresto).
Diverso – e molto meno grave – è, invece, il reato di “deturpamento e imbrattamento di cose altrui” (previsto dall’articolo 639 del codice penale), il quale, fuori dei casi previsti dal danneggiamento, punisce con la multa fino a 103 euro chi «deturpa o imbratta cose mobili altrui». Anche in questo caso è prevista un’ipotesi aggravata nel caso in cui la condotta sia realizzata «su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati» (con la reclusione da uno a sei mesi o la multa da 300 a 1.000 euro).
Vi sarebbe poi l’ipotesi di cui all’articolo 518-duodecies del codice penale (in vigore dal 23 marzo 2022), il quale prevede – qualora il bene oggetto dell’azione dimostrativa sia un bene “culturale” o “paesaggistico” – la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da euro 1.500 a euro 10.000 per chi li deturpa o imbratta.
Per il nostro codice penale, dunque, una cosa è danneggiare (ossia «distruggere, disperdere, deteriorare o rendere, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui») e una cosa è imbrattare. Sebbene la differenza tra le due ipotesi sia abbastanza intuitiva, vediamo come i nostri Tribunali hanno fatto applicazione di queste norme in casi – simili a quello che vede coinvolti gli attivisti di Ultima Generazione – di imbrattamenti a fini dimostrativi.
Ebbene, la differenza tra le due ipotesi ruota essenzialmente intorno alle conseguenze del gesto sull’integrità del bersaglio:
– nel caso del danneggiamento, il gesto deve produrre una modifica della cosa che ne diminuisca in modo apprezzabile il valore o comunque ne impedisca (anche parzialmente) l’uso, dando così luogo alla necessità di un intervento ripristinatorio dell’essenza e della funzionalità della cosa stessa;
– nel caso del deturpamento, il gesto deve produrre esclusivamente una alterazione temporanea e superficiale della cosa, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, sia comunque facilmente reintegrabile.
Ne deriva – ha chiarito la Cassazione in più di un’occasione – che la condotta consistente nell’imbrattare cose di interesse storico e artistico deve essere inquadrata nell’ipotesi di deturpamento (articolo 639 del codice penale) e non in quella di danneggiamento, «essendo in questi casi possibile ripristinare, senza particolari difficoltà, l’aspetto e il valore originario del bene».
Casi limite si possono verificare nelle (diverse) ipotesi in cui, a causa della particolare natura del bene, il semplice imbrattamento possa essere idoneo, non solo a deturpare, ma anche a incidere sulla funzionalità della cosa stessa. In questo caso – si pensi all’imbrattamento con una vernice spray di una targa marmorea toponomastica di proprietà del Comune – si è in presenza di un’alterazione tale da impedire, anche parzialmente, l’uso della cosa, con conseguente sussistenza del reato di danneggiamento.
Al di fuori da queste ipotesi, però, qualora si sia in presenza di condotte consistenti nell’imbrattamento di muri di abitazioni o palazzi con scritte in vernice che non siano tali da compromettere l’integrità o la funzionalità del bene – perché un semplice intervento superficiale può essere idoneo a ripristinarlo nel suo aspetto e nel suo valore – la giurisprudenza è chiara nell’inquadrare la condotta nel (meno grave) reato di deturpamento o imbrattamento.
Sia chiaro: nessuna giustificazione per la condotta degli attivisti, rimanendo ferma, in ogni caso, la rilevanza penale della loro condotta (dagli stessi attivisti preventivata e accettata). Quello che, però, potrebbe apparire un tecnicismo giuridico, in realtà non lo è, essendo significative le differenze – sia in termini di pena, sia in termini di facoltatività dell’arresto – tra le due ipotesi di reato.
Il processo nei confronti degli attivisti di Ultima Generazione – nel quale il Senato ha già accennato che intende costituirsi parte civile – è stato fissato per il 12 maggio 2023 con l’accusa di danneggiamento aggravato. Per ora.