La prima chiamata di sostegno, nel giorno di un anno fa che ha cambiato la sua e le nostre vite, Volodymyr Zelensky l’ha ricevuta da Joe Biden. L’ultimo presidente americano a visitare Kyjiv era stato George W. Bush nel 2008, nel 2017 Biden ci era andato, da vice di Barack Obama, nei giorni finali del mandato, prima di un’amministrazione filorussa nei ricatti come quella di Donald Trump. «L’America è tornata», è uno slogan pronunciato spesso da Biden, politico sottovaluto, in campagna elettorale come al G7: stavolta non è servito ripeterlo, è chiara a tutti la portata storica e simbolica di quel viaggio, sotto le guglie dorate della cattedrale di San Michele fatte luccicare dal sole.
C’è l’assistenza finanziaria e militare, con un altro mezzo miliardo di dollari, nuovi missili anticarro. L’aver discusso sulle armi a lungo raggio, per ora senza impegni. Ma il segnale più forte per il mondo libero passa dalla fisicità delle immagini, dal cordoglio – e poi l’abbraccio – di fronte al muro che commemora i soldati uccisi dai russi, a partire dal 2014, antefatto della guerra di oggi. Nello «Slava Ukraini» vergato sul libro delle visite. Nella logistica di una missione diversa dai blitz in Iraq o Afghanistan del passato, perché al cuore di un Paese dove gli Stati Uniti non hanno presenza militare, tranne pochi marines di guarnigione all’ambasciata. Nella differenza tra un «as long as it takes» scandito a Kyjiv e non dentro una briefing room.
Una scelta che stride con i bunker di Vladimir Putin, il verticismo impenetrabile, un capo che non s’è fatto vedere nemmeno nelle province annesse farsescamente. L’Occidente invece cammina per le vie della capitale ucraina. La trasferta, preparata da mesi, è rimasta segreta fino all’ultimo per ovvie ragioni di sicurezza, ma la Russia era stata avvisata. Per la stessa ragione, Biden si è mosso via terra dopo essere atterrato alla base di Ramstein, in Germania. Ha preso il treno dal confine polacco, ci sono volute dieci ore.
La chiusura al traffico delle vie, l’allerta aerea, i virgolettati in codice degli ucraini in mattinata hanno fatto presentire la sua comparsa. È avvenuta indossando gli occhiali da sole d’ordinanza e una cravatta a righe giallo-azzurre del Paese cui rende omaggio. Con lui uno staff ristretto; pochi giornalisti, durante il viaggio viene confiscato il telefono. A un anno dalla brutale aggressione russa, ribadisce il presidente, l’incontro riafferma «il nostro incrollabile impegno per la democrazia, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. Quando Putin ha lanciato la sua invasione, ha pensato che l’Ucraina fosse debole e l’Occidente diviso. Ha pensato di poterci sopravvivere. Ma era in torto marcio». Il sostegno della coalizione internazionale continuerà.
Il 2023 può essere l’anno della vittoria, hanno detto lui e Zelensky. Se la Cina parteggiasse per il Cremlino, avvisa il secondo, sarebbe «guerra mondiale». Per il presidente ucraino la visita di Biden è «la più importante di tutta la storia delle relazioni» diplomatiche tra i due Paesi e i risultati del colloquio «avranno certamente un riflesso sul campo di battaglia». Vengono sbloccati altri missili anticarro Javelin, pezzi d’artiglieria Howitzers; non (ancora) i caccia, mentre i carri armati M1 Abrams erano già stati promessi a fine gennaio. Pochi giorni fa, la vicepresidente Kamala Harris ha detto alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco che gli Stati Uniti stanno già raccogliendo le prove dei crimini russi.
Di nuovo, il valore della visita a sorpresa sta nel suo essere un promemoria. L’assistenza non è in discussione, nonostante la litigiosità della politica americana. Il discorso di oggi al castello di Varsavia di Biden completerà quello del 26 marzo 2022, proprio in quel luogo, il ritorno in Europa del presidente dall’inizio del conflitto. «Siamo di nuovo trascinati nella grande battaglia per la libertà – aveva detto allora –: tra democrazia e autocrazia, tra libertà e repressione, tra un ordine basato sulle regole e uno sulla forza bruta. In questa battaglia dobbiamo vederci chiaro: non sarà vinta tra giorni o mesi, dobbiamo preparare noi stessi per la lunga lotta all’orizzonte».
In mattinata, in Polonia Biden incontrerà il presidente Andrzej Duda, uno dei capi di Stato di un’Europa che ha spostato il suo asse verso Est. Verso chi ammoniva, inascoltato, della minaccia russa. Nelle stesse ore, sono attese le parole di Putin. Il principale canale televisivo, Russia-1, ha messo in onda un conto alla rovescia per l’intervento del dittatore che forse verrà modificato e indurito. Al Cremlino useranno le scene di amicizia a Kyjiv per sostenere la distorsione propagandistica in cui lo scontro non è solo contro l’Ucraina, ma – in ordine sparso – contro Stati Uniti, Nato e Unione europea.
Proprio come nell’intervista a Zelensky dei giornali italiani, quelli americani ieri hanno citato le percentuali dei sondaggi domestici, con l’«intiepidirsi» dell’opinione pubblica sui sacrifici per aiutare il Paese invaso. Rileggere la replica a Repubblica: «In ogni società c’è un’enorme percentuale a cui semplicemente non importa. Voglio mandare un messaggio diretto: anche voi, se foste nelle nostre condizioni, fareste le stesse cose che facciamo noi. È difficile comprendere quel disinteresse quando qualcuno entra in casa tua e uccide davanti ai tuoi occhi. Se qualcuno ti entra in casa e cerca di ucciderti, non puoi rimanere neutrale».
Vedere il leader del mondo libero passeggiare a Kyjiv è servito anche, se non soprattutto, a questo: a colmare con un gesto il vuoto della retorica, che spesso confondiamo con le notizie. A cristallizzare quanto di vetero-antiamericanismo ci sia nelle critiche “pacifiste” alla causa ucraina. Più dei messaggi sui social in lingua ucraina, più del post di coppia su Instagram con Zelensky, delle ore in una capitale che gli è rimasta – parole sue – «nel cuore» forse il presidente americano ricorderà le sirene degli allarmi aerei, le cicatrici dei bombardamenti e la ricostruzione già in corso. Dovremmo farlo anche noi, per non alienarci nelle percentuali di discutibili rilevazioni demoscopiche. Per non rimanere neutrali.