In questi tempi caotici, i turisti vanno alla ricerca di zone tranquille, luoghi lontani sotto cieli sconfinati, foreste incontaminate. Più il posto è selvaggio meglio è, anche se un po’ di comodità non fa mai male. In tutto il mondo, queste richieste si stanno traducendo nella creazione di esperienze da trascorrere al buio: in Gran Bretagna, nei Paesi dell’Europa meridionale, nei parchi nazionali degli Stati Uniti, nel Nord della Scandinavia e sui pendii delle Ande affacciati sul Pacifico. L’astroturismo, cioè il turismo legato all’osservazione delle stelle e del cielo notturno, è sulla cresta dell’onda.
Un esempio è rappresentato dal Kachi Lodge, in Bolivia. A 3660 metri di altezza, e a un’ora di volo da La Paz, i turisti hanno la possibilità di ammirare gli antichi spettacoli offerti dal cielo. Gli alloggi hanno l’aspetto di semisfere futuristiche, simili a come potremmo immaginare una colonia su Marte, e si trovano nel bel mezzo dell’Uyuni, il più grande deserto di sale del pianeta. Nelle cupole bianche in stile base spaziale gli ospiti dormono a stretto contatto con il cosmo, come in nessun altro luogo della Terra, con una visuale perfetta sul firmamento. Il resort include anche un ristorante stellato che propone piatti locali in versione gourmet, mentre tutto intorno il paesaggio spoglio punteggiato dai cactus offre la stessa esperienza nella natura che un tempo ispirò i racconti del popolo inca.
Nel 1492, quando Cristoforo Colombo salpò verso ovest spianando la strada all’invasione europea dell’America Latina, il monte più alto della Spagna, che sorge sull’isola di Tenerife, alle Canarie, sparò una salva di saluto. «Il Teide ha eruttato», annotò Colombo nel suo diario, dedicando solo quelle parole al terzo vulcano più grande del pianeta. Oggi il Teide è silente da oltre un secolo e l’area vulcanica, trasformata in parco nazionale, è stata proclamata patrimonio mondiale dell’umanità. Prendere la funivia che porta in cima al vulcano è un po’ come viaggiare nello spazio. Qui la Via Lattea brilla con un’intensità che la maggior parte della popolazione mondiale non conoscerà mai, tanto che fin dagli anni ’60 sono stati aperti degli osservatori astronomici. Con l’espandersi della luce emessa dalle sfilze di alberghi sulle spiagge delle Canarie, sempre più persone guardano alle tenebre del Teide per ritrovare l’autenticità della notte. L’astroturismo è diventato un settore che muove miliardi di dollari.
In Nord Europa è lo spettacolo della notte invernale ad attirare i turisti: l’aurora boreale e i fasci scintillanti delle stelle. Le persone si spingono fino in Islanda, nel Nord della Norvegia o nell’hotel di ghiaccio di Jukkasjärvi, nel Nord della Svezia, per ammirare i fuochi d’artificio del cielo e vivere esperienze lontano dalla massa. Tra le montagne della Lapponia si trova il Parco nazionale di Abisko, uno dei più antichi d’Europa. Anche qui si registra un flusso crescente di turisti in cerca delle tenebre e dell’aurora boreale. Di notte i visitatori vengono guidati nel parco usando solo una debole luce rossa, per non disturbare la visione notturna. Poi si sale al buio con la seggiovia e si raggiunge l’Aurora Sky Station, dove la notte polare sembra non finire mai.
Ma in certi posti si sta tentando di escludere la luce artificiale anche da esperienze più quotidiane. A Helsingborg, nel Sud della Svezia, per preservare la splendida vista sul mare anche di sera, i lampioni lungo la passeggiata sono stati modificati in modo da evitare la dispersione della luce verso ovest. Nella cittadina di Lomma, leggermente più a sud, il piano urbanistico dichiara esplicitamente che i luoghi bui vanno tutelati.
Sull’isola danese di Møn – a sudest della Selandia, la maggiore isola del Paese – le visite notturne sono diventate sempre più popolari. La principale attrazione è costituita dalle sue spettacolari scogliere bianche, alte fino a centoquaranta metri: spiccano da lontano mentre sembrano tuffarsi nello stretto dell’Öresund, che con le sue acque smeraldine crea un forte contrasto nel punto di incontro con le montagne. Scogliere bianche a parte, però, Møn è nota anche perché è particolarmente buia. In una notte limpida, dalla cima delle scogliere si possono contare cinquemila stelle, un numero che colloca l’isola decisamente in alto sulla scala di Bortle, il metro di valutazione della bellezza astronomica. Nelle stesse condizioni a Copenaghen, ad appena un’ora e mezzo di macchina, si vedono cento stelle. Così, tutta la sezione orientale di Møn e anche alcune parti di Nyord, l’isoletta vicina, sono state trasformate in una riserva: il primo dark park della Scandinavia, un’area naturale che dal 2017 è interamente dedicata alla notte incontaminata. Come se non bastasse, il comune di Vordingborg, di cui fanno parte le due isole, ha ricevuto il titolo di Dark Sky Community. Significa che si impegna a tutelare la notte e che dispone di un piano rigoroso per stabilire come, dove e quando accendere le luci. Vengono autorizzate solo quelle assolutamente essenziali.
Dopo il trattato di Roskilde, successivo alla leggendaria marcia del re Carlo X Gustavo sugli stretti danesi che aveva costretto il nemico storico a capitolare nel 1658, l’isola di Møn sarebbe potuta diventare territorio svedese. Gli svedesi avevano molte pretese, ma nel corso dei negoziati i danesi ottennero di mantenere le isole di Læsø, Anholt e Møn. Si dice che i delegati danesi ci fossero riusciti appoggiando i boccali di birra sulla mappa per nascondere le isole. Forse è stata una fortuna per gli attuali appassionati delle tenebre, perché l’Ente danese per la tutela dell’ambiente è leggermente più progredito del suo omologo svedese nella gestione di luce e buio.
Un Paese ancora più avanzato è la Francia, dove nel 2019 è stata approvata una legge sulla quantità di luce che può essere emessa nell’atmosfera. Nel 2021 la legge è entrata in vigore, regolando molteplici aspetti: intensità e colore della luce, orari consentiti, mezzi per schermare i lampioni eccetera. L’implementazione pratica e gli effetti sono ancora da vedere, ma i Paesi che adottano iniziative simili sono sempre più numerosi. A Vienna hanno cominciato a spegnere le luci alle undici di sera, mentre a Groningen, nei Paesi Bassi, le luci usate dalle aziende agricole e dalle fabbriche sono regolate per legge. Da questo punto di vista sembra che l’Europa occidentale abbia aperto gli occhi, mentre il resto del mondo è ancora ai blocchi di partenza sul fronte dell’inquinamento luminoso.
Il titolo di Dark Sky Community inserisce Møn e Nyord in una rete internazionale. È l’International Dark-Sky Association (IDA) a conferire il titolo tutti gli anni a dark park, riserve speciali e comuni accuratamente selezionati. Anche solo per candidarsi, bisogna avere cieli notturni eccezionali. Inoltre è indispensabile che l’area sia sufficientemente accessibile e possa essere visitata non solo da ricercatori e astronomi amatoriali, ma anche dai turisti. Almeno nelle intenzioni, un dark park dovrebbe essere un centro culturale sulla falsariga delle cattedrali medievali e delle meraviglie dell’antichità. Purtroppo, ormai i luoghi che soddisfano i criteri dell’IDA sono ben pochi. Oggi in tutto il pianeta esistono circa quaranta dark park e una ventina di dark communities. In Europa se ne contano solo cinque, il che fa dell’isola di Møn un luogo davvero unico.
Il parco al buio di Møn, con le sue stelle e le vivide esperienze notturne, richiama turisti da tutto il mondo e organizza anche visite guidate. Se il cielo è coperto, l’esperienza sta nelle tenebre stesse, nel fitto nulla dal quale piano piano emergono le ombre mentre gli occhi si abituano all’oscurità. La guida spiega come sentirsi sicuri al buio, come attivare le parti dell’apparato sensoriale che non usiamo mai e come adattare l’organismo alla tregua visiva per ricavarne effetti positivi. In caso di cielo limpido, l’attenzione si sposta sulle stelle. La Via Lattea con le sue perle lucenti percorre il firmamento in tutta la sua ampiezza, e ad attendere i visitatori invernali ci sono i crepitanti fuochi d’artificio formati dalla luce fin dall’inizio del tempo.
I dark park ci danno speranza. Malgrado tutto, e in un mondo dominato dalla luce e dalla tecnologia, è incoraggiante sapere che alcune parti del cielo notturno possono essere preservate, se solo si ha la volontà di farlo. In Gran Bretagna diversi parchi dedicati all’oscurità organizzano feste in primavera, inverno e nel periodo di Halloween, attirando visitatori di ogni tipo provenienti da tutto il Paese.
La prima città a ricevere il titolo di Dark Sky Community è stata Flagstaff, in Arizona, nel 2001. Già all’epoca la città era da tempo all’avanguardia in questo ambito: addirittura nel 1958 aveva introdotto la prima normativa al mondo sull’inquinamento luminoso, vietando l’uso di fari per produrre raggi di luce a scopo pubblicitario. I principali promotori erano stati gli astronomi, ma da allora la città stessa coltiva l’ambizione di preservare il cielo notturno in un ambiente urbano. Così ha creato un modello per ridurre l’illuminazione sulla base di tre criteri, simili a quelli stabiliti dalla legge francese citata sopra. In primo luogo, tutti i lampioni devono puntare verso il basso ed essere adeguatamente schermati in alto, in modo che non filtri alcuna luce al di sopra del piano orizzontale. In secondo luogo, viene posto un limite al numero di luci che possono essere presenti in una data area. In terzo luogo, le lampade devono emettere luce calda, ovvero un bagliore giallo e rosso, evitando la luce fredda bianco-bluastra che ci danneggia di più. Flagstaff vuole diventare il modello da seguire. Senza altri luoghi disposti a imitare Flagstaff, la Francia, Møn e Nyord, c’è il rischio che nel giro di una generazione la notte non esista più.