Fronte orientaleLa (difficile) corsa agli armamenti di Giappone e Corea del Sud

L’escalation nucleare nordcoreana spinge Seul a rafforzare le proprie difese, ma non sarà facile abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare. Anche Tokyo vorrebbe aumentare la propria capacità militare in funzione anti cinese

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Il 2022 è stato un anno da record per la Corea del Nord, il regime ha testato più di 90 vettori, compresi missili balistici. Pyongyang si starebbe preparando a un nuovo test nucleare, il settimo nella storia del Paese e il primo dal 2017, quando l’ex presidente statunitense Trump promise «fuoco e furia» in risposta alle provocazioni di Kim Jong un. Più di recente, il dittatore ha minacciato l’impiego preventivo di armi nucleari contro la Corea del Sud e si è impegnato ad accrescere in maniera esponenziale l’arsenale nucleare. 

In un recente rapporto, l’Istituto per le analisi della difesa della Corea del Sud ha sostenuto che il regime potrebbe disporre di 300 testate nei prossimi anni. Solo l’anno scorso, lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) stimò che Kim avesse 20 armi nucleari assemblate e abbastanza materiale fissile per arrivare a 55.

L’esigenza di proteggersi da un vicino sempre più aggressivo sta spingendo il governo di Seoul a ripensare la propria politica di deterrenza, riaccendendo tra l’opinione pubblica il vecchio dibattito sulle armi nucleari. È stato il presidente conservatore Yoon Suk yeol a gennaio a paventare l’ipotesi di dotare il Paese di un arsenale atomico proprio o, in alternativa, di chiedere a Washington di tornare a dispiegare armi nucleari tattiche in territorio sudcoreano. 

Sebbene la popolazione si senta fortemente minacciata dal Nord, la proposta di Yoon è apparsa subito difficile da realizzare. In primo luogo, Seoul dovrebbe abbandonare il Trattato di non proliferazione nucleare. L’uscita dal trattato danneggerebbe le relazioni diplomatiche e potrebbe arrecare seri danni a un’economia molto dipendente dalle esportazioni. Il Paese rischierebbe di andare in contro a sanzioni capaci di limitare l’accesso all’uso dell’energia atomica per scopi civili. 

Gli Stati Uniti stazionarono armi nucleari tattiche in Corea del Sud dagli anni 50 fino alla fine della Guerra Fredda. Attualmente, però, mancherebbero le strutture per lo stoccaggio e difficilmente a Washington sarebbero pronti a condividere con altri il controllo di una parte del proprio arsenale atomico. Tuttavia, il rischio maggiore del dispiegamento di armi nucleari in Corea del Sud sarebbe un’inevitabile corsa agli armamenti in tutta la regione.

La questione del riarmo tocca da vicino anche il Giappone. L’escalation nucleare nordcoreana, l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina, il rafforzamento militare di Pechino e l’assertività cinese stanno determinando cambiamenti senza precedenti nell’approccio sia del Giappone che della Corea del Sud alla propria difesa.

A dicembre 2022, Tokyo ha svelato i propri piani per rafforzare le capacità di difesa, un cambiamento fino a poco tempo fa impensabile per un Paese considerato pacifista. Il 23 gennaio il primo ministro giapponese Kishida ha detto che il Giappone sta vivendo un momento critico per la sicurezza nazionale. Kishida si è impegnato a raddoppiare le spese militari, passando dall’1 al 2 per cento del Prodotto interno lordo e portandole a 332 miliardi di dollari entro i prossimi cinque anni per contenere le minacce di Cina e Corea del Nord. Tale aumento renderebbe il Giappone il terzo maggiore investitore in ambito militare dopo Stati Uniti e Cina.

Ad agosto, a seguito della visita di Nancy Pelosi a Taipei, Pechino ha lanciato missili balistici nelle acque intorno a Taiwan. Cinque sono atterrati nella zona economica esclusiva giapponese e non era mai accaduto prima. Anche le esercitazioni militari congiunte condotte da Cina e Russia nella regione hanno allertato i funzionari nipponici. Inoltre, i giapponesi hanno notato un aumentato delle forze navali e aeree di Pechino nelle aree intorno all’arcipelago. 

Cina e Giappone non hanno ancora risolto le controversie territoriali riguardo le isole del Mar Cinese Orientale. Pechino rivendica la sovranità sulle Senkaku, note come Diaoyu in Cina, una catena di isole disabitate e sotto amministrazione giapponese. Alla fine di dicembre, il governo nipponico ha dichiarato che le navi cinesi nel corso del 2022 sono state avvistate nella zona contigua intorno alle isole per 334 giorni, mai così tanti dal 2012.

L’intenzione di Tokyo è rafforzare la cooperazione con la Nato nei settori della sicurezza marittima, controllo degli armamenti e cyberspazio. La nuova strategia giapponese prevede l’acquisizione di armamenti in grado di scoraggiare un possibile attacco cinese attraverso nuove capacità autonome di deterrenza. 

Il Giappone si assumerà la responsabilità primaria di difendersi contro una Cina sempre più potente. Consapevoli di dover svolgere un ruolo più attivo e responsabile all’interno dell’alleanza con gli Usa, i giapponesi sembrano voler rispondere alle critiche abbastanza diffuse all’interno del Congresso, soprattutto da parte repubblicana, di continuare ad approfittare delle garanzie di sicurezza fornite dagli Stati Uniti.

L’alleanza con Washington, pilastro nella politica di Tokyo per l’Indo-Pacifico, si sta dunque trasformando come conseguenza della crescente determinazione ad agire da solo da parte del Giappone. Per quanto riguarda le capacità di attacco a lungo raggio, al momento, Tokyo è completamente dipendente da Washington. 

Nel caso il Giappone acquisisse tali capacità, l’alleanza dovrebbe aggiornare il processo di coordinamento, in modo tale da permettere una maggiore interazione e offrire al governo giapponese più libertà di movimento. Se, per esempio, Tokyo fosse in grado di contrastare le zone A2/AD (Anti-Access/Area Denial) cinesi nella regione, ovvero aree dove viene impedito al nemico l’accesso attraverso l’installazione di sistemi antiaerei e antimissile oltre che di sistemi missilistici d’attacco, le operazioni militari statunitensi in Asia Orientale dovrebbero tenere in maggior considerazione le decisioni strategiche del governo giapponese. 

Il coordinamento, tuttavia, non sarebbe semplice da istituire perché attualmente tra i due Paesi non esiste un comando militare unificato come quello della NATO o come quello che gli Stati Uniti hanno con la Corea del Sud. Tokyo inoltre ha in programma di ordinare missili da crociera Tomahawk dagli Stati Uniti entro marzo del prossimo anno. La versione acquistata può volare per più di mille chilometri se lanciata da una nave e avrebbe quindi una portata sufficiente per colpire obiettivi nel territorio cinese.

In Giappone, le discussioni sull’acquisizione di un deterrente nucleare non sono ancora diventate mainstream. Tuttavia, nel marzo 2022, l’ex primo ministro Abe aveva suggerito di prendere in considerazione un accordo di condivisione nucleare come quello che la Nato condivide con Washington. Il primo ministro Kishida ha respinto il suggerimento, ma il mese scorso, in un incontro tra i ministri degli Esteri e della Difesa del Giappone e le loro controparti americane, per la prima volta, si è discusso della possibilità di estendere la deterrenza a questo livello. Kishida e il presidente sudcoreano Yoon sono stati, inoltre, i primi leader dei loro Paesi a partecipare a un vertice della Nato lo scorso anno in qualità di osservatori. Washington, dal canto suo, ha appezzato le intenzioni giapponesi confermando il proprio appoggio alle politiche espansive di Tokyo in materia di sicurezza.

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