Educazione cremlinianaI gemelli diversi del putinismo e la cecenizzazione della Russia

I metodi brutali di repressione del leader ceceno Ramzan Kadyrov e del capo di Wagner Evgeni Prigozhin si stanno diffondendo in tutta la Federazione russa. Riuscire a tradurre la forza delle armi in potere politico vuol dire guadagnarsi influenza istituzionale nel regime

L’invasione dell’Ucraina sta offrendo una serie di opportunità alle componenti più spregiudicate del regime russo. Il conflitto ha infatti aperto un vaso di Pandora di lotte fra gerarchi e regolamenti di conti fra branche delle forze armate, clan politici e servizi. Di questo spettacolo grottesco, il ceceno Ramzan Kadyrov è il principe. Il pugno di ferro con cui governa la Cecenia ha dei tratti totalitari e non ha mai disdegnato un aperto spargimento di sangue, sia contro clan rivali, sia contro indesiderabili di altro genere (in primo luogo omosessuali). 

D’altra parte, la biografia di Kadyrov è segnata dalla brutalità e dal conflitto perpetuo: figlio del principale alleato russo ai tempi delle insurrezioni separatiste in Cecenia, Ramzan ha cementato il potere del suo clan eliminando i suoi avversari a Grozny e sfruttando a proprio vantaggio il sostegno del Federál’naja služba bezopásnosti (Fsb) e del Cremlino. Kadyrov si è poi fatto le ossa imponendo un controllo rigidissimo sulla repubblica a maggioranza musulmana in nome di una politica antiterrorismo a tratti disumani. Nel quadro di “operazioni militari speciali” ante litteram, le milizie da lui controllate hanno imposto un clima di terrore nel tentativo di eliminare cellule salafiste collaterali alla lotta separatista. 

Ciò che era la normalità in Cecenia si è parzialmente allargato al resto della Federazione Russa, la cui sfera pubblica ha subito una sorta di brutalizzazione. La logica della politica come guerra perpetua si è lentamente ampliata. Atti di violenza inauditi come l’uso di martelli da lavoro per uccidere i disertori sono in corso di normalizzazione, e tutto ciò è congeniale all’uomo forte ceceno. 

Kadyrov ha intuito di avere un vantaggio competitivo rispetto ad altri potentati russi, comprendendo di poter esportare il modello già applicato in Cecenia (e, in parte, in Siria) anche in Ucraina. Già nei primissimi giorni della guerra, il presidente ceceno si è presentato in Ucraina con il suo esercito personale, posando da signore della guerra al servizio della patria.  a sua capacità non solo di mobilitare soldati e risorse per Putin, ma di impiegarli brutalmente e senza scrupoli, gli ha dato un peso non indifferente anche di fronte al ministero della Difesa e delle forze armate, che in teoria dovrebbero essere favoriti dalla mobilitazione e dalla guerra. 

Kadyrov e Prigozhin, gemelli diversi
Nel sistema russo, riuscire a tradurre la forza delle armi in potere politico vuol dire guadagnarsi influenza istituzionale, alleati e autonomia economica. Assieme al capo dei mercenari Wagner Evgeni Prigozhin, Kadyrov ha sfruttato i disastri militari dell’autunno per attaccare la gestione governativa della guerra, cercando di ritagliarsi un ruolo di peso dentro al regime. L’accoppiata Kadyrov/Prigozhin ha il suo perché. Entrambi condividono una posizione peculiare nella gerarchia sciovinistica russa: provengono da gruppi di serie B disprezzati dalle istituzioni e dai servizi di sicurezza (Prigozhin è un ex carcerato, Kadyrov non è di etnia slava ed è per di più musulmano); entrambi sono vicini a Putin, non come suggeritori di palazzo o tecnocrati ma come esecutori specializzati nel lavoro sporco.  Per questi underdog, prevalere su altre “cordate” che sostengono il regime (come l’esercito o i servizi segreti) richiede screditare le autorità costituzionali e dimostrare di poter soddisfare i bisogni del regime meglio dei burocrati federali. 

La guerra ha fornito questa opportunità. Dopo la caduta di Kharkiv, l’asse Prigozhin-Kadyrov ha fatto destituire l’allora comandante del distretto militare centrale Aleksandr Lapin tramite attacchi frontali a mezzo stampa. Ancora il 15 gennaio, Kadyrov e Prigozhin si sono lanciati contro la Difesa denunciando il divieto per i soldati di avere una barba come “lontano dalle esigenze della truppa”. Ciò equivale a mettere in discussione l’autorità degli ufficiali dell’esercito regolare, e la questione assume anche contorni religiosi nel caso di Kadyrov, che utilizza spesso argomentazioni islamiche (errate) per legittimare la propria politica. 

Questa competizione fra miliziani ceceni, mercenari e forze armate ha creato non pochi problemi alla forza di invasione; la frammentazione delle forze russe è infatti un incubo logistico e gestionale. In più, le tensioni politiche e gli interessi contrastanti si traducono spesso anche in una violenza controproducente per i fini politici dello stato russo. Ci sono stati numerosi casi di conflitti a fuoco fra kadyrovisti e reclute etnicamente russe, mentre nella regione di Luhans’k il comandante di un’unità Wagner è stato ritrovato con una pallottola nella nuca. Il Guardian riporta anche che l’Fsb è estremamente preoccupato dal tentativo di Prigozhin di minare la credibilità dello Stato (o meglio, della “gang” dei militari e dei servizi) e di accrescere il proprio status di gerarca. 

Kadyrov domato?
Ma è ormai da qualche settimana che Kadyrov sembra aver abbassato i toni nel conflitto con le forze armate. Le autorità militari sembrano aver convinto Putin che era necessario riaffermare l’autorità indiscussa delle forze armate sull’operazione speciale: Lapin è rientrato dalla finestra come vicecapo di stato maggiore dell’esercito, mentre Valery Gerasimov è stato posto al comando di tutte le unità russe presenti in Ucraina. Kadyrov sembra aver intuito il cambiamento e ha abbandonato la linea apertamente polemica nei confronti delle istituzioni. Un esempio: Kadyrov non sembra presentare i propri uomini come alternativi alle forze regolari russe. Basta leggere i post su Telegram pubblicati da Kadyrov sulla presunta conquista di posizioni strategiche vicino a Bakhmut: il presidente ceceno non ha infatti negato che la vittoria il battaglione della milizia Akhmat sia avvenuta assieme a unità dell’esercito regolare. Questo indica una differenza abissale con Prigozhin, che si trova in una perenne guerra a suon di comunicati stampa con il ministero della Difesa sul contributo a suo dire misconosciuto dei mercenari Wagner allo sforzo bellico. 

Forse Kadyrov ha preso coscienza dei rischi che corre mettendo troppo in discussione le autorità federali.  Quando il presidente polacco Morawiecki ha parlato dell’oppressione del popolo ceceno e di altre repubbliche etniche, Kadyrov si è lanciato in una durissima critica della Polonia che deve aver allarmato non pochi a Mosca: “Dov’erano loro quando l’Ichkeria [il nome della repubblica separatista cecena negli anni ’90] combatteva per la libertà?”. A suggerire cautela a Kadyrov c’è anche una situazione complessa a casa, in Cecenia. A metà del decennio scorso, le tensioni fra la comunità Sufi e i Salafisti si è esacerbata ulteriormente dalla comparsa dello Stato Islamico. La recente fuga dell’ordine Sufi Batal-Haji dall’Inguscezia in Cecenia, dove le autorità li percepiscono come un utile alleato contro il salafismo, potrebbe complicare ulteriormente le tensioni fra Cecenia e Inguscezia – due repubbliche parte della Federazione Russa ma con un burrascoso passato di scontri politici e militari. In questo contesto, è saggio evitare di attirarsi troppa ostilità da parte delle autorità federali che potrebbero un giorno dover mediare un nuovo conflitto. 

Tutti questi elementi hanno portato il dittatore ceceno a scalare una marcia nella sua guerra personale con il ministero della Difesa, accodandosi alle direttive moscovite per quel che riguarda lo sforzo bellico. Questo è uno sviluppo positivo per le autorità russe, che potranno verosimilmente meglio organizzare il fronte senza temere continui attacchi politici (e a volte militari) almeno da parte delle truppe cecene. E una migliore coordinazione e tenuta politica renderà la prossima offensiva russa che gli ucraini prevedono ormai imminente, molto più pericolosa rispetto ai combattimenti degli scorsi mesi. 

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