Sono abbastanza vecchia da ricordare un tempo in cui credevo a quello che vedevo sui giornali; sono abbastanza vecchia da ricordare un tempo in cui il midcult era territorio delle professoresse democratiche; sono abbastanza vecchia da ricordare un tempo in cui in casa mia era possibile ritrovare un libro.
Poiché sono abbastanza vecchia da vivere nell’entropia, e in casa mia è ormai impossibile ritrovare Dwight MacDonald, per il midcult dovete fidarvi di me; io d’altra parte mi fiderò d’un giornale, cosa che non facevo da anni.
In una strepitosa pagina sul Corriere di ieri, si raccontava che a Campobello di Mazara, nella casa nella quale era stato Matteo Messina Denaro finché non l’hanno scortesemente arrestato, c’erano oggetti molto ma molto più interessanti del Viagra, con cui le cronache ci hanno annoiato subito dopo l’arresto. E quegli oggetti, chi l’avrebbe mai detto, erano libri.
C’era anche un articolo ma io, come un’analfabeta contemporanea, ho guardato quasi solo le figure. Quindici copertine, tre file da cinque di libri che raccontano un mondo, e che il Corriere mi giurava essere stati trovati in casa di Messina Denaro: le sue letture. Li fissavo e mi vedevo una scena qualche sera prima dell’arresto.
Immaginate la professoressa democratica sui social, quella che ci tiene a precisare che lei, se dopo il primo appuntamento va a casa di lui con intenzioni scoperecce, ma poi entra in casa e non vede neanche un libro, beh, in quel caso lei su le mutande e fuggire, ché si sa che essere lettori forti è indispensabile prodromo alla copula. Immaginatela, la professoressa media riflessiva, strisciare su Tinder un tizio qualunque. Siciliano di mezz’età, incredibilmente libero. Cenano, vanno a casa di lui.
Lui, discreto, va in cucina a preparare da bere, metti che lei voglia mettersi in libertà, rinfrescarsi, il bagno è in fondo al corridoio, ci sono gli asciugamani puliti. Lei si attarda davanti agli scaffali, perché domani deve poter scrivere su Facebook che lei al primo appuntamento non si concede mai, ma con lui come faceva a non sciogliersi: aveva i diari di Alda Merini.
Il momento in cui tra le copertine messe in bell’ordine dal Corriere vedo i diari di Alda Merini è forse persino migliore del momento in cui vedo George Orwell, di cui negli ultimi anni si sono un po’ troppo appropriati i liberali e insomma secondo me la prof di lettere che si è fatta dare il part time così in mezzo alla settimana può andare a vedere una mostra a Napoli, beh, lei per Orwell non si scalda poi tanto. La Merini, invece, è al di sopra d’ogni sospetto.
Certo, c’è Céline, ma è un uomo così sensibile, l’ha capito di fronte al crudo di pesce, di certo lo leggerà con spirito critico, e poi è bilanciato da “Se questo è un uomo”: sapeva di aver strisciato giusto, sapeva che l’appuntamento di stasera era quello che finalmente non l’avrebbe delusa, possono parlare di Primo Levi prima dei preliminari.
Ma guarda che sleppa – no, la professoressa democratica non dice sleppa: che fiorire, ecco – guarda che fiorire di grandi autori, Dostoevskij, Vargas Llosa, certo qui siamo un po’ al masscult (che la prof democratica non chiama masscult ma trash), con questo Fabrizio Corona, questa Ljuba Rizzoli, è evidente che ha una cognata che gli regala libri dozzinali e lui non li butta perché è un uomo generoso: è un sentimentale, Matt. Ti spiace se ti chiamo Matt, gli ha chiesto mentre ordinavano la panna cotta, lui stava cercando di usare uno stuzzicadenti di nascosto e lei ha fatto finta di non vederlo.
Solleva lo sguardo, mentre lo sente armeggiare col cavatappi di là, e ad altezza d’occhi, lì per colpirla (ma la sventurata non sa, non s’avvede del preciso disegno criminoso di quella disposizione di titoli sugli scaffali), c’è il midcult. Altro che Corona. Altro che “Le notti bianche”. Su uno scaffale che non può non vedere ci sono Rossella Postorino e André Agassi. “Le assaggiatrici”, lo ha anche assegnato ai suoi studenti, chiedendo loro riflessioni sul corpo delle donne, sul cibo, sulla Shoah. Quelli le hanno portato compiti in cui spiegavano il grave problema d’essere intolleranti ai latticini e che i bar di Campobello di Mazara non hanno mai il latte di mandorla per il cappuccino.
E Agassi, uh, Agassi: la nostra medioriflessiva è una di quelle – sono milioni, solo sul mio Facebook ne saranno comparse almeno cento – che si sono affrettate a scrivere sui social che a loro della biografia del principe Harry non importava proprio niente, ma l’avrebbero comprata solo perché l’aveva scritta un premio Pulitzer. “Open” è il libro da autogrill meglio mascherato da opera d’arte che sia mai stato pubblicato, e la donna nel corridoio di Matteo Messina Denaro, quando lui ancora non ha finito di versare il vino, si è già tolta le mutande. Durante la copula, probabilmente, lui scambierà per mugolii di piacere il di lei invocare Moehringer, reuccio del midcult nonché afrodisiaco perfettissimo per vegliarde rimorchiate da latitanti medi riflessivi.