Mutui e prestiti non sono direttamente legati ai tassi d’interesse della Banca centrale europea, ma inevitabilmente, come in un effetto a cascata, vengono coinvolte anche le banche dei singoli paesi che concedono i loro prestiti ai cittadini. Perciò un rialzo dei tassi in molti casi significa anche un aumento della rata del mutuo, anche se dipende dal tipo di contratto. Non tutte le famiglie vedranno crescere la propria rata con un rialzo della Banca centrale, va detto, infatti, che le persone che pagano un mutuo a tasso fisso – in Italia sono 3 milioni, ovvero più dei due terzi dei mutuatari – non risentono di alcun cambiamento rispetto alle decisioni prese dalla Bce, perché il prezzo del mutuo è concordato su un parametro trentennale. Un fenomeno interessante che si è registrato però negli ultimi anni, è il sostanziale aumento delle richieste di mutuo variabile, per via dell’inflazione rimasta sotto controllo fino al 2021, adesso però il rialzo dei prezzi è fuori controllo. Il picco inflazionistico di 11,8 per cento toccato già a fine anno scorso è un record che per essere eguagliato bisognerebbe guardare agli anni 80, quando neanche avevamo la moneta unica.
La situazione attuale ci dice che a parità di spread applicato dalle banche, il mutuo a tasso variabile ha le carte in regola per costare in più del fisso, il sorpasso è storico. L’ultima volta in cui è successo è stato proprio durante la crisi finanziaria del 2008. Questo perché qualche settimana fa l’Euribor (2,57 per cento) – classico parametro di misurazione dei tassi variabili – è più in alto rispetto all’Eurirs (2,37 per cento) – indice dei tassi fissi. Questo andamento è del tutto anomalo rispetto alla norma, in cui ovviamente, un mutuo a tasso fisso costa di più di quello a tasso variabile, perché col fisso, di fatto, si sta pagando un’assicurazione contro il rischio di decisi aumenti dei tassi, proprio come sta avvenendo oggi.
Ma di quanto aumenta la rata del mutuo variabile? In media, rispetto a un anno fa si parla di un rincaro di circa 230 al mese, secondo un calcolo fatto da Facile.it. La tendenza di aumento ovviamente seguirà le scelte della Bce, che per marzo ha già previsto un ulteriore aumento dei tassi. Sembra chiaro, perciò, che gli anni di tassi super convenienti sul fronte mutui rappresentano ormai un lontano ricordo.
Per le banche centrali l’inflazione auspicabile si aggira intorno al 2 per cento, oggi però nell’area Euro siamo arrivati a un +9,2 percento rispetto all’anno scorso. Facile comprendere che la situazione è complessa. Ma secondo gli esperti, l’inflazione scenderà al 6,3 per cento nel 2023, nel corso dell’anno il tasso dovrebbe registrare una marcata riduzione, per poi collocarsi in media al 3,4 per cento nel 2024 e al 2,3 per cento nel 2025. Se questa discesa è possibile lo si deve obiettivamente anche al rialzo dei tassi decisi dalla Banca Centrale.
La Bce, infatti, ha mantenuto il polso duro alzando i tassi di 50 punti base nel meeting di febbraio, annunciando una pari stretta per il prossimo mese, anche se Lagarde ha fatto sapere che si procederà data driven. Ovvero, la Bce prenderà le sue decisioni di volta in volta seguendo lo sviluppo dell’indice dei prezzi al consumo, che secondo alcuni è in decrescita.
Date queste premesse cosa è preferibile, a oggi, per chi è intenzionato ad aprire un muto? Per chi non ama il rischio o non può permetterti di pagare rate potenzialmente più alte in caso di futuri aumenti dei tassi, il mutuo a tasso fisso è sicuramente più adatto. Considerando anche il fatto che in caso di diminuzione dei tassi, si potrà sempre chiedere alla propria banca di rinegoziare il mutuo a condizioni più vantaggiose o si potrà chiedere una surroga, cioè la possibilità di trasferire il mutuo in un’altra banca (legge Bersani).
C’è invece chi inizia a caldeggiare l’idea di un’opzione sulla carta più aggressiva e spregiudicata, ossia quella di sposare il tasso variabile. Di fatto, scegliendo di affidarsi a quella logica che governa gli ambienti finanziari, che si chiama mean reverting. Si tratta dell’idea secondo cui prima o poi i prezzi (e anche i tassi) fanno ritorno alla media. Quei coraggiosi oggi sarebbero coloro che, mentre tutti scappano e si rifugiano su un tasso fisso al 4 per cento, scelgono di sposare la volatilità degli Euribor anziché bloccare un Eurirs sui massimi degli ultimi 9 anni. D’altronde nel 2008 chi fece una scelta simile fu premiato. In quel caso però arrivò la recessione e infatti i tassi a breve, cioè i tassi variabili, vennero tagliati dalle banche centrali proprio per andare nuovamente a sostenere un’economia in difficoltà.
Chi invece ha un mutuo a tasso variabile, e decide di cambiare, è bene che agisca in fretta. Fino al 31 dicembre 2023, grazie alla legge “salva-mutui” varata nell’ultima finanziaria, i mutuatari con particolari requisiti, possono comunque accedere alla rinegoziazione di Stato e quindi tornare al mutuo a tasso fisso – che oggi viaggerebbe tra 2,23 e 2,67 – anche senza chiedere l’ok alla propria banca. Si può fare se il mutuo è inferiore a 200mila euro, se l’Isee del mutuatario non supera i 35mila euro, e se il mutuatario non è mai stato in ritardo fin qui con i pagamenti.
Sed, in medio stat virtus. Si può anche decidere di partire col tasso fisso e proteggersi nel frattempo dal cigno nero rappresentato da una seconda e più violenta ondata di inflazione in stile anni ’70 e poi, nel caso il quadro migliori effettuare una surroga a tasso variabile. Infine, se i tassi fissi sul mercato fossero già troppo alti esiste anche la possibilità di passare a un tasso misto e quindi fissare le rate a un certo valore massimo limitando i rischi del variabile; lo si può fare con un mutuo a rata protetta o un mutuo con cap.