Guardare al futuroGiovani bollicine crescono

Trovare un punto di equilibrio tra salvaguardia dell'ambiente e qualità di prodotto è la sfida alla quale la giovane generazione di chef de cave francesi cerca di rispondere

Foto di Dan Meyers su Unsplash

Émilien Boutillat ha 35 anni e da ottobre 2018, quando ha ereditato da Régis Camus la guida di Piper-Heidsieck, è diventato il più giovane chef de cave delle grandi maison di champagne. A lui hanno affidato l’incarico di preservare la filosofia della cantina e, nello stesso tempo, di condurla nel futuro prossimo. Oggi, Émilien Boutillat, oltre a essere a capo di Piper-Heidsieck lo è anche di Rare Champagne, spin-off di lusso di Epi, un gruppo che, giusto per comprenderne la portata, ha in portfolio anche Charles Heidsieck e Biondi Santi.
La sua però, non è una storia d’eccezione, lui, semmai è il rappresentante più celebre di una nuova generazione di chef de cave che ha meno di quarant’anni ed è chiamata a rispondere alla sfida di un futuro complicato con gli occhi della gioventù: che in cantina ha valori diversi rispetto a buona parte del mondo.
Per quanto riguarda la sfida non c’è molto da dire, è limpida, precisa e chiede solamente di salvaguardare l’ambiente senza sacrificare il prodotto. Il che si traduce in nessuna rivoluzione, semmai di indirizzare quella perpetua evoluzione che accompagna da sempre lo champagne, perché è bene ricordare, che tra tutti i figli dell’uva, è l’unico in cui il continuo mutamento è tangibile: nasce vino fermo, diventa spumante dolce, poi sempre più secco, fino all’attualità del “dosage zero”. Un percorso che lo ha visto prima inseguire le esigenze del pubblico, poi influenzarle.

Emilien Boutillat by Rolf Bichsel Vinmedia

È per questo che è necessario investire nel futuro; a partire dalla scelta dello chef de cave: ça va sans dire. Non è un caso quindi se Ayala nell’ottobre scorso ha investito il trentatreenne Julian Gout, o ancora, ma guardando ai piccoli produttori, vedere come oggi, a guidare le maison Velut e Guenin sono i giovani rampolli Benoît (35) e Sebastien (31). A loro il compito di disegnare un domani partendo da un presente invidiabile per i produttori, caro per i consumatori. Un successo che poggia le sue basi, come spiega Benoît Velut: «Su un rapporto tra offerta e domanda che ha reso lo champagne di nuovo raro”. Infatti e, «per assurdo», racconta Julian Gout: «È merito di queste perturbazioni climatiche che portano in dote uve mature e senza eccessi, perfette per la creazione di vini espressivi e ricchi, lontani da quelli verdi di qualche decennio fa».

Julian Gout, foto da CS
Julian Gout

Il problema è che i cambiamenti, va da sé, sono transitori. All’uomo il compito di rallentarli e, nel possibile, indirizzarli. Una sfida appena cominciata e che per ora sta solo generando domande. Per Benoît Velut: «Sapere con certezza cosa fare per mantenere l’identità dei nostri vini in un contesto di riscaldamento globale è difficile, dobbiamo forse cambiare le nostre varietà? Accettare un livello di alcol più alto e un’acidità più bassa? In ogni caso, è fondamentale spiegare ai nostri consumatori ciò che facciamo, così da prepararli agli eventuali cambiamenti».
Aspetto che invece non preoccupa più di tanto Sebastien Guenin, proprio perché: «Il nostro lavoro cambia con il progredire della tecnologia, ma anche in relazione ai cambiamenti climatici, i nostri vini oggi non sono più gli stessi di vent’anni fa, in passato abbiamo già dovuto adattarci e innovare, quindi continueremo a farlo». Anche perché, come spiega Julian Gout: «Stiamo sicuramente vivendo l’età d’oro della qualità, ma la mia generazione, anche se appena arrivata, deve già pensare anche alle prossime, per consentire loro di continuare a produrre vini eccezionali».

Un percorso, illustra Émilien Boutillat: «Che deve andare oltre il vigneto e deve guidare le nostre decisioni quotidiane in una logica di sviluppo sostenibile». Il problema, semmai, sarà individuare le scelte giuste. «In realtà è tutto molto complicato», aggiunge Benoît Velut: «A esempio, l’assenza di erbicidi è positiva per la qualità dell’acqua ma comporta un maggiore consumo di carburante per i nostri trattori, e così ci sono molti altri aspetti da considerare, occorre sempre trovare un punto di equilibrio». Nel frattempo però il Comité Champagne ha deciso lo stop agli erbicidi entro il 2025, la volontà di certificare bio tutte le aziende entro il 2030 e arrivare alla neutralità dal punto di vista delle emissioni di carbonio entro il 2050. Obiettivi che i giovani chef de cave di Ayala e Piper-Heidsieck vorrebbero persino anticipare: «Sta a noi produttori andare ancora più velocemente». I mezzi ci sono, e la volontà pure. Soprattutto per Benoît Velut e Sebastien Guenin che, oltre a occuparsi della cantina, sono anche imprenditori, quindi più liberi di scegliere indipendentemente. Al contrario, Émilien Boutillat e Julian Gout, vivono la realtà di maison più grandi, strutturate, «ma che concedono, almeno per me», spiega lo chef de cave di Ayala: «Margini di intervento ampi, infatti sono anche responsabile del vigneto e membro del consiglio di amministrazione».

Benoit Velut, foto da CS
Benoit Velut

Ma dunque che champagne si berrà in futuro? Dirlo oggi è impossibile, predirlo quasi, quel che è certo per Benoît Velut è che: «Dobbiamo mettere in discussione tutto ciò che è un’abitudine, una ricetta, penso alla quantità di zolfo o all’uso di coadiuvanti come le proteine di affinamento, questo però non significa rompere tutto, ma procedere per parametri e valutare i risultati dopo due, tre, quattro o dieci anni! Perché il tempo di uno champagne scorre più lentamente delle tendenze». Ben sapendo che l’ambizione, come ricorda Sebastien Guenin è: «Che lo champagne non passi mai di moda, anzi, che lo sia sempre di più».

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