Fattore CLe primarie del Pd sono (anche) una vittoria politica di Renzi

Il leader di Italia Viva ha ottenuto, dal voto di domenica, l’implosione del partito di Letta e un rafforzamento del Terzo Polo. Apparentemente senza alcuno sforzo

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In politica, si sa, competenza, scaltrezza e maieutica possono non bastare a fare di un candidato un leader. Senza fortuna, chiosano gli osservatori più attempati, è difficile liberarsi da lacci e lacciuoli delle alchimie di bottega. Come nella vita, le sliding door sono ben più che casuali e trovarsi al posto giusto nel momento giusto rappresenta il quarto asse del diagramma del consenso.

Oggi che la leadership del Partito democratico è tutta al femminile (auguri alla neosegretaria) sarebbe ingeneroso aggiungere alle doti che Elly Schlein ha mostrato nella campagna per le primarie anche la fortuna, pur se ne leggeremo delle belle («Se non c’era una donna a destra…», «Un regolamento di conti interno tra notabili…», «Ocasio-Cortez le ha tracciato la strada…»).

Schlein ha vinto contro ogni pronostico e ribaltando la scelta degli iscritti. Il tetto di cristallo è infranto anche a sinistra – perché di sinistra stiamo parlando – e toccheranno urgentemente a lei decisioni strategiche non facili in tema di alleanze e azioni oppositive al governo. Ma questa è un’altra storia rispetto al fattore C di cui parlare: quello di Matteo Renzi.

Che c’entra Renzi col Partito democratico? Parecchio, e vediamo perché. Da quando i destini del senatore semplice di Rignano e del Nazareno si sono divisi, a Matteo è girato praticamente tutto per il verso giusto (e non che prima il fattore C gli fosse stato nemico, ma più come quarto elemento del sopracitato diagramma).

Quando Italia Viva sembrava morente, eccolo farsi trovare per strada – prodigo di consigli certo non disinteressati – da un Carlo Calenda appena uscito dall’aver sbattuto la porta dell’accordo con Enrico Letta e Emma Bonino. Et voilà, la compagine parlamentare è fatta, senza lasciare a casa praticamente nessuno dei fedelissimi, grazie anche al salvagente delle successive regionali.

Le nomine? Ma vuoi lasciar fuori dal tavolo un negoziatore doc come Matteo Renzi? E così, dagli uffici parlamentari al Consiglio superiore della magistratura, dai ruoli istituzionali alle prossime poltrone partecipate, i “renziani” ci saranno eccome, forti del silente peso politico di chi, comunque, al tavolo ha diritto percentuale di sedere. Intanto, siccome tutti gli dicono di andarsene a quel Paese, lui ci va. E neppure gratis.

Ma il fattore C, corroborato da cotanta astuzia, diventa monumentale oggi, con la vittoria della Schlein che sarà costretta – volente o nolente – a uno strabismo politico tutto di sinistra, aprendo una prateria a quel Terzo Polo che si stava un po’ raffreddando per le ubbie tra i due leader, i nervosismi della galassia liberal e la forza attrattiva di un centrodestra vorace.

Se in passato il fattore C veniva accreditato a Romano Prodi (fu Franco Marini ad affibbiargli questa compartecipazione di merito, anno di grazia 1997), adesso il portavoce (e portatore) di questo imprescindibile elemento di successo è un altro. Che ha ottenuto senza colpo ferire l’implosione del Partito democratico di Letta e di molti dei suoi leader. Senza dover sprecare neppure un tweet.

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