La parola “anniversario” gira, pesa, logora da ormai due settimane. Qualcuno accanto a lei aggiunge “il primo”. Ognuno ha il suo motivo per farlo, dico solo che è molto doloroso da sentire quel numero ordinale che sembra che imponga qualche continuazione.
Tutti noi ricordiamo che cosa abbiamo fatto il 24 Febbraio 2022, ma tutti noi ricordiamo bene anche che cosa abbiamo fatto il giorno prima, l’ultimo giorno di quella vita che non ci sarebbe stata mai più. Io sono andata a scegliere nuovi occhiali da vista e le lenti a contatto. La mia vista era peggiorata e l’occhio destro aveva ormai bisogno della lente astigmatica. L’ottico mi ha chiesto perché volevo così male al mio occhio destro e ho pensato alle truppe russe ammassate da settimane al confine con l’Ucraina. Negli ultimi giorni, mentre l’occhio destro mi sabotava, con i miei genitori abbiamo pensato a un piano B: loro avevano tutti i miei documenti scannerizzati, avevano la macchina pronta con il pieno, le taniche con la benzina di scorta, una valigetta con il necessario. Eppure credevo che vivere vicino alla capitale li avrebbe salvati in qualche modo, perché sembrava davvero impossibile l’idea che la Russia tentasse di prendere Kyjiv, una città enorme, una capitale europea, che ti fa perdere mezza giornata solo per arrivare da una parte all’altra.
Il tempo spensierato di quella vita è scaduto alle cinque del mattino del 24 febbraio. Da quell’ora lì abbiamo fatto quello che ognuno di noi si sentiva di fare, senza tornare mai a fare e a essere quelli che eravamo il giorno prima. Non mi ricordo nemmeno come ho ritirato gli occhiali nuovi e le lenti a contatto nuove. So di non averlo visto per un anno il mio ottico perché le lenti me le spedisce per posta e così è stato con tante altre persone. Però mi ricordo benissimo i messaggi disperati: «Mamma, mamma, mamma», quando la linea è caduta, anzi quando la connessione è stata interrotta dai soldati russi entrati nella loro regione. Il nostro piano B era fallito. Mi ricordo benissimo la prima volta in cui i miei genitori si sono fatti vivi. Mi ricordo benissimo le lacrime della mia migliore amica che lasciava la casa di Kyjiv all’inizio di marzo, la casa che aveva appena comprato e appena restaurato. Mi ricordo benissimo le notti senza sonno a scriversi con l’altra amica che stava nascosta nel seminterrato di casa nei pressi della capitale, mentre il fidanzato era in giro per la città per aiutare le forze di difesa locale. Mi ricordo di Tanya e del suo figlio Matvij che ho ospitato a casa mia a marzo. Mi ricordo le bandiere ucraine in piazza a Milano. Mi ricordo di aver imparato a prendere gli ansiolitici e i sonniferi. Mi ricordo di aver ricevuto aiuto e sostegno da chi avevo appena conosciuto e di non aver ricevuto affatto da chi conoscevo da anni. Mi ricordo di essere tornata in Ucraina in estate. Mi ricordo di lavorare tanto e di scrivere tanto. E così da 365 giorni.
No, nessun ucraino si è abituato e si abituerà mai alla guerra a un anno dal suo inizio su vasta scala. No, nessun ucraino sta facendo quello che voleva fare nella vita, né gli sfollati ucraini lontani dalle loro case, case anche distrutte e rase al suolo insieme con la vita bombardata che giace a pezzi per terra. No, nessun ucraino si è abituato e si abituerà a perdere e a seppellire le persone care, le persone che come tutti noi non hanno scelto questa vita. No, nessun ucraino si sentirà mai a casa in un posto, anche accogliente, ma che non ha scelto per viverci. Nessuno di noi ha scelto questa vita, nessuno l’ha mai voluta o cercata, ma ormai è questa.
Sarà per sempre come camminare con una gamba rotta che farà male per il maltempo, che tradirà su qualche salita o una semplice scala fatta di quattro gradini. Un intero popolo con le gambe rotte, braccia mancate, facce lese. Ognuno porta i segni della guerra, quelli visibili e quelli non tanto, quelli nascosti dentro, dietro la facciata di un corpo che porta il peso delle ferite interne, delle memorie che non si potranno mai cancellare né facilmente condividere. I ricordi che sono compressi in un anno, come se una vita vissuta dagli altri e non da quelle persone che eravamo il 23 Febbraio 2022. Un anno marcato con il numero ordinale “primo”, con la speranza che il secondo non dovrà mai arrivare.