In un film vietato ai quattordici che vidi al cinema a tredici anni e mezzo sentendomi assai trasgressiva, c’era un gallerista newyorkese che, al momento di ordinare il pranzo, diceva «Io non sto a dieta per dimagrire: sto a dieta per risparmiare».
M’è tornato in mente quando ieri su TikTok m’è apparsa Halley, biondina con novecentomila follower che voleva spiegarci che a New York i suoi amici sono convinti lei abbia un disturbo alimentare, perché quando vanno a cena dice sempre di non avere fame: «Non ho intenzione di pagare un pezzo di salmone quel che guadagno in quattro ore di lavoro».
Uno dei miei personaggi di TikTok preferiti è un’italoamericana che negli ultimi mesi ha postato molti video di lei in Sicilia davanti a case più o meno diroccate che comprava a cifre basse per poi rimetterle a posto e affittarle. Per quanto diroccate, il suo pubblico americano trasecolava all’idea che si potesse comprare una casa per ventimila euro.
Un giorno devono aver esagerato coi commenti, e lei ha iniziato a dar loro dei razzisti. Il suo (americanissimo e contortissimo) ragionamento era che chiedersi come si possa vivere guadagnando trentamila euro l’anno (una cifra che la nostra eroina aveva usato a supporto della teoria: qui non sono ricchi ma vivono meglio, non corrono dietro all’arricchimento come noi) è disprezzo razziale, essendo noto (a lei? A TikTok? A chi è stato in gita a Ellis Island?) che gli italiani non sono considerati bianchi.
I giornali americani sono pieni di articoli sul prezzo delle uova. L’inglese non è una lingua i cui parlanti siano feroci guardiani dell’esistente, e quindi ecco subito la parola nuova: eggflation. Se a un italiano dici “uovoflazione”, chiama i gendarmi più velocemente che per “apericena”. In un servizio andato in onda sulla Pbs, un ristoratore spiegava che prima se in cucina cascava un uovo pazienza, adesso che costano il triplo è un guaio.
Nel 1995, nel primo posto in cui io abbia mai lavorato, c’era una ragazza carina che mi raccontò che, prima di essere assunta lì, era per anni stata poverissima. Io la guardavo come dicevano quella direttrice di settimanale guardasse le foto africane: che belli questi bambini poveri. Ero affascinata dai suoi racconti: non avevo mai incontrato nessuno che avesse avuto il problema di come fare la spesa. (Lo so: per non farmi linciare dovrei fingere d’aver incontrato il mio primo povero all’asilo, ma mentire è molto faticoso).
Comunque: la ragazza carina, che aveva pure dei figli e quindi la sua spesa era una questione più impegnativa della mia, quando io coi miei 23 anni di occhioni sgranati le chiesi «ma in quei periodi come si fa?», mi rispose che si mangiano uova e patate. Sono quindi settimane che leggo tutti gli articoli sul costo delle uova in America, chiedendomi come funzioni quando il cibo più economico è comunque troppo caro.
Il fatto è che trentamila euro – non lo sanno i commentatori del TikTok dell’italoamericana, ma forse non lo sa neppure lei – non sono un assoluto. Con alcune amiche che – come me, come tutti – sono mezze terrone, ci scambiamo molte foto di scontrini. A dicembre un calzolaio bolognese mi ha fatto pagare 45 euro per avermi messo a posto delle suole; negli stessi giorni, una mia amica mi ha inviato lo scontrino del calzolaio che le aveva rifatto le suole a Lecce, dov’era andata a trovare i parenti per Natale: 4 euro.
Non sono solo i calzolai, naturalmente: dai parrucchieri ai ristoranti, è tutt’un’economia di provincia (di provincia meridionale) che ci fa ripetere continuamente «Se ci trasferissimo lì, con quel che guadagniamo, saremmo fantastiliardarie». Nei giorni scorsi ho appreso che pensare questa cosa è di destra: non è vero che la vita al nord è più cara, giura gente che invece degli scontrini ti fornisce statistiche probabilmente ottenute chiedendo a un parrucchiere d’autocertificare quanto faccia pagare la messinpiega.
Questo terrore di sembrare laureati all’università della vita e venire scambiati per picchiatelli che confondono l’aneddotica e la statistica ci ha resi tutti renitenti a formulare obiezioni quali: ma quindi siamo tutti sotto incantesimo quando ci convinciamo di spendere un decimo a Lecce per la stessa cosa che abbiamo pagato dieci volte tanto a Bologna?
Il terrorismo statistico deve aver fatto il lavaggio del cervello anche all’italoamericana, convinta che guadagnare trentamila euro risiedendo in un paesino siciliano faccia di te un povero che si accontenta di poco, mica il capo del villaggio. Forse legge i giornali americani: Bret Stephens e Gail Collins, sul New York Times, hanno spiegato che la preoccupazione per il costo delle uova attanaglia coppie dal reddito complessivo di quattrocentomila dollari (che, oltre a non sapere se potranno più permettersi le uova, non sanno se riusciranno a mandare i figli all’università). Vai a spiegare a una che comprerà sì case in Sicilia ma è pur sempre stolida come un’americana che il costo della vita a Riesi è diverso da quello a Manhattan.
Le lamentele su Milano cara sono identiche alle lamentele su New York cara (Milano lo è molto meno, ma gli stipendi italiani sono molto più bassi e quindi le proporzioni quelle sono) e a quelle su Londra – che è da sempre carissima ma qualche mese fa, non tornandoci da un po’, mi è comunque preso un colpo constatando che il trenino dall’aeroporto costa, in seconda classe, 27 sterline. Però Londra ha da sempre un supplemento residenziale sugli stipendi: è più cara del resto dell’Inghilterra; chissà perché a nessuno viene in mente che sia di destra constatarlo e pagarti di più per lavorarci.
Ci dev’essere un circolo virtuoso che si può creare, importando calzolai da Lecce a Bologna, o esportando uova dalla Sicilia a Ellis Island. Ci dev’essere una soluzione e chissà chi la troverà, se è vero, come diceva alla fine del secolo scorso un personaggio di finzione, che gli economisti esistono per far fare bella figura agli astrologi. Una soluzione per chi non possa permettersi più le uova o per chi si ostini a vivere a Manhattan invece che a Riesi. Intanto, se siete in difficoltà economiche e vivete a Milano, l’altro giorno ho visto un cartello in una vetrina. C’era scritto: sconti sul caviale.