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All’ottavo piano della distilleria di Port of Leith è in costruzione qualcosa di mai visto prima nella storia del whisky scozzese. Recentemente sono stati installati gli ascensori in quella che presto sarà l’unica distilleria verticale del Regno Unito. A pochi chilometri di distanza c’è Shore of Leith, capitale dell’industria locale, dove la maggior parte del whisky scozzese è stata miscelata, imbottigliata, maturata e spedita in tutto il mondo con marchi come Vat 69, Bailie Nicol Jarvie, Hankey Bannister, Glenmorangie e Highland Queen.
«Nessuno ha mai costruito un edificio del genere prima d’ora», ha detto Ian Stirling, comproprietario di Port of Leith, a proposito della torre. Questo grattacielo del whisky è il simbolo dell’ascesa dell’industria scozzese e svetta per quaranta metri di altezza nel porto storico di Edimburgo. Per costruirlo ci sono voluti quattro anni e quasi quattordici milioni di sterline, tutti provenienti da investitori privati.
Un risultato notevole, considerando la congiuntura economica non proprio favorevole: la Gran Bretagna è uscita dall’Unione Europea (dove si trovano molte dei principali importatori di whisky scozzese), ci sono state una pandemia e una crisi energetica di portata storica. E per produrre il whisky occorrono enormi quantità di energia. L’economia del Regno Unito, inoltre, è stata scossa dalle conseguenze della Brexit, dalla guerra in Ucraina e, più recentemente, dalla drammatica retromarcia del governo che ha portato alle dimissioni di Liz Truss.
Ma gli affari vanno a gonfie vele per i produttori di whisky scozzesi e il forte calo della sterlina rispetto alle principali valute ha dato un’ulteriore spinta, rendendo il whisky più accessibile per gli acquirenti stranieri. Non a caso, come ha titolato il New York Times, «Mentre l’economia britannica arranca, un settore è in piena espansione: il whisky».
La crescita del settore unisce passato e presente, come nel caso di Glenturret: situata a circa cento chilometri a nord-ovest, nel Perthshire, è la più antica distilleria scozzese in attività, risalente al 1763. Nel 2019 è stata acquistata dal vetraio francese Lalique e dall’imprenditore svizzero Hansjörg Wyss. La struttura è decorata con lampadari di cristallo e botti tradizionali e offre ai visitatori un ristorante stellato Michelin. Qui, con vista sul fiume da cui proviene l’acqua necessaria per produrre il whisky, il rinnovato Glenturret – ora ospitato in bottiglie di vetro art déco Lalique da 70 cl – è il protagonista del menu di quindici portate proposto alla clientela.
«Nella storia di Glenturret ci sono stati tanti punti di svolta che ne hanno fatto un riferimento», ha dichiarato l’amministratore delegato John Laurie. Glenturret è stata l’ultima distilleria in Scozia a mescolare manualmente l’orzo in acqua calda per eliminare gli zuccheri, un processo noto come mashing. «Ci piaceva tutelare questa tradizione, ma il consumo di gas era esagerato», dice. «Abbiamo cambiato per ridurre le emissioni. Se avessimo saputo che sarebbe arrivata la crisi energetica, avremmo avuto un motivo in più per farlo».
La ripresa del whisky passa anche da Johnnie Walker Princes Street, non una distilleria ma una vera e propria esperienza ospitata su otto piani di un magnifico edificio art déco, nella principale via dello shopping scozzese. Nel 2018 Diageo, multinazionale del beverage, ha investito ben 185 milioni di sterline nel whisky. Gran parte dell’ammontare è stata indirizzata su questo edificio che, dall’apertura nel settembre 2021, ha accolto 350 mila persone provenienti da 112 paesi, come Cina, Giappone, Paesi Bassi e Singapore.
Altrove, il boom è declinato in altri modi. Da InchDairnie a Glenrothes, l’attenzione è rivolta alla scoperta di nuove materie prime, al miglioramento della fermentazione e del metodo. “Futuristico” è la parola più utilizzata per riferirsi a InchDairnie: c’è chi la definisce come «Un gruppo di scienziati missilistici». La prossima uscita di InchDairnie, probabilmente quest’anno, sarà un innovativo whisky di segale.
A trainare l’esplosione del settore ci sono anche le campagne pubblicitarie, che negli ultimi anni hanno contribuito ad aumentare l’appeal del whisky sui consumatori più giovani. Ad esempio, Diageo ha collaborato con l’attore di “Parks and Recreation” Nick Offerman, che ha tenuto una degustazione in diretta su Instagram con un maestro miscelatore.
Nel frattempo, altre distillerie continuano a sorgere, o a riaprire, in tutto il territorio locale; solo negli ultimi sei anni ne sono state aperte venti, portando il totale in Scozia a 141. Il volume delle esportazioni di whisky è aumentato in maniera considerevole, secondo i dati del governo. Un incremento alimentato da una maggiore domanda negli Stati Uniti e nell’Asia-Pacifico. Secondo la Scotch Whisky Association, l’associazione di categoria del settore, circa il 90% dello scotch viene esportato. Il mercato più prezioso è quello statunitense, che vale quasi un miliardo di sterline (1,1 miliardi di dollari), in netta crescita dopo che il presidente Biden ha sospeso i dazi dell’era Trump.
L’industria del whisky è storicamente ciclica e ha avuto una serie di esplosioni e di tonfi. Durante il Whisky Loch del 1983, la sovrapproduzione ha portato a un eccesso di single malt e decine di distillerie sono state chiuse. Molte stanno ora riaprendo. La prossima sfida potrebbe arrivare da Cina e India; la sensazione è che questi mercati stiano iniziando a produrre il proprio whisky. Laurie però non teme la concorrenza: «In Giappone ci sono 122 distillerie ed è ancora uno dei nostri mercati più importanti. Non si può sostituire il single malt. È il gold standard e può essere prodotto solo in Scozia».