Non credete a chi dice e scrive che a Villa San Martino decide la morosa di turno del Cavaliere. Oggi Marta Fascina, ieri Francesca Pascale. È una storia che si ripete da decenni. Quando Silvio Berlusconi ha chiaro l’obiettivo, e l’interesse, prende la stilografica e segna una linea netta sul nome della vittima sacrificale di turno che fino a quel momento gli è servita.
Oggi Licia Ronzulli, ieri Mariarosaria Rossi. La vicenda contingente è quella della decapitazione del capogruppo Alessandro Cattaneo, sostituito da Paolo Barelli. Ronzulli rimane presidente dei senatori azzurri, ma perde il posto di potere in Lombardia come coordinatrice, pagando il fatto di non avere indicato per un assessorato regionale un amico della quasi moglie del sire d’Arcore.
Ma queste sono quisquilie di nessun significato politico. Il fatto centrale è la strambata governista del Cavaliere, segnata dal ritorno in pista di sua eminenza Gianni Letta. È il quasi novantenne lucidissimo che sta gestendo, per conto di Berlusconi, la trattativa per le nomine nelle grandi aziende pubbliche. C’è in ballo pure la Rai. Non si tratta solo dei vertici, cioè degli amministratori delegati e dei presidenti. La ghiotta infornata riguarda anche i consigli d’amministrazione: centinaia di posti chiave e di controllo. 142 organi sociali (94 consigli d’amministrazione e 48 Collegi sindacali di 105 società che fanno capo al Ministero dell’Economia) sono scaduti e saranno rinnovati dalle assemblee di bilancio previste nei prossimi mesi. Quest’anno il turn over è spettacolare, perché si concludono i mandati triennali di pesi massimi come Eni, Enel, MPS, Consip, Enav, Leonardo, Poste Italiane, Terna, ITA, alcune controllate Rai. Tanto per capire di che stiamo parlando, Milano Finanza ha calcolato che ci sono in ballo oltre 600 poltrone nelle società quotate di Stato, che in borsa valgono 135 miliardi, il 22 per cento circa dell’intero listino di Piazza Affari.
È chiaro che Giorgia Meloni avrà l’ultima parola sulle nomine apicali e lascerà qualche strapuntino agli alleati. Siamo al quasi monocolore Meloni che avanza in ambito politico e nelle società partecipate. A fremere di più è Matteo Salvini. Più tranquillo è Silvio Berlusconi che improvvisamente, dopo essersi messo nelle mani di Gianni Letta, il filogovernativo per costituzione genetica, è diventato docile ammiratore della presidente del Consiglio. Ieri sul Corriere della sera il leader di Forza Fratelli d’Italia ha detto che «il successo di Giorgia sarà il successo di tutti noi».
Occorre notare che nell’intervista su citata Berlusconi spiega la sostituzione del capogruppo alla Camera e la nomina dei nuovi coordinatori con l’esigenza di un rinnovamento organizzativo. Che c’entri il capogruppo Catteneo, tra l’altro nominato appena cinque mesi fa, non è chiaro. La cosa più strana è che la nota delle decapitazioni di qualche giorno fa dava una motivazione più illuminante: la riorganizzazione «si rende necessaria per arrivare pronti alle prossime elezioni europee, con una squadra coesa e radicata nel territorio nazionale».
Delle europee del 2024 parleremo alla fine. Adesso ritorniamo alla Fascina e alla strambata governista: lei non si era mai esposta, tranne una settimana fa, quando viene fuori una sua nota per smentire l’esistenza di una corrente filomeloniana. «Forza Italia, in tutte le sue articolazioni, si riconosce nell’unica leadership, quella del Presidente Silvio Berlusconi, ed è sempre stata leale al governo Meloni di cui, al netto di qualche voce solitaria in cerca di visibilità, è componente essenziale e propositiva».
In un solo colpo vengono colpiti tutti coloro che, rimasti fuori dal governo, ogni tanto si distinguevano, facevano moderatamente il controcanto. Ma nessuno aveva osato tanto contro la politica estera del governo, e sull’Ucraina in particolare, come ha fatto Berlusconi in persona. Anzi, la povera Ronzulli e con lei Giorgio Mulè, il più esposto sul fronte critico, hanno cercato sempre di frenare il capo, che si è visto in tv quanto fosse incazzato quando Meloni aveva fatto fuori i suoi fedelissimi dall’esecutivo.
Ma l’uomo è fatto così: assegna ruoli e spartiti da cantare, poi cambia obiettivo e i malcapitati diventano le vittime sacrificali. Non è mai cambiato nulla a Villa San Martino. Questa che stiamo raccontando è l’ennesima puntata dell’eterno ritorno del sempre uguale berlusconiano. A decidere è sempre lui, a quattrocchi con sua figlia Marina, con qualche consiglio utile del figlio Piersilvio, del vecchio amico Felice Confalonieri e di Gianni Letta. Quando gioca con la politica, un passatempo sempre più lontano dai suoi interessi, si guarda sempre intorno e valuta cosa conviene fare in quella fase. E la convenienza non è strettamente dettata dalla politica.
Marina lì dentro è la più lucida, la più lungimirante, la più in sintonia con il patriarca, anche nella prospettiva delle europee. Hai visto mai che questa ex ragazza della Garbatella, con l’alleanza Popolari-Conservatori, ci porta ai vertici europei? Nella nuova Commissione Ue ci starebbe bene, anzi perfetto, Antonio Tajani, il più vicino alla presidente del Consiglio, l’amico del capogruppo e presidente del Ppe Manfred Weber. Il ministro degli Esteri il commissario lo ha già fatto, ma a questo giro in una posizione importante, con un portafoglio pesante. Fascina annuisce, fino alla prossima piroetta del quasi marito.