La battaglia della Marna, come tutti sanno, finí con la ritirata dei tedeschi. Tra l’Ourcq e il Grand-Morin, negli ultimi quattro giorni contemplati dal piano si lasciarono sfuggire le «vittoria decisiva» e quindi l’occasione di vincere la guerra. Per la Francia, per i suoi alleati e in ultima analisi per il mondo la battaglia della Marna ebbe questo di tragico: che poteva essere la vittoria e non lo fu. […]
I tedeschi erano giunti cosí vicino alla vittoria e i francesi cosí vicino al disastro, e con tale sgomento negli ultimi giorni il resto del mondo aveva visto i tedeschi avanzare e gli Alleati ripiegare su Parigi, che la battaglia in cui le sorti si invertirono passò alla storia come «il miracolo della Marna». Henri Bergson, che aveva formulato per la Francia la mystique della «volontà», intravide nella battaglia della Marna i segni di un miracolo già avvenuto: «La battaglia della Marna è stata vinta da Giovanna d’Arco».
Lo sentiva anche il nemico, che si era trovato d’improvviso di fronte a un muro di pietra sorto dalla sera alla mattina. […] A dispetto di Bergson, ciò che avvenne sulla Marna non fu il risultato di un miracolo, ma dei «se», degli errori, degli impegni, emersi nel primo mese di guerra. A dispetto di von Kluck, la vitalità del soldato francese non vi contribuí piú che gli errori del comando tedesco.
Se i tedeschi non avessero ritirato dal fronte occidentale due corpi d’armata per mandarli contro i russi, uno dei due sarebbe stato a destra di von Bülow e probabilmente avrebbe colmato la falla tra lui e von Kluck; l’altro sarebbe stato nell’armata di Hausen dove poteva aggiungere quel tanto di forze che bastava a sopraffare Foch.
L’offensiva prematura lealmente sferrata dai russi indusse i tedeschi a trasferire a est quelle truppe. Il loro merito fu riconosciuto dal colonnello Dupont, il capo del servizio informazioni francese: «Rendiamo a quei nostri alleati l’onore che meritano» disse, «perché uno dei fattori della nostra vittoria fu la loro disfatta».
Molti altri «se» si accumularono in quel mese. Se i tedeschi non avessero impegnato troppe forze nel tentare un doppio accerchiamento con la loro ala sinistra, se l’ala destra non si fosse allontanata troppo dalle linee di rifornimento e non avesse sfinito i suoi uomini, se von Kluck avesse mantenuto l’allineamento con von Bülow, se – magari l’ultimo giorno – avesse ripassato la Marna invece di avanzare ancora verso il Grand-Morin, la battaglia della Marna sarebbe finita in tutt’altro modo e i tedeschi avrebbero potuto realizzare il loro programma iniziale vincendo la Francia in sei settimane.
«Avrebbero potuto», cioè, se non fosse stato per un altro «se» che fu determinante: se quel termine di sei settimane non avesse comportato l’invasione del Belgio. Anche non tenendo conto che essa provocò l’intervento inglese, e tralasciando l’effetto che produsse sull’opinione mondiale l’aggiunta del Belgio alla lista dei nemici, obbligò i tedeschi a ridurre le divisioni sulla Marna, e aumentò le altre forze in linea contro i tedeschi di cinque divisioni inglesi.
Sulla Marna gli Alleati raggiunsero quella superiorità numerica che non avevano posseduto, nemmeno in un singolo settore, durante la battaglia delle frontiere. […]
Gli uomini non avrebbero potuto far fronte a una guerra di tale entità e tale costo senza una speranza: la speranza che la sua stessa enormità ne facesse l’ultima guerra; e che quando fosse giunta in qualche modo a una conclusione, si sarebbero gettate le basi per un mondo meglio ordinato.
Come la visione smagliante di Parigi teneva in piedi i soldati di von Kluck, il miraggio di un mondo migliore scintillava al disopra delle distese crivellate di buche e disseminate di monconi, che un tempo erano state campane verdi e file di pioppi ondeggianti al vento. Solo tale speranza poteva dare una dignità e un senso logico alle mostruose offensive in cui migliaia e centinaia di migliaia d’uomini venivano uccisi per guadagnare dieci metri di terreno e passare da una trincea allagata a un’altra trincea allagata.
Ogni autunno, quando la gente pensava che la guerra non sarebbe potuta durare un altro inverno, ogni primavera quando la gente si rendeva conto di nuovo che la fine non era in vista, uomini e nazioni erano in grado di continuare nella lotta solo perché speravano che ne sarebbe uscito qualcosa di buono per l’umanità. […]
Dopo la Marna la guerra si intensificò e si ampliò finché vi attirò le nazioni dei due emisferi, in una trama complicata di conflitti che nessun trattato di pace sarebbe riuscito a rompere. La battaglia della Marna fu una delle battaglie decisive nella storia del mondo non perché essa decise che la Germania avrebbe finito col perdere la guerra e gli Alleati per vincerla, ma perché decise che la guerra sarebbe continuata.
Alla vigilia della battaglia Joffre aveva detto ai soldati che non si poteva più guardare indietro. Dopo la battaglia non c’era più modo di tornare indietro. Le nazioni erano in trappola: una trappola tesa nei primi trenta giorni da una serie di battaglie che non erano riuscite a essere decisive. Una trappola senza uscita, che, infatti, non ebbe uscita.
Da “I cannoni d’agosto” di Barbara W. Tuchman, 640 pagine, 25 euro.