Nel Consiglio dei ministri di oggi è attesa la legge delega di riforma fiscale, che prevede la semplificazione Irpef, l’estensione della flat tax incrementale e l’azzeramento dell’Iva su alcuni beni di prima necessità. La riforma ha riscosso il consenso di associazioni datoriali, convocati ieri a Palazzo Chigi, dopo la bocciatura dei sindacati.
Aprendo il congresso Cgil a Rimini, dove oggi si ritroveranno i leader dei partiti di opposizione, il segretario Maurizio Landini ha chiesto il ritiro della delega. «Il governo ritiri la delega fiscale per avviare un confronto di merito con il sindacato che rappresenta 36 milioni di contribuenti, tra lavoratori dipendenti e pensionati, altrimenti sarà mobilitazione», ha detto. «Le riforme in questo Paese devono essere condivise e fatte con il mondo del lavoro e non contro o sulle sue spalle», ha aggiunto, rivolgendosi a Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri, segretari di Cisl e Uil, presenti in platea e pronti «a lotte comuni». Stavolta anche la Cisl, dopo anni da separati negli scioperi, è sul piede di guerra.
L’incontro di martedì tra governo e sindacati a Palazzo Chigi non è andato bene, «l’ennesimo strappo» per Landini. Solo qualche slide generica della delega fiscale che oggi verrà approvata in Consiglio dei ministri, 22 articoli e due anni di tempo per attuarla con i decreti legislativi. Cgil, Cisl e Uil lamentano di non essere stati coinvolti, solo informati a cose fatte, come già con la legge di bilancio. «Il fisco è la madre di tutte le battaglie, perché sul fisco si regge il patto sociale e di cittadinanza di un Paese. E questo intervento prefigura un taglio a scuola e sanità», ha spiegato Landini.
In aula, la premier Giorgia Meloni ha spiegato invece: «Sarà una rivoluzione. Rilancerà l’economia, ridurrà la pressione fiscale soprattutto per i redditi medio-bassi, introdurrà un rapporto non vessatorio tra Stato e contribuente, permetterà una reale lotta all’evasione». E poi ha ripetuto uno degli slogan della campagna elettorale: «Ci sarà anche il messaggio: più assumi e meno tasse paghi». Un modo per strizzare l’occhio alla platea di Rimini che domani l’accoglierà, come primo premier a un congresso Cgil da Prodi nel 1996, quarto nei 19 Congressi del sindacato rosso. Sicuramente il primo premier di destra.
Ma questo è uno dei punti più controversi della riforma, come spiega Repubblica. Meloni si riferisce all’Ires che si abbassa dal 24 al 15% se l’azienda decide di reinvestire gli utili, nei successivi due anni, facendo assunzioni o investimenti. «Una non meglio identificata condizionalità all’occupazione o all’innovazione, come per gli incentivi di Industria 4.0», ha commentato Landini. Il timore è che le aziende paghino meno tasse comprando qualche macchinario extra, senza aumentare i posti. Questo è «il momento delle risposte ai bisogni delle persone», ha detto Landini. «Ecco perché abbiamo invitato qui la presidente del Consiglio. Non solo per una questione di forma».
La riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre prevista nel testo, per Landini «favorisce i redditi alti, è contro la progressività fissata in Costituzione». Il segretario della Cgil è tornato a invocare un salario minimo attraverso la contrattazione, estendendo a tutti i contratti nazionali più rappresentativi. E per questa via non ha escluso che si possa anche pensare a introdurre la settimana lavorativa di quattro giorni a parità di salario.
I temi sul tavolo ci sono tutti. Oggi ne discuteranno a Rimini con Landini tutti i leader dell’opposizione: Carlo Calenda, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni ed Elly Schlein. Domani sullo stesso palco Giorgia Meloni dovrà dare delle risposte.