La serie A della politica italiana, passati i due big match delle regionali lombardo-laziali e dell’elezione della segretaria del Partito democratico (con tanto di risultato a sorpresa) sta già puntando taccuini telecamere e microfoni sulla prossima partita: le elezioni europee del maggio 2024. Già si leggono e si sentono frasi come: «La verifica delle europee per Meloni», «Schlein ha un anno per misurarsi alle europee», «Il nuovo partito di Calenda e Renzi dovrà ottenere alle europee almeno il….». Niente di nuovo, niente di male. In apparenza.
È il solito vecchio ritornello, la coazione a ripetere della politica italiana e di chi la racconta, per la quale le elezioni europee non sono altro che un test intermedio, un sondaggione a spese dell’erario, o un titolo di campione d’inverno per i partiti nazionali. Ma questa volta non ce lo possiamo permettere, questa volta è fondamentale che le forze politiche, i media, le elettrici e gli elettori, arrivino al voto del maggio del prossimo anno in modo consapevole, cioè sapendo a cosa serve davvero questo voto. E tenterò di rendere chiaro il perché.
Cominciamo col dire a cosa non serve il voto alle elezioni europee. Non serve a spostare i pesi reali nell’arena politica nazionale. Certamente indica tendenze e umori dell’corpo elettorale, ma non produce redistribuzione del potere. Al contrario, Matteo Renzi prese il 41 per cento alle europee del 2014, ma da quel momento in poi le sue fortune hanno iniziato a scivolare, fino al referendum perso nel 2016 e alla pesante sconfitta alle politiche del 2018. Si potrebbe dire qualcosa di simile di Matteo Salvini, che prese il 34 per cento alle europee del 2019, per poi condurre alla caduta il governo di cui era vice presidente del Consiglio solo quattro mesi dopo.
A cosa serve allora il voto europeo? Da quando esiste un Parlamento europeo eletto dai cittadini, il voto serve non per la politica degli stati membri, ma per definire i pesi relativi delle famiglie politiche dell’Unione e quindi gli indirizzi di azione dell’Europarlamento e della Commissione. Ma nel 2024 la posta in gioco è ancora più alta. Oltre 400 milioni di elettrici ed elettori potranno recapitare ai governi e alle istituzioni UE un messaggio su un tema vitale che definirei così: quale Europa avremo nei prossimi decenni.
Avremo un’Europa quale semplice consorzio di nazioni, o un’Europa che sia entità politica unita e sovrana? Saremo cittadine e cittadini di un’Europa che ha una politica estera, o che ne ha ventisette? Una politica energetica, climatico-ambientale, migratoria, fiscale, del commercio internazionale, della difesa, e via dicendo, o una ridda litigiosa di politiche di piccole nazioni?
Le grandi crisi di questi ultimi anni, la pandemia, la guerra, l’emergenza climatica, energetica e finanziaria, unite al ritorno preoccupante di assetti geopolitici di potenza, di autocrazia, e di protezionismo, hanno reso evidente che senza un governo politico forte dell’Unione, senza poteri decisionali veri e democraticamente assegnati, alle cittadine e ai cittadini europei non potranno arrivare risposte adeguate. Si pensa davvero, per fare solo alcuni esempi, che divisi in ventisette saremo mai in grado di avere una difesa forte? O una risposta forte sul clima, sull’energia, sulla competitività industriale?
Poco probabile. Pure se, con indugi iniziali, grande fatica e sotto la pressione di drammatiche emergenze, anche l’Europa in formato multigovernativo ha saputo rispondere alle crisi del Covid e dell’assistenza economica e militare per l’Ucraina.
Ma come detto, questo non basta per le sfide a venire. E si scontra con il tabù ossessivo della sovranità. Dimensione inviolabile, consustanziale al concetto di nazione, rappresentata come baluardo ultimo dell’interesse nazionale, questa categoria plurisecolare segnala ormai il forte bisogno di un tagliando e di un ripensamento.
Le elezioni europee del 24 sono importanti perché sono una tappa di questa redistribuzione della sovranità, che è sana, necessaria. Non si tratta di quella minaccia di usurpazione contro cui inveiscono i sovranisti alla Salvini&Meloni.
Non chiamiamola cessione di sovranità, perché spaventa la gente. Parliamo di riassetto, secondo principi di sussidiarietà: cosa può fare più efficacemente la regione, cosa lo Stato, cosa l’Europa. È un percorso lungo e difficile, che investe una ridiscussione dei trattati, ma non può essere eluso. Nello scorso anno 19mila cittadini europei partecipanti alla Conferenza sul futuro dell’Europa lo hanno chiesto con chiarezza.
Occorre che i partiti autenticamente europeisti comprendano la responsabilità che hanno in vista delle elezioni del 2024: non devono ricadere nel vizio di gestirle e raccontarle come conta interna all’Italia, come pagella al governo, ma come scelta per il futuro europeo. E devono farlo cominciando sin d’ora, e parlando ai cittadini europei-italiani del loro futuro, dei loro bisogni e interessi, che in molti casi possono essere tutelati meglio dall’Europa che da Roma.
Marco Ghetti è membro promotore del gruppo EUROPA 2024 costituito per promuovere un voto consapevole alle elezioni europee 2024