Mentre l’allargamento dell’Unione europea procede a rilento, quello di Frontex viaggia a vele spiegate. I Paesi dei Balcani occidentali, che hanno di fronte un percorso lungo e accidentato per entrare nell’Ue, hanno aperto le porte alla collaborazione con la Guardia costiera e di frontiera europea, che proprio in questa regione intensificherà gli sforzi per prevenire gli ingressi di migranti irregolari.
Verso i confini, e oltre
L’ultimo accordo in ordine di tempo ad essere stato formalmente ratificato è quello tra l’Ue e la Macedonia del Nord. Dal primo aprile, l’agenzia aiuterà le autorità macedoni a gestire i flussi migratori, contrastare l’immigrazione illegale e smantellare le reti criminali transfrontaliere, come conferma a Linkiesta una sua portavoce.
L’intesa, raggiunta a ottobre 2022, si aggiunge quelle già esistenti nell’area con Albania, dove risiedono centodieci agenti di Frontex, Serbia (132), Montenegro (20), tutti supportati dallo staff amministrativo dell’agenzia. In tutti questi casi Frontex opera in tandem e di fatto sotto il comando delle autorità locali, «implementando attività coordinate ai confini esterni dell’Ue».
In pratica: sorveglianza delle frontiere e dei punti di attraversamento, visto che gli agenti hanno anche «poteri esecutivi» e quindi possono eseguire controlli sulle persone in transito e registrarne le generalità, proprio come se si trovassero sul territorio dell’Unione.
Con questi accordi, il raggio d’azione dell’agenzia viene esteso anche ad alcuni Stati confinanti con l’Unione e non solo alle regioni limitrofe alle frontiere, ma a tutto il territorio del Paese in questione. È il frutto di una strategia precisa, cominciata nel 2019 con l’adozione di un nuovo regolamento interno per la Guardia di frontiera europea, che ne aumenta le prerogative concedendo più margine nella cooperazione con i Paesi terzi.
Una possibilità subito sfruttata dalla Commissione, che è deputata a negoziare questi accordi, da sottoporre poi all’approvazione di Consiglio e Parlamento europeo. Con Albania, Montenegro e Serbia era già in atto un accordo con le precedenti «regole d’ingaggio» di Frontex, con la Moldova ne è stato stipulato uno ad hoc dopo l’invasione russa dell’Ucraina, e con la Macedonia del Nord uno ex novo, che Consiglio e Parlamento hanno definitivamente approvato a febbraio.
Ma probabilmente non sarà l’ultimo. Sono in corso negoziati con la Bosnia ed Erzegovina e il Consiglio ha persino autorizzato la Commissione a trattare con Mauritania e Senegal: se si trovasse un’intesa gli agenti di Frontex sarebbero dislocati per la prima volta nel continente africano, dove del resto l’agenzia sta già preparando il terreno con una cooperazione che dura dal 2010 e vari centri di controllo e raccolta dati nel continente.
Rischio di complicità nelle violazioni
Ma la priorità al momento rimane presidiare più efficacemente la rotta balcanica, anche nel mese di gennaio 2023 la più interessata da attraversamenti irregolari diretti nei Paesi europei, il quarantatré per cento del totale.
Soprattutto afghani, siriani e turchi secondo i dati forniti da Frontex, che ora avrà la possibilità di intercettarli sempre più lontano dai confini dell’Ue. In linea con le sue regole di ingaggio, l’agenzia deve garantire il monitoraggio e la protezione dei diritti umani anche nelle operazioni svolte al di fuori dell’Unione, ma una parte significativa dei deputati del Parlamento europeo intravede un serio rischio di violazioni.
«Pensiamo che non ci siano le condizioni per una simile espansione», dice a Linkiesta Tineke Strik, europarlamentare olandese del gruppo dei Verdi/Ale, che insieme a quello della Sinistra ha votato contro l’adozione dell’ultimo accordo. «Nei Paesi dei Balcani occidentali mancano adeguate procedure per la richiesta di asilo: ci sono molti ostacoli per presentare una domanda e chi lo fa difficilmente riceve protezione alla fine della trafila».
A preoccupare l’eurodeputata sono anche i «sistematici pushback» effettuati dalle autorità di questi Paesi, i respingimenti collettivi di migranti che sono vietati dal diritto europeo, secondo il quale ogni persona ha diritto a vedere la propria domanda esaminata singolarmente.
Border Violence Monitoring, un network di quattordici associazioni che documenta gli episodi sospetti, ha raccolto per il solo nel mese di gennaio diciotto testimonianze di pushback che hanno coinvolto 172 persone migranti in tutta la regione balcanica, sia da Stati membri che da Paesi extra-Ue dell’area. «Anche la Commissione ha riconosciuto queste dinamiche nella sua analisi d’impatto relativa all’accordo», sostiene l’eurodeputata.
Per Strik autorizzare Frontex a operare in questi Paesi significa in sostanza pagare con soldi europei agenti che supporteranno i respingimenti effettuati dai loro colleghi locali, o che comunque cercheranno di mantenere i migranti in territori dove eventuali rifugiati non possono ottenere un’adeguata protezione. A suo giudizio sarebbe stato invece opportuno che i sistemi di asilo negli Stati dei Balcani occidentali raggiungessero un livello sufficiente, e che i loro controlli alle frontiere fossero in linea con il rispetto dei diritti fondamentali, prima di accordarsi per il dislocamento di personale di Frontex.
Perciò il suo gruppo ha votato contro tutti gli accordi di questo tipo, tranne quello con la Moldova, che giudica utile per supportare il piccolo Paese dell’Europa orientale a gestire l’afflusso massiccio di rifugiati dall’Ucraina. Anche perché Frontex, il cui nuovo direttore Hans Leijtens è appena entrato in carica, ha una storia recente di attività controverse, con accuse di copertura e complicità nei respingimenti collettivi che sono sfociate nell’istituzione di una commissione d’inchiesta al Parlamento europeo e soprattutto con le dimissioni del precedente direttore, Fabrice Leggeri, nell’aprile 2022.
Ma la Commissione, il Consiglio, e pure la maggioranza del Parlamento europeo tirano dritto e continuano a supportare l’espansione del raggio d’azione dall’agenzia. Come spiega Tineke Strik, l’Unione finanzia molte misure legate alle migrazioni nei Balcani occidentali, ma si concentra soprattutto su quelle ostative all’ingresso dei migranti: «rimpatri, detenzioni e controllo delle frontiere».