Non ci voleva molto, cari Nicola Zingaretti ed Enrico Letta. Guardate cosa ha fatto Elly Schlein in nemmeno un mese. Il Pd è risalito nei sondaggi – non tantissimo ma è risalito – ed è tornato a far parlare di sé, non solo grazie alle novità insite nella figura della neosegretaria ma per la sua (pur discutibile) agenda. Cioè esattamente quello che deve fare un partito: imporre all’attenzione dell’opinione pubblica le proprie idee.
Zingaretti, eletto dopo il ciclo renziano e la sconfitta del 2018, all’inizio aveva cercato di combinare qualcosa ma presto è stato risucchiato nella passione bettinian-orlandiana per Giuseppe Conte, il famoso «punto di riferimento fortissimo», nella puerile illusione di creare un piccolo Fronte popolare alimentato dal postgrillismo populista dell’avvocato e creando un proprio sistema di potere personale dentro il Pd che ovviamente venne abbattuto dagli avversari interni, al che lui scappò.
Fu chiamato da Parigi Enrico Letta, che avrebbe dovuto essere (anche per la città donde proveniva) una specie di leader illuminato e che in effetti si rivelò tale nell’appoggio totale a quel gigante di Mario Draghi e nella scelta a fianco della Resistenza ucraina. Ma per il resto, zero. Ci fu una ormai dimenticata iniziativa del partito, quelle «Agorà» che servirono a ben poco, anzi, per come furono realizzate, a niente.
E infine arrivò il grande pasticcio strategico e tattico del «campo largo», una idea che occultava il punto vero della discussione: quale alleato scegliere. Finì con il disastro del 25 settembre e addio Letta (comunque sia Nicola che Enrico sono ben assisi ai loro posti alla Camera). Dopo un congresso mezzo nevrotico e mezzo narcotico il 26 febbraio è arrivata infine Elly Schlein.
In tre settimane nel Pd si è creato un clima unitario (pure troppo, caro Bonaccini), si è fatta sentire due volte alla Camera, una “contro” Piantedosi e l’altra “contro” Meloni, ha messo al centro del dibattito il salario minimo per legge, è andata subito e senza dare spettacolo a Cutro dopo la strage dei migranti, ha ricevuto ottima accoglienza alla manifestazione antifascista di Firenze, al congresso della Cgil e alla iniziativa di sabato a Milano per protestare contro lo stop imposto al Comune alle trascrizioni dei figli di coppie dello stesso sesso.
Su quest’ultima questione il “nuovo Pd” intende dare gran battaglia, pur non avendo la minima probabilità di portare a casa qualcosa stante i numeri in questo Parlamento. Dall’insieme di tutte queste mosse viene fuori un abbozzo di Prm – partito di radicale di massa – forse in grado di rianimare un Pd che con gli ultimi due segretari era inciampato di errore in errore e infine caduto nel letargo lettiano. Sarà la strada giusta, questa che Schlein sta percorrendo?
Questo Prm schleiniano non ha molto a che vedere con quello profetizzato quarant’anni fa da Augusto Del Noce che lo vedeva come il naturale superamento/negazione del comunismo marxista del Pci ma a ben vedere è un tratto del partito “americano” immaginato da Walter Veltroni, che si chiamò non a caso «partito democratico», che però, per svariate ragioni, in questi quindici anni raramente è stato «di massa» ma mai maggioritario soprattutto perché mai davvero è riuscito a formulare un programma convincente di politica economica.
La domanda che va posta è dunque la seguente: è sicura, la nuova leader del Pd, che la «radicalità» sui diritti civili comporti consensi di massa? Il dubbio è lecito. Perché le tematiche “civili”, e persino un certo modo di fare politica – diciamo così – più “descamisado”, hanno in sé un’ansia magari nobile ma minoritaria, “borghese” proprio nel senso che lo schleinismo aborre cioè la cultura da Ztl.
Attenzione. Questo pare oggi il punto debole del Prm della nuova leader del Pd. Che infatti parla di tante cose ma mai di crescita, produttività, mercato, finanza, ricchezza. Non sembra che lei avverta l’esigenza di ricostruire un pensiero sull’Italia da questo punto di vista, preferendo prendere la questione dalla coda, cioè dal salario minimo e dei diritti di chi lavora, temi giusti ma largamente insufficienti.
Vedremo. Per il momento Schlein fa bene a lavorare sull’identità del proprio partito, pur con messaggi che molti troveranno discutibili: un partito schiacciato sulle tematiche civili non ha un gran futuro. Però mille volte meglio questa vocazione minoritaria della lugubre stagione zingarettiana e di quella opaca lettiana. Ci voleva tanto?