RubabandieraIl 25 aprile degli intolleranti che mascherano il putinismo dietro slogan di pace

Durante la Festa della liberazione diversi manifestanti sono stati vittime di aggressioni unilaterali solo perché esibivano sostegno alla Nato e alla resistenza degli ucraini. I responsabili di queste violenze di stampo squadrista, giovanissimi, sono gli stessi che si riempiono la bocca di antifascismo

LaPresse

Altro giro, altra corsa: il 25 Aprile ha portato con sé polemiche e strascichi, come di consueto. Ciò che però emerge con più forza dalle piazze in cui si sono svolti i cortei è un’esplosione di intolleranza verso chi tenta di attualizzare il significato della Resistenza. Milano, Torino, Bologna, Firenze e Roma sono state teatro di aggressioni nei confronti di ragazzi e ragazze colpevoli di aver esposto bandiere dell’Ucraina, di Taiwan, dell’Iran, degli Stati Uniti e della Nato. Gli antagonisti dei centri sociali, armati di bandiere della Palestina, del Venezuela, di Cuba e, in maniera inedita, della Nuova Russia (l’unione delle repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk) hanno insultato, spintonato e cacciato chi cercava di manifestare liberamente. Il tutto succede nel giorno in cui festeggiamo la libertà dal regime fascista, in cui ricordiamo chi ha dato la vita per permetterci di esprimere senza censure il nostro pensiero. 

A Milano una ragazza tesserata di Azione è stata aggredita per aver mostrato una bandiera della Nato. I membri di un collettivo di sinistra estrema gliel’hanno strappata al grido di «fuori le guerre dal corteo». Solo l’intervento dei City Angels e di alcuni passanti hanno evitato la violenza fisica. Lo stesso è accaduto a un ragazzo che portava una bandiera statunitense. Poco più tardi un militante antifa si è introdotto nello spezzone riservato ai partiti e alle associazioni liberal-democratiche: ha rubato una bandiera, sputato addosso a un militante per poi fuggire. Stesso copione a Torino, quando alcuni manifestanti che sfilavano dietro alla Fiap (Federazione Italiana Associazioni Partigiane) sono stati aggrediti verbalmente da circa un centinaio di persone, che hanno tentato di portargli via le bandiere (ancora una volta, ucraine, iraniane, israeliane). Episodi di questo tipo sono occorsi anche a Bologna e Firenze. A Roma Francesco Intraguglielmo, fondatore di Rivoluzioniamo la Scuola, è stato cacciato dalla piazza a spintoni per aver portato con sé un cartello che recitava «I partigiani, oggi, sono gli ucraini: change my mind».

É la riscossa di chi maschera il putinismo dietro slogan di pace. La festa della Liberazione si è tramutata in una gara allo scippo della bandiera “nemica”, un assalto alla diligenza mosso da una parte ben precisa: aggressioni unilaterali, esattamente come quelle perpetrate dagli autocrati che difendono. 

Chi afferma sornione che i ragazzi se la sono cercata provocando una reazione forse dimentica che la Liberazione non ha colore politico e che la censura è prassi dei fascisti. O forse parteggia per lo stop all’invio di armi in Ucraina, dimenticandosi che i partigiani combattevano con gli Sten e i Thompson paracadutati dagli Alleati. E ancora che l’Italia di cimiteri in cui sono sepolti ragazzi americani ne è piena. É il sintomo ultimo del tentativo ottantennale di appropriarsi della Resistenza, il rigetto di tutto ciò che non è di sinistra-sinistra, forse risultato di una scarsa attenzione durante l’ora di storia, dato che i partigiani non furono solo comunisti, ma cattolici, azionisti, liberali, socialisti, persino monarchici). 

I responsabili di queste violenze di stampo squadrista, giovanissimi, sono gli stessi che si riempiono la bocca di antifascismo e pacifismo. Non una parola di solidarietà da parte dei leader della sinistra e dell’Anpi. Forse è necessario rassegnarsi e cedere alla narrazione del 25 Aprile come festa divisiva: lo sarà fino a quando le piazze non saranno libere di essere partecipate da tutti. Fino a quando non sarà possibile la compresenza di una bandiera palestinese e di una bandiera ucraina. 

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