Era parecchio tempo che il 25 aprile non tornava a essere motivo di un così intenso e prolungato scontro ideologico tra destra e sinistra. Sono settimane che praticamente non si parla d’altro.
Come è noto, dopo anni di sostanziale dimenticanza, la ricorrenza riacquistò un’improvvisa centralità politica circa trent’anni fa, all’indomani della prima e per molti inaspettata vittoria elettorale del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, il 27 marzo 1994.
Credo che tutti i militanti di sinistra della mia generazione ricordino bene il significato che assunse la manifestazione convocata a Milano per la festa della Liberazione, meno di un mese dopo, e soprattutto la pioggia battente che si accanì sui dimostranti per tutta la durata del corteo. Ancora meno clementi si sarebbero dimostrati però gli elettori, alle successive europee del 12 giugno, in cui Forza Italia sarebbe passata in un balzo dal 21 per cento delle politiche, risultato già clamoroso per un partito appena nato, a uno stratosferico 30 per cento, decidendo così la non prematura fine della linea neo-antifascista del Pds, nonché le dimissioni del suo segretario-fondatore, Achille Occhetto, e l’elezione di Massimo D’Alema nel giro di poche settimane.
Anche questa volta, come nel 1994, la sinistra viene da una dura sconfitta alle elezioni politiche, e vede nella nuova destra arrivata a Palazzo Chigi una minaccia ai valori e agli equilibri costituzionali. Anche questa volta si avverte la tentazione di accettare lo scontro sul terreno più radicale, quasi che si fosse davanti a un nuovo regime e dunque alla necessità di una nuova resistenza.
Personalmente, penso che questo genere di 25 aprilismo sia una strada sbagliata in linea di principio (perché strumentalizza e svilisce il valore stesso del 25 aprile) e sia anche controproducente sul piano tattico, il che ovviamente non significa che non si debba rispondere a tono alle insopportabili provocazioni del presidente Senato, Ignazio La Russa, sull’assenza della parola «antifascismo» nella Costituzione, o alle vergognose dichiarazioni del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, sulla «sostituzione etnica». Per fortuna, a differenza del 1994, le elezioni europee sono relativamente lontane, e c’è dunque tempo per rifletterci meglio e correggere la rotta, se si vuole evitare di ripetere gli errori del passato.
A dispetto delle idiosincrasie di Nanni Moretti e dei tanti intellettuali progressisti che la pensano come lui (senza farci neanche dei buoni film, con le loro ossessioni), è stata infatti proprio la svolta impressa allora da D’Alema a cambiare le carte in tavola, interrompendo bruscamente la trionfale cavalcata berlusconiana. Quello stesso D’Alema cui il regista avrebbe rimproverato di non dire cose di sinistra, nella successiva campagna elettorale del 1996. Fatto sta che la sinistra quelle elezioni le vinse, anzitutto grazie alla sua scelta di costruire un’alleanza con il centro (il che, certamente, comportava pure la necessità di una retorica meno radicale) e anche grazie al più generale cambio di atteggiamento nei confronti della maggioranza, abbandonando lo schema della delegittimazione reciproca, fino ad affermare la necessità del dialogo con Berlusconi sulle riforme istituzionali (altro che Aventino e lotta al Regime).
Non stupisce che sia Occhetto sia Moretti abbiano dichiarato pubblicamente di avere votato per Elly Schlein alle primarie del Pd. Resta solo da augurarsi che li deluda anche lei.